Attività agricola e fallimento

L’imprenditore agricolo è sottratto al fallimento, a condizione che egli sia effettivamente tale, specie quando egli esercita le “attività  connesse” a quella agricola (attività agricola e fallimento).


L’imprenditore agricolo non è soggetto al fallimento (art.1 della legge fallimentare, e cioè il regio decreto 267/1942), essendo previsto solo per l’imprenditore commerciale, a condizione però che quest’ultimo ed il suo indebitamento abbiano determinati requisiti dimensionali.

Iniziamo allora a ricordare chi è – in base al dettato normativo, e cioè l’art.2135 del codice civile – un imprenditore agricolo. E’ considerato tale “chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

Orbene, le principali questioni che insorgono da questa norma risiedono nel valutare quali caratteristiche debbano avere le “attività connesse” alla coltivazione dei fondi, selvicoltura ed allevamento de bestiame. Ciò rileva al fine di capire se, chi pratica anche le “attività connesse”, resti configurabile come imprenditore agricolo (sottratto al fallimento) ovvero vada invece considerato come un imprenditore commerciale (passibile di fallimento).

E’ innanzitutto evidente che è un imprenditore commerciale chi pratica solo le “attività connesse”, senza svolgere anche quelle principali (coltivare fondi, etc..).

Tuttavia, in presenza dell’esercizio di “attività connesse”, non basta svolgere anche un po’ di quelle principali, per essere considerati imprenditori agricoli. E’ invece necessario che – in buona sostanza – le attività principali prevalgano su quelle “connesse”.

Secondo la Cassazione (si veda la sentenza 8 agosto 2016, n.16614), l’esonero dall’assoggettamento alla procedura fallimentare dell’imprenditore agricolo non può ritenersi incondizionato: infatti, lo stesso viene meno quando sia insussistente, di fatto, il collegamento funzionale con la terra, