impianti solari agrivoltaici

Impianti solari agrivoltaici: migliorare la sostenibilità del settore agricolo beneficiando degli incentivi del PNRR.

 

Il settore agricolo è uno dei principali settori produttivi del nostro sistema economico, indispensabile per l’alimentazione, nonché per la gestione e la conservazione del patrimonio naturale.

Purtroppo, però, esso si rende responsabile, in Europa, del dieci per cento delle emissioni di gas serra.

“Italia Domani”, il Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) – presentato dall’Italia nel contesto del programma Next Generation EU – prevede investimenti e un pacchetto di riforme, che si sviluppa intorno a tre assi strategici (digitalizzazione e innovazione, inclusione sociale e transizione ecologica) e mira anche a contrastare questo effetto collaterale.

Il principale obiettivo posto alla base del progetto, infatti, è quello di condurre l’Italia lungo un percorso di cambiamento a livello ecologico e ambientale che possa essere d’ausilio per assottigliare i divari territoriali, generazionali e di genere.

Uno degli strumenti su cui si vuole puntare, in particolare per migliorare l’impatto dell’agricoltura sull’ambiente, sono gli impianti solari agrivoltaici.

Cosa sono gli impianti solari agrivoltaici

Si tratta di un innovativo utilizzo del terreno che sta prendendo piede negli ultimi anni.

Il fondo, infatti, oltre ad essere sfruttato per la coltivazione di vegetali, viene destinato altresì alla produzione di energia fotovoltaica.

Gli impianti solari agrivoltaici concretizzano infatti un virtuoso trait d’union, che pone in relazione le fonti rinnovabili, la sostenibilità ambientale, la tutela della biodiversità con l’attività agricola, consentendo la convivenza e l’interazione tra la generazione dell’energia a partire dai raggi del sole e le pratiche di coltivazione del fondo.

Le Linee Guida in materia di impianti agrivoltaici – messe a punto dal Ministero della Transizione Ecologica, con il contributo di ENEA – forniscono delle puntuali definizioni.

L’impianto agrivoltaico (o agrovoltaico, o ancora agro-fotovoltaico) è, dunque, un impianto fotovoltaico, che consente di mantenere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale sul sito di installazione.

Per impianto agrivoltaico avanzato si intende un impianto agrivoltaico che (conformemente a quanto stabilito dall’articolo 65, comma 1-quater e 1-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, e successive modificazioni), non compromette la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale,  anche eventualmente consentendo l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione.

Ciò grazie al montaggio di moduli elevati da terra, i quali possono anche ruotare per “seguire il sole”.

Inoltre, gli impianti solari agrivoltaici devono prevedere la contestuale realizzazione di sistemi atti a monitorarel’impatto dell’installazione fotovoltaica sulle colture, il risparmio idrico, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture, la continuità delle attività delle aziende agricole interessate, il recupero della fertilità del suolo, il microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici”.

Benefici degli impianti solari agrivoltaici

Sono molteplici, tra cui:

    • la maggiore resa dei terreni (in relazione a specifiche colture);
    • il minore consumo di acqua per l’irrigazione, grazie ai moduli fotovoltaici che garantiscono un parziale ombreggiamento;
    • una fonte aggiuntiva di reddito che permette agli agricoltori di fare investimenti nella propria attività e guadagnarne in termini di competitività;
    • la collaborazione tra agronomi, imprese agricole e stakeholder del settore.

Quali colture per gli impianti solari agrivoltaici?

Il PNRR si occupa di questa tecnologia, con l’intenzione di rendere sempre più capillare la presenza di impianti agro-voltaici di medie e grandi dimensioni sul territorio nazionale.

La misura di investimento nello specifico consiste, innanzitutto, nell’implementazione di sistemi ibridi agricoltura-produzione di energia che possano conciliare lo sfruttamento della luce solare con l’utilizzo dei terreni per fini agricoli, incrementando la sostenibilità ambientale ed economica delle imprese aderenti, anche avvantaggiandosi di bacini idrici presso i quali possono essere installate soluzioni galleggianti.

Mediante le citate  Linee Guida in materia di impianti agrivoltaici, le colture sono state suddivise in cinque categorie, individuate in base a come queste reagiscono alla fisiologica riduzione luminosa, appunto derivante dall’ombreggiamento creato dagli impianti fotovoltaici istallati sul fondo.

    • colture “molto adatte”, quelle sulle quali l’ombreggiatura produce effetti positivi sulle rese quantitative, tra cui possiamo citare spinaci e patate.
    • colture “adatte”, ossia quelle indifferenti all’ombreggiatura moderata, come le carote e i finocchi.
    • “mediamente adatte” vengono menzionate le cipolle e le zucchine.
    • “poco adatte” le barbabietole da zucchero e le barbabietole rosse.
    •  “non adatte” quelle che presentano un’importante necessità di esposizione alla luce, per le quali anche una sua pressoché insignificante diminuzione cagionerebbe una grave flessione della resa (alberi da frutto, del frumento e del mais, ad esempio).

Dove installare gli impianti solari agrivoltaici?

Per quanto concerne, invece, le aree su cui si possono andare a collocare gli impianti in questione, va considerato quanto disposto dall’art.20, comma 1, d. lgs. n. 199/2021, che rimette a livello ministeriale l’identificazione dei principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili.

Sono considerate aree idonee all’installazione di impianti solari agrivoltaici (ai sensi del successivo comma 8, lett. c), quater di detto d. lgs. 199/2021), “le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, né ricadono nella fascia di rispetto de i beni sottoposti a tutela ai sensi della parte seconda oppure dell’arti colo 136 del medesimo decreto legislativo.  …  la fascia di rispetto è determinata considerando una distanza dal perimetro di beni sottoposti a tutela di sette chilometri per gli impianti eolici e di un chilometro per gli impianti fotovoltaici”.

Quale procedura per installare gli impianti solari agrivoltaici?

Nei procedimenti di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili su aree idonee, ivi inclusi quelli per l’adozione del provvedimento di valutazione di impatto ambientale, l’autorità competente in materia paesaggistica si esprime con parere obbligatorio non vincolante. Decorso inutilmente il termine per l’espressione del parere non vincolante, l’amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione”.

Così stabilisce  l’art.22, comma 1, lettera a) di detto d. lgs. 199/2021.

In merito al rilascio dei provvedimenti autorizzatori, il TAR di Lecce (sentenza 1750/2022) ha di rendente sancito:

 

4.2. Non esiste, di per sé, un diritto assoluto e incondizionato all’installazione di impianti volti alla produzione di energia, sia pure “pulita” (o verde: green), nel senso di energia prodotta direttamente dal Sole, (e ciò anche nell’ipotesi in cui si tratti di impianti “agrivoltaici”, con insistenza in aree “agricole”), e non mediante il procedimento (assolutamente impattante sul Pianeta, e nel medio/lungo periodo non più sostenibile) di estrazione del carbon-fossile.

In senso opposto, tuttavia, non esiste neppure un generalizzato divieto – del pari assoluto e incondizionato – all’installazione di impianti siffatti, men che meno in caso di insistenza, in situ, di altri impianti analoghi.

4.3. Per dirla con le parole dell’Arbiter Constitutionis: “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca, e non è possibile individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri; … la tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro, giacché se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette” (Corte cost, n. 85/13).

Sotto questo profilo, non si vede come si possa decampare dal vero “fulcro” della questione, vale a dire la non qualificabilità dell’impianto in questione come “fotovoltaico”, ma come agrivoltaico”.

6.1. Quello dell’agrivoltaico è, infatti, un settore di recente attenzione. Esso non è ancora molto diffuso, ma sta assumendo (grazie anche alle spinte provenienti dal legislatore nazionale e sovranazionale; il punto verrà ripreso infra) forma e consistenza sconosciute appena dieci o cinque anni orsono.

6.2. Trattasi di un utilizzo “ibrido” di terreni agricoli, tra produzioni agricole e produzione di energia elettrica, attraverso l’installazione, sugli stessi terreni, di impianti fotovoltaici, che non impediscono tuttavia la produzione agricola classica.

6.3. In particolare, come più volte chiarito da questa Sezione (cfr. sentt. nn. 586/22 e 1267/22), mentre nel caso di impianti fotovoltaici tout court il suolo viene reso impermeabile, viene impedita la crescita della vegetazione, e il terreno agricolo perde quindi tutta la sua potenzialità produttiva, nell’agrivoltaico l’impianto è invece posizionato direttamente su pali più alti, e ben distanziati tra loro, in modo da consentire alle macchine da lavoro la coltivazione agricola sia al di sotto dei moduli fotovoltaici, e sia tra l’uno e l’altro modulo.

6.4. Per effetto di tale tecnica – sicuramente innovativa, in quanto praticamente assente sino a pochi anni fa – la superficie del terreno resta permeabile, come tale raggiungibile dal sole e dalla pioggia, e dunque pienamente utilizzabile per le normali esigenze della coltivazione agricola.

7. Definiti in tal modo i tratti caratteristici dell’agrivoltaico, e differenziali rispetto al fotovoltaico “puro”, non si comprende che valenza assumano, nel caso in esame, le statistiche offerte dalla Regione nell’atto impugnato, in ordine al numero e consistenza di impianti “fotovoltaici” sparsi sul territorio regionale, nonché su quello in esame. Trattasi, invero, di fenomeni non sovrapponibili tra di loro, per la semplice ed elementare considerazione che:

– nel fotovoltaico, le potenzialità agricole del fondo vengono azzerate, ora e per il futuro (essendo del tutto problematica la ripresa dell’attività agricola, dopo decenni di utilizzazione dei fondi per le esigenze della produzione di energia, sia pure green);

– nell’agrivoltaico, invece, le esigenze della produzione agricola restano intatte, e sono anzi spesso accresciute, in quanto il necessario “ibrido” tra le esigenze della coltivazione e quelle della produzione di energia pulita porta sovente a recuperare, da un punto di vista agronomico, fondi che versano in stato di abbandono.

8. Pertanto, a differenza di quanto adombrato dalla Regione, non di rapporto di genus ad species può parlarsi nel caso in esame, ma di progressiva gemmazione di un istituto “nuovo” (l’agrivoltaico), dalla sua casa madre (il fotovoltaico), con conseguente acquisto di una ragione sociale propria.

9. Pertanto, sarebbe sicuramente rilevante – nell’odierno giudizio – conoscere il numero e la consistenza di impianti agrivoltaici insistenti in ambito regionale, e nell’agro brindisino in particolare.

Senonché, la Regione non ha offerto contributo sul punto, limitandosi ad esporre il numero e la potenza degli impianti fotovoltaici classici, privi di ausilio ai fini in esame, in quanto fondati su una errata qualificazione – da genus ad species – del rapporto tra fotovoltaico e agrivoltaico; rapporto dal quale, per le ragioni prima dette, va operata un’affrancazione.

10. Detto in altri termini: non si comprende come un impianto che combina produzione di energia elettrica e coltivazione agricola (l’agrivolotaico), possa essere assimilato ad un impianto che produce unicamente energia elettrica (il fotovoltaico), ma che non contribuisce tuttavia – neppure in minima parte – alle ordinarie esigenze dell’agricoltura.

All’evidenza, non si tratta di rapporto di genus ad species, ma di fenomeni largamente diversi tra loro, nonostante la loro comune base di partenza (la produzione di energia elettrica da fonte pulita).

E in quanto situazioni non sovrapponibili, non possono essere assimilati quoad aeffectum.

….

11. E che l’agrivoltaico, in questi ultimi anni, abbia acquisito una dignità autonoma, emerge dalla legislazione eurounitaria e nazionale sviluppatasi negli ultimi anni sul tema delle energie rinnovabili.

13.2. Per tali ragioni, non si può sic et simpliciter ricondurre gli impianti agrivoltaici all’ambito del fotovoltaico puro, come invece la Regione pretende di fare, con un semplice e anacronistico rapporto (ripreso anche dalla sentenza di questo TAR n. 1376/22, sulla quale v. infra, punti nn. 27 e ss.) di genus ad species.

13.3. Forse quest’assimilazione poteva essere compiuta alcuni anni orsono.

Fondi del PNRR per impianti solari agrivoltaici

Il PNRR italiano si pone un obiettivo ambizioso: potenziare la competitività del settore agricolo, abbattendo i costi di approvvigionamento energetico, che attualmente si attestano a oltre il venti per cento dei costi variabili delle aziende agricole, apportando, unitamente, sensibili miglioramenti nelle prestazioni climatiche-ambientali.

In termini numerici, l’obiettivo del PNRR è quello di arrivare, a regime, ad una capacità produttiva degli impianti agro-voltaici di 1,04 GW, che produrrebbe circa 1.300 GWh annui, garantendo l’altro obiettivo, che è quello della riduzione delle emissioni di gas serra stimabile in circa 0,8 milioni di tonnellate di CO2.

PNRR - Sviluppo Agrivoltaico


 

impianti solari agrivoltaici

 

(a cura della dott.ssa Gerarda Monaco)

Biagio Fabrizio Carillo

 

Biagio Fabrizio Carillo

Biagio Fabrizio Carillo

 

già Colonnello dei Carabinieri.

Criminologo.

Ha ricoperto nella sua lunga carriera numerosi incarichi di comando.

Ultimo incarico Comandante del Nas di Alessandria con competenza sulle province di Alessandria, Asti e Cuneo.

Laureato in Giurisprudenza e in Scienze strategiche presso Università degli studi di Torino.

È autore di numerosi saggi, pubblicazioni e articoli divulgativi sui temi della criminologia investigativa e in campo agroalimentare.

Consulente nel settore anche vitivinicolo della Confederazione italiana agricoltori di Asti e della Confartigianato imprese Cuneo.

Membro esterno dell’organismo di vigilanza della Banca Alpi Marittime in materia di responsabilità amministrativa delle imprese  (di cui al d. lsg. 231/2001)

 

Partnerships

Le partnerships: la nostra modalità per concretizzare il connubio tra interdisciplinarietà e specializzazione, il nostro punto di forza per la consulenza sul diritto vitivinicolo e per l’assistenza delle imprese agricole ed agroalimentari.


 

Biagio Fabrizio Carillo

Biagio Fabrizio Carillo

 

già Colonnello dei Carabinieri.

Criminologo.

Consulente nel settore anche vitivinicolo della Confederazione italiana agricoltori di Asti e della Confartigianato imprese Cuneo.

Membro esterno dell’organismo di vigilanza della Banca Alpi Marittime in materia di responsabilità amministrativa delle imprese (di cui al d. lsg. 231/2001)

 



Partecipazione in CEDISA

Centro Studi sul Diritto e le Scienze dell'Agricoltura, alimentazione e ambiente




Ascheri Academy



 

Biogas allevamento economia circolare

Produrre biogas dagli escrementi degli animali di un allevamento,  creando carburante per automobili (Biogas allevamento economia circolare)


Interessante ed innovativo esempio di economia circolare, realizzato da un’azienda agricola – quella di Nicoletta Cella, Agriturismo Bosco Gerolo Val Trebbia – in provincia di Piacenza (Biogas allevamento economia circolare).

Lo segnala Euronews durante le proprie trasmissioni del 5 ottobre 2022.

Video su Euronews

L’idea – già attuata e funzionante –  potrebbe rappresentare una modalità per rendere più sostenibili gli stessi allevamenti, cui si chiede di ridurre sensibilmente le emissioni di gas aventi “effetto serra”.

Cosa che attualmente viene invece interpreta come un obiettivo da raggiungere tramite il ridimensionamento degli allevamenti stessi (provocando forte opposizione da parte degli allevatori, come da poco accaduto nei Paesi Bassi).

Spiega Wikipedia che, “i biogas sono una miscela di vari tipi di gas, principalmente metano e anidride carbonica, prodotti dalla fermentazione batterica in anaerobiosi (assenza di ossigeno) di residui organici vegetali o animali.

I residui utili possono avere più origini: scarti dell’agroindustria (trinciato di mais, sorgo o altre colture), dell’industria alimentare (farine di scarto o prodotti scaduti), dell’industria zootecnica (reflui degli animali o carcasse); si possono utilizzare anche colture appositamente coltivate allo scopo di essere raccolte e trinciate per produrre “biomassa”, come mais, sorgo zuccherino, grano, canna comune, bietole.

L’intero processo vede la decomposizione del materiale organico da parte di alcuni tipi di batteri, con produzione di anidride carbonica, idrogeno e metano (metanizzazione dei composti organici)”.

Investire nelle terre di campagna è fondamentale, per la sostenibilità sia agricola che economica: in Cina sta tragicamente emergendo quanto è assurdo non farlo.

Schedario viticolo grafico SIPA

Mediante il  D.M. 93847 del 22 febbraio 2022 viene modificata la disciplina dello schedario viticolo, che trasla in quello grafico (Schedario viticolo grafico SIPA)


Nuova disciplina in Italia (Schedario viticolo grafico SIPA) per lo schedario viticolo, di cui all‘art.145  del Regolamento UE 1308/2013 sulla OCM Unica) ed all’art. 8 del Testo Unico Vino.

Ciò discende dalla circostanza che (mediante il decreto legge 16 luglio 2020, n. 76 convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120) è stato istituito nel nostro paese un nuovo sistema unico di identificazione delle parcelle agricole basato su sistemi digitali che supportano l’utilizzo di applicazioni grafiche e geo-spaziali:

Sistema finalizzato ad agevolare gli adempimenti previsti in capo ai produttori e l’esecuzione, da parte delle amministrazioni, delle attività di gestione e di controllo.

Di conseguenza (come peraltro previsto proprio dall’art.43, comma 1, di detto decreto legge 76/2020),  per effetto del D.M. 93847 del 22 febbraio 2022 lo schedario viticolo si adegua, passando allo schedario grafico basato sul nuovo Sistema nazionale di
Identificazione delle Parcelle Agricole (Schedario viticolo grafico SIPA).

Tale trasformazione implica pertanto la revisione di:

 a) gestione e l’aggiornamento dei dati contenuti nello schedario viticolo, articolato su base territoriale di competenza delle Regioni e Province autonome, con riferimento ai dati contenuti nel Fascicolo Aziendale agricolo (costituito ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica
1 dicembre 1999, n. 503 e definito ai sensi del decreto ministeriale 12 gennaio 2015, n. 162, in particolare l’articolo 3, comma 1);


b) verifica dell’idoneità tecnico produttiva dei vigneti, le modalità e le condizioni per l’iscrizione, a cura dei conduttori, nello schedario viticolo dei vigneti destinati a produrre vini a Denominazione di origine e Indicazione geografica;


c)rivendicazione annuale delle produzioni a Denominazione di origine, a  Indicazione geografica e dei vini varietali (di cui all’art.145, comma 2 del Regolamento UE/1308/2013 e relative norme applicative dettate dalla Commissione UE)

Principio di base della riforma è che lo schedario viticolo è parte integrante del Sistema integrato di gestione e controllo ed è dotato di
un sistema di identificazione geografica GIS.

Il nuovo schedario viticolo ((Schedario viticolo grafico SIPA) deve almeno contenere i dati che consentano:

a) l’identificazione aggiornata del conduttore in coerenza con il sistema unico di registrazione dell’identità di ciascun beneficiario;

b) l’elenco e l’ubicazione delle parcelle viticole, ad esclusione di quelle contenenti soltanto superfici abbandonate

c) le caratteristiche della superficie vitata di ciascuna parcella viticola, riportate anche sul fascicolo del viticoltore;

d) per ogni parcella viticola, tutte le informazioni di carattere tecnico, agronomico e di idoneità produttiva che, nel loro insieme, determinano il potenziale viticolo dell’azienda. In particolare: forme di allevamento, sesti di coltivazione e densità di impianto, anni e mesi di impianto, presenza di irrigazione, varietà di uva

L’occupazione del suolo definita nel piano colturale aziendale deve risultare  coerente con lo schedario viticolo.

Sul piano operativo, discendono le seguenti conseguenze.

A decorrere dalla campagna 2023-2024, le superfici afferenti lo schedario sono petanto identificate e collocate territorialmente in base alla parcella
di riferimento, unità elementare e univocamente identificata del SIPA (così come definita all’articolo 3 del decreto ministeriale n. 99707 del 1 marzo 2021).

Le superfici afferenti lo schedario sono allineate con quelle presenti nel Fascicolo aziendale grafico aggiornato e validato dal produttore.

L’aggiornamento dello schedario viticolo si basa sui dati contenuti nel Fascicolo aziendale grafico e comporta il superamento del riferimento catastale. Il fascicolo aziendale e gli strumenti geospaziali ad esso associati, forniscono, pertanto, la localizzazione della parcella viticola, la
superficie vitata e il titolo di possesso

La parcella viticola è identificata graficamente dal produttore in coerenza con le vigenti disposizioni in materia, secondo cui per ciascuna parcella viticola
è determinata la superficie massima ammissibile per ciascun regime di sostegno regionale,nazionale e dell’Unione, nonché per ogni dichiarazione, comunicazione ed ogni altro procedimento amministrativo basato sulle superfici.

Le informazioni desunte dalle dichiarazioni sono intersecate con le informazioni del SIPA, ai fini dello svolgimento dei controlli amministrativi nonché ai fini dell’aggiornamento del sistema.

La misurazione della superficie vitata è effettuata con modalità univoca su tutto il territorio nazionale.

Le aziende completano lo schedario viticolo con le ulteriori necessarie informazioni nella fase di allineamento con il Fascicolo Aziendale Grafico.

L’azienda che effettua l’adeguamento dello schedario viticolo al Fascicolo aziendale grafico non è sanzionabile relativamente alle discordanze tecnico-produttive e alle anomalie di misurazione riscontrate. Il controllo di tali anomalie nella misurazione della superficie vitata aziendale viene effettuato dalle Regioni al compimento dell’allineamento stesso

Una volta che il nuovo sistema sia a regime, la presenza delle parcelle viticole nello schedario costituisce presupposto inderogabile per:

a) procedere a variazioni del potenziale produttivo viticolo aziendale

b) accedere alle misure strutturali e di mercato ai sensi della normativa comunitaria, nazionale e regionale, e per

c) adempierealle disposizioni in materia di dichiarazioni annuali di vendemmia, di produzione e di rivendicazione delle produzioni a DO, IG e vini varietali.

Pertanto:

    • Il dato della superficie della parcella viticola, così come risulta dal Fascicolo aziendale grafico aggiornato e validato, viene utilizzato come riferimento per le dichiarazioni obbligatorie (di cui al decreto ministeriale n. 7701 del 18 luglio 2019), nonché per i procedimenti amministrativi di estirpo, impianto e autorizzazioni al reimpianto.
    • la superficie della parcella viticola è confermata ed eventualmente aggiornata annualmente nell’ambito del Fascicolo aziendale grafico. Compete alle Regioni la validazione delle variazioni intervenute nell’ambito dello schedario viticolo sulla base degli aggiornamenti effettuati dal Produttore sul proprio Fascicolo aziendale grafico.

 

 

 

Rese massime ettaro vini senza denominazione

Per i “vini generici” la resa massima per ettaro è limitata a 30 tonnellate, salvo deroghe (rese massime ettaro vini senza denominazione)


Rese massime ettaro vini senza denominazione è stabilita dal Testo Unico Vino (art.8, comma 10 e 10 bis), il quale stabilisce che:

“a decorrere dal 1° gennaio 2021 o, se successiva, dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 10-bis, la resa massima di uva a ettaro delle unità vitate iscritte nello schedario viticolo diverse da quelle rivendicate per produrre vini a DOP e a IGP è pari o inferiore a 30 tonnellate“.

Tale limite (che in precedenza era di ben 50 tonnellate per ettaro) può tuttavia subire deroghe, come sempre sancisce il Testo Unico Vino:

“In deroga al comma 10, con decreto del Ministro delle polìtiche agricole alimentari e forestali, da adottarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definite le aree vitate ove è ammessa una resa massima di uva a ettaro fino a 40 tonnellate, tenendo conto dei dati degli ultimi cinque anni come risultanti dalle dichiarazioni di produzione”.

In attuazione, il MIPAAF ha pubblicato il DM 676539 del 23 dicembre 2021, ove vengono individuate – a livello comunale – le aree vitate per le quali è ammessa una resa di uva per ettaro fino a 40 tonnellate.

Entro il 31 gennaio 2022, le Regioni e le Province Autonome possono però richiedere al MIPAAF di includere ulteriori aree vitate, sulla base della verifica che almeno il 25% dei produttori (siti nel Comune per il quale si chiede l’iscrizione)  abbia registrato una resa produttiva superiore alle 30 ton/ha almeno in un’annualità tra il 2015 e il 2019.

Contestualmente, entro il 31 gennaio di ciascun anno, le Regioni e le Province Autonome hanno facoltà di richiedere al Ministero che le  aree vitate del proprio territorio vengano invece escluse da detta deroga.

I nuovi massimali produttivi valgono a decorrere dalla campagna vitivinicola 2022/2023.


Per i vini DOP e IGP, invece, sono i rispettivi disciplinari di produzione a fissare la resa massima di uva per ettaro.


 

Prosek Prosecco

Prosek Prosecco: inizia la battaglia legale in sede UE per difendere la denominazione italiana!


Prosek  Prosecco: il 23/9/2021 la Commissione europea ha pubblicato la notizia (trattasi di un atto dovuto) che la Croazia ha presentato una richiesta di protezione per il termine Prosek, che – secondo le intenzioni di tale paese – dovrebbe divenire una propria menzione tradizionale, legata a quattro proprie denominazioni di origine.

La procedura (di cui ai regolamenti UE 33 e 34 del 2019) prevede che, in seguito alla pubblicazione di tale notizia, si apre un termine di 60 giorni, entro cui gli altri Stati membri della UE (dunque il Governo italiano) ovvero soggetti privati lí residenti o aventi sede (quali il Consorzio di tutela del Prosecco) possono presentare le proprie osservazioni oppure opporsi al riconoscimento.

Successivamente la Commissione deciderà sulle opposizioni in questione: se verranno acconte, la menzione Prosek  non verrrá riconosciuta dalla UE, in caso contrario si, per cui i vini croati potranno utilizzarla.

Avverso tale decisione gli interessati potranno presentare ricorso in sede giurisdizionale dinanzi alla Corte di Giustizia.

Al momento, dunque, nulla è perduto per il Prosecco, l’esistente denominazione di origine italiana, che verrebbe danneggiata dal riconoscimento della menzione tradizionale croata, oggetto della pendente procedura dinanzi alla Commissione UE.

In effetti, la Commissione UE avrebbe potuto adesso respingere la domanda croata solo se il fascicolo non fosse stato completo, ma non avrebbe potuto decidere sul merito della domanda, dovendo attendere la presentazione di eventuali formali opposizioni (trattasi dunque di aspetti procedurali, che l’attuale polemica politica ignora verosimilmente).

Il termine Prosek è quindi inteso come una menzione tradizionale: esso  designa un metodo di produzione per un loro vino dolce da dessert.

Questo il significato della menzione tradizionale croata Prosek, come si legge nella domanda di riconoscimento:

Il «Prošek» è un vino prodotto con uve tecnologicamente sovramature e appassite che devono contenere  almeno 150° Oe (gradi Oechsle) di zucchero. Esso può essere rosso o bianco. Il colore può variare dal giallo scuro con  tonalità di oro vecchio fino a rossastro con sfumature brune. Con la  maturazione il «Prošek» sviluppa tonalità diverse a  causa dell’invecchiamento ossidativo. La fragranza è descritta come un aroma di frutta sovramatura con una lieve nota di  legno e un aroma di leggera ossidazione. Il gusto del «Prošek» è caratterizzato da una pienezza che deriva in gran parte  dall’elevato tenore di zuccheri residui (glucosio e fruttosio) e in misura minore dall’etanolo.

Tale pretesa menzione croata, però, crea sicuramente confusione con l’esistente denominazione italiana “Prosecco” (la similitudine dei termini e le assonanze sono manifeste nella coppia Prosek Prosecco).

La denominazione Prosecco trova peraltro tutela in molti Stati extra europei, proprio per effettosi accordi internazionali conclusi dalla UE per la difesa delle denominazioni di origine europee al di fuori del territorio dell’Unione.

Ma non in Australia, ove si ritiene che costituisca un termine generico. In effetti, l’accordo tra UE e tale Stato non copre il Prosecco.

Difatti, anche l’accordo di libero scambio tra UE ed Australia rischia lo stallo per tale ragione. Per i viticoltori australiani il termine Prosecco rappresenta il nome di varietà d’uva, esistente prima che l’Italia creasse la zona Prosecco DOC nel 2009 e ottenesse quindi lo status di IG.

Pure a Singapore è stato di recente negato che il termine “Prosecco” costituisca una menzione geografica.


Le norme che verosimilmente presiederanno ogni decisione sono gli articoli da 27 a 33 del regolamento della Commissione UE/33/2019.

In particolare, l’art.33 sancisce:

Omonimi

1. La registrazione della menzione per cui è presentata una domanda di protezione, interamente o parzialmente omonima di una menzione tradizionale già protetta ai sensi dell’articolo 113 del regolamento (UE) n. 1308/2013, tiene debitamente conto degli usi locali e tradizionali e dei rischi di confusione.

Una menzione omonima che induca in errore il consumatore circa la natura, la qualità o la vera origine dei prodotti vitivinicoli non è registrata, nemmeno se è esatta.

Una menzione omonima registrata può essere utilizzata esclusivamente se il nome omonimo registrato a posteriori è di fatto sufficientemente differenziato dalla menzione registrata in precedenza, tenuto conto della necessità di garantire un trattamento equo ai produttori interessati e della necessità di evitare di indurre in errore il consumatore.

2. Il paragrafo 1 si applica, mutatis mutandis, alle menzioni tradizionali protette anteriormente al 1o agosto 2009, interamente o parzialmente omonime di una denominazione di origine protetta o di una indicazione geografica protetta ovvero di un nome di varietà di uve da vino o dei suoi sinonimi elencati nell’allegato IV.

 

Merita altresì evidenziare che il precedente art.32 del regolamento UE/33/2019 regola il conflitto tra menzioni tradizionali e marchi commerciali, stabilendo al secondo comma  un principio che pare comunque significativo anche per il caso ora in questione (ove il conflitto è tra la menzione croata Prosek e la DOP italiana Prosecco):

“Un nome non è protetto come menzione tradizionale qualora, a causa della reputazione e della notorietà di un marchio commerciale, la protezione sia suscettibile di indurre in errore il consumatore quanto alla vera identità, alla natura, alle caratteristiche o alla qualità del prodotto vitivinicolo”.


Per contro, se la Corazia avesse richiesto il riconoscimento del termine Prosek come una propria DOP (cosa però difficile, siccole esso  non è riconducibile ad una località geografica croata), per regolare il conflitto con l’esistente DOP italiana Prosecco si sarebbe applicato l’art.100 del Regolamento UE 1308/2013, che così sancisce:

Omonimi

1.   La registrazione del nome per cui è presentata la domanda, che è omonimo o parzialmente omonimo di un nome già registrato in conformità al presente regolamento, tiene debitamente conto degli usi locali e tradizionali e di rischi di confusione.

Un nome omonimo che induca erroneamente il consumatore a pensare che i prodotti siano originari di un altro territorio non è registrato, benché sia esatto per quanto attiene al territorio, alla regione o al luogo di cui sono effettivamente originari i prodotti.

Un nome omonimo registrato può essere utilizzato esclusivamente in condizioni pratiche tali da assicurare che il nome omonimo registrato successivamente sia sufficientemente differenziato da quello registrato in precedenza, tenuto conto della necessità di garantire un trattamento equo ai produttori interessati e della necessità di evitare l’induzione in errore il consumatore.

2.   Il paragrafo 1 si applica mutatis mutandis se il nome per il quale è presentata la domanda è interamente o parzialmente omonimo di un’indicazione geografica protetta in quanto tale secondo il diritto nazionale degli Stati membri.

3.   Il nome di una varietà di uva da vino, se contiene o è costituito da una denominazione di origine protetta o da un’indicazione geografica protetta, non può essere utilizzato nell’etichettatura dei prodotti agricoli.

Per tener conto delle pratiche esistenti in materia di etichettatura, alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 227 intesi a stabilire le eccezioni a tale regola.

4.   La protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei prodotti di cui all’articolo 93 del presente regolamento lascia impregiudicate le indicazioni geografiche protette applicabili alle bevande spiritose definite all’articolo 2 del regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio.

Trattasi della stessa norma sulla cui base – in particolare venne applicato il suo terzo comma –  è stato deciso in passato il caso del Tokai friulano (in senso favorevole all’Ungheria, alla quale venne riservata l’omonima indicazione geografica Tokaj, così vietando di etichettare con tale nome il vino italiano prodotto con il vitigno Tokai, sebbene i vini dei due paesi ottenuti da tale uva avessero qualità organolettiche completamente diverse).



Il Prosecco rappresenta sicuramente un fenomeno economico di primaria importanza per il nostro paese, il cui nome solo in tempi relativamente recenti è stato tutelato come denominazione di origine, approfittando della fortuita circostanza che una località friulana (… dove tale produzione non era forse tanto tipica) portava appunto il nome geografico di “Prosecco”.

In precedenza, invece, detto termine rappresentava meramente una menzione della denominazione “Conegliano-Valdobbiadene”, il quale riceveva già una certa limitata tutela per effetto di un apposito accordo internazionale, concluso tra Italia e Francia nell’immediato secondo dopoguerra.

Prova storica di quanto siano importanti i trattati internazionali sulla tutela delle denominazioni di origine.

Dunque, anche il termine italiano Prosecco nasce in realtà come una menzione tradizionale, argomento su cui la Croazia potrebbe appellarsi.

Tuttavia, tale argomento potrebbe essere superato dalla circostanza che, successivamente, il termine Prosecco ha assunto il rango di vera e propria denominazione di origine, avendo così acquisito diritto alla relativa superiore tutela.

Con il riconoscimento della DOC “Prosecco”, la denominazione “Conegliano-Valdobbiadene” è stata contestualmente elevata alla dignità di DOCG.

Infine, a suggellare il valore di tali nostri territori vitivinicoli, è da poco intervento il loro inserimento da parte dell’UNESCO tra i beni costituenti patrimonio dell’umanità, che si affiancano così ai paesaggi di Langhe-Roero e del Monferrato.

Langhe real estate law advice

Langhe real estate law advice: our assistance and consultancy services for the purchase of real estate and wineries in Langhe, Roero and Monferrato


Langhe real estate law advice: why?

langhe real estate law advice

Buying a real estate property or a winery in Piedmont (Itay) or rather in the wonderful context of the Langhe, Roero and Monferrato (territories that are part of the UNESCO world heritage) can represent not only the realization of a dream, but also an interesting financial investment, which an increasing number of subjects, many of whom non-Italians, have been making in recent years.

Considering that to purchase such real estate properties it is usually necessary to invest a significant amount of money, it may be useful for the buyer to request legal advice, to assess the situation, also with a view to due diligence, and to request assistance in stipulating consequential contracts and preliminary agreements (Langhe real estate law advice).

For example, it might be useful to understand if:

    • the property is free from mortgages;
    • there are public constraints on the property, for example landscape constraints, which can limit the ways of renovating properties or greatly increase the cost; of the work;
    • the agricultural land is actually transferable or the owners of neighboring land hold special rights that allow them to acquire ownership on a preferential basis;
    • the sale contract contains clauses contrary to the interests of the buyer, for example by limiting their rights and guarantees in their favor;
    • the company assets actually correspond to what is declared by the seller;
    • which types of wines with designation of origin (DOP/IGP) can actually be produced with grapes from the vineyards subject to sale.

In addition, once a property or a farm has been purchased, it may be necessary to carry out renovations involving considerable expenses.

Also in this case, it could be useful for the new owner to seek legal and technical advice, for example in order to:

    • evaluate the content of the contracts that will be concluded with the companies that will carry out the work;
    • verify that the works are carried out correctly and in any case acquire adequate contractual guarantees in order to be able to claim compensation for damages when the works are carried out irregularly;
    • understand which restructuring interventions are allowed and which are forbidden;
    • check for the existence of subsidies and tax benefits, also in relation to the rural development plans in force in the reference area at the time of the operation;

Our  firm offers an assistance and consultancy service – both legal and technical (the latter through the use of architects, engineers, agronomists and other trusted professionals, with whom we have been collaborating for a due time, all with proven experience) – to those who want to invest in Piedmont, and even more in the Langhe, Roero and Monferrato, by purchasing a real estate property or an accommodation business or an agricultural / wine company (Langhe real estate law advice).

We can help you in the following ways:

      • verifying the situation, from a legal and technical point of view (the latter through specialized professionals connected to us);
      • analyzing the contractual texts that are proposed to you and / or processing the contracts themselves;
      • negotiating on your behalf with the sellers or companies carrying out the renovations
      • by accessing the offices of the public administration for information and the necessary bureaucratic procedures;
      • assisting you in any mediations and judicial disputes that might arise;
      • consulting you in the future management of your company, as regards the legal aspects, in particular those relating to the application of the rules of agricultural and wine law

 

The cost of our service is not standard, but “tailor-made” in the interest of the customer and it must be quantified from time to time in relation to the complexity of the foreseeable activity.

Each assignment must be approved in advance and our business can only be carried out after written acceptance of our service and the related professional fees.

For any information about our services you can contact us freely both at our email address and by phone.

We will be happy to schedule a special videoconference to get to know each other and to better understand your needs.


Buying property abroad – a guide






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Vino sostenibile

Vino sostenibile: l’Italia ha già intrapreso una propria strada per stabilirne i criteri di produzione e certificazione.


Al fine di migliorare la sostenibilità delle varie fasi del processo produttivo nel settore vitivinicolo (produzione e certificazione del vino sostenibile), mediante l’art.224-ter della legge del 18 luglio 2020 n°77 (Sostenibilita’ delle produzioni agricole) è stato istituito il sistema di certificazione della sostenibilità della filiera vitivinicola, inteso  come l’insieme delle regole produttive e di buone pratiche definite con uno specifico disciplinare di produzione (quindi si tratta di una certificazione che può applicarsi anche ai vini non a denominazione di origine).

La valutazione dell’apposito disciplinare per il vino sostenibile è damandata ad un sistema di sistema di monitoraggio della sostenibilità delle aziende della filiera vitivinicola italiana.

Compete al MIPAAF (sentito il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare) stabilire le norme attuative, compito adempiuto mediante il decreto 23/06/2021 n.288989, il quale dispone sulle seguenti materie:

A) Sistema di certificazione della filiera vitivinicola:

      • Il sistema di certificazione della filiera vitivinicola utilizza le modalità e la procedura del Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata

B) Compiti del Comitato della sostenibilità vitivinicola (CosVi):

      • definizione del disciplinare della sostenibilità vitivinicola;
      • definizione del sistema di monitoraggio della sostenibilità della filiera vitivinicola;
      • individuazione degli indicatori necessari alle valutazioni della sostenibilità della filiera vitivinicola;
      • supporto al MIPAAF nella fase di confronto e discussione del partenariato economico e sociale sui contenuti del disciplinare.

C) Composizione del Comitato:

      • coordinato dal Direttore della direzione generale delle politiche internazionali e dell’Unione Europea, il comitato è composto da:
      • due rappresentanti del MIPAAF;
      • quattro rappresentanti delle Regioni e Provincie autonome;
      • due esperti del CREA;
      • un rappresentante di Accredia;
      • a titolo consecutivo, un rappresentante per ciascuno dei sistemi di valutazione della sostenibilità facenti parte del Gruppo di lavoro per la sostenibilità in viticoltura esistenti a livello nazionale alla data di entrata in vigore del decreto.

D) Disciplinare della sostenibilità vitivinicola

      • contiene l’insieme delle regole produttive e di buone pratiche finalizzate a garantire il rispetto dell’ambiente, la qualità e la sicurezza alimentare, la tutela dei lavoratori e dei cittadini, un adeguato reddito agricolo.
      • è sottoposto a verifica ed eventuale aggiornamento con cadenza almeno annuale. In sede di prima applicazione, il disciplinare fa riferimento alle linee guida di produzione integrata per la filiera vitivinicola.

E) Adesione al Sistema di certificazione della sostenibilità vitivinicola

      • volontaria
      • può avvenire da parte di aziende singole o associate.
      • modalità di adesione: quelle già in uso per il Sistema di qualità nazionale della produzione integrata (SQNPI).

F) Indicatori

      • individuati dal CosVi
      • successivamente approvati con decreto del MIPAAF, sentito il ministero della Transizione Ecologica (istituito in sostituzione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare).

 

Per completare il sistema di certificazione del Vino sostenibile seguiranno altri due provvedimento, costituita da:

    • pubblicazione del disciplinare di produzione per il vino sostenibile (ove verranno indicate le modalità di produzione ed i requisiti del prodotto);
    • individuazione degli indicatori di monitoraggio (necessari per valutare i risultati raggiunti).


Sarà pertanto interessare come il vino sostenibile si rapporterà rispetto al vino biologico.

Trattasi invece di cosa completamente diversa rispetto al controverso tema del vino naturale.



Quanto alla ricerca in materia di sostenibilità e resilienza, si segnala il progetto Uniseco dell’Unione Europea, a cui partecipa per l’Italia il distretto del Chianti.

Uniseco EU Project


Progetto VIVA - Sostenibilità della Vitivinicultura in Italia



Nel contesto della riforma della PAC post-2020, ormai adottata, la Commissione aveva annunciato che la propria azione «consoliderà il quadro legislativo sulle indicazioni geografiche  e, ove opportuno, includerà specifici criteri di sostenibilità» (pag.14 della Cominicazione sulla strategisa “from farm to fork”).

Nel contempo il Parlamento Europeo aveva  elaborato una propria posizione che, per quanto concerne la definizione di DOP e IGP è rappresentatata dal seguente emendamento:

Emendamento 236
Proposta di regolamento
Articolo 1 – punto 10 bis (nuovo)
Regolamento (UE) n. 1308/2013
Articolo 94
10 bis)  l’articolo 94 è sostituito dal seguente:
Articolo 94 Articolo 94
Domande di protezione Domande di protezione
1.  Le domande di protezione di nomi in quanto denominazioni di origine o indicazioni geografiche comprendono un fascicolo tecnico contenente: 1.  Le domande di protezione di nomi in quanto denominazioni di origine o indicazioni geografiche comprendono:
a)  il nome di cui è chiesta la protezione; a)  il nome di cui è chiesta la protezione;
b)  il nome e l’indirizzo del richiedente; b)  il nome e l’indirizzo del richiedente;
c)  un disciplinare di produzione ai sensi del paragrafo 2 e c)  un disciplinare di produzione ai sensi del paragrafo 2 e
d)  un documento unico riepilogativo del disciplinare di produzione di cui al paragrafo 2. d)  un documento unico riepilogativo del disciplinare di produzione di cui al paragrafo 2.
2.  Il disciplinare di produzione permette agli interessati di verificare le condizioni di produzione relative alla denominazione di origine o all’indicazione geografica. Il disciplinare di produzione contiene almeno: 2.  Il disciplinare di produzione permette agli interessati di verificare le condizioni di produzione relative alla denominazione di origine o all’indicazione geografica. Il disciplinare di produzione contiene almeno:
a)  il nome di cui è chiesta la protezione; a)  il nome di cui è chiesta la protezione;
b)  una descrizione del vino o dei vini: b)  una descrizione del vino o dei vini:
i)  per quanto riguarda una denominazione di origine, la descrizione delle principali caratteristiche analitiche e organolettiche; i)  per quanto riguarda una denominazione di origine, la descrizione delle principali caratteristiche analitiche e organolettiche;
ii)  per quanto riguarda una indicazione geografica, la descrizione delle principali caratteristiche analitiche e la valutazione o indicazione delle caratteristiche organolettiche; ii)  per quanto riguarda una indicazione geografica, la descrizione delle principali caratteristiche analitiche e la valutazione o indicazione delle caratteristiche organolettiche;
c)  se del caso, le pratiche enologiche specifiche utilizzate nell’elaborazione del vino o dei vini nonché le relative restrizioni applicabili a detta elaborazione; c)  se del caso, le pratiche enologiche specifiche utilizzate nell’elaborazione del vino o dei vini nonché le relative restrizioni applicabili a detta elaborazione;
d)  la delimitazione della zona geografica interessata; d)  la delimitazione della zona geografica interessata;
e)  le rese massime per ettaro; e)  le rese massime per ettaro;
f)  un’indicazione della o delle varietà di uve da cui il vino o i vini sono ottenuti; f)  un’indicazione della o delle varietà di uve da cui il vino o i vini sono ottenuti;
g)  gli elementi che evidenziano il legame di cui al paragrafo 1, lettera a), punto i), oppure, secondo i casi, al paragrafo 1, lettera b), punto i) dell’articolo 93; g)  gli elementi che evidenziano i seguenti legami:
i)  per quanto riguarda una denominazione d’origine protetta, il legame fra la qualità o le caratteristiche del prodotto e l’ambiente geografico e gli elementi relativi ai fattori naturali e umani di detto ambiente geografico, di cui all’articolo 93, paragrafo 1, lettera a), punto i );
ii)  per quanto riguarda un’indicazione geografica protetta, il legame fra una specifica qualità, la reputazione o un’altra caratteristica del prodotto e l’origine geografica di cui all’articolo 93, paragrafo 1, lettera b), punto i);
g bis)  se del caso, il suo contributo allo sviluppo sostenibile;
h)  le condizioni applicabili previste dalla legislazione unionale o nazionale oppure, se così previsto dagli Stati membri, da un’organizzazione che gestisce la designazione di origine protetta o l’indicazione geografica protetta, tenendo conto del fatto che tali condizioni devono essere oggettive, non discriminatorie e compatibili con il diritto dell’Unione; h)  le condizioni applicabili previste dalla legislazione unionale o nazionale oppure, se così previsto dagli Stati membri, da un’organizzazione che gestisce la designazione di origine protetta o l’indicazione geografica protetta, tenendo conto del fatto che tali condizioni devono essere oggettive, non discriminatorie e compatibili con il diritto dell’Unione;
i)  il nome e l’indirizzo delle autorità o degli organismi che verificano il rispetto delle disposizioni del disciplinare di produzione, nonché le relative attribuzioni. i)  il nome e l’indirizzo delle autorità o degli organismi che verificano il rispetto delle disposizioni del disciplinare di produzione, nonché le relative attribuzioni.
3.  La domanda di protezione relativa a una zona geografica situata in un paese terzo contiene, oltre agli elementi di cui ai paragrafi 1 e 2, gli elementi che comprovano che la denominazione è protetta nel suo paese di origine. 3.  La domanda di protezione relativa a una zona geografica situata in un paese terzo contiene, oltre agli elementi di cui ai paragrafi 1 e 2, gli elementi che comprovano che la denominazione è protetta nel suo paese di origine.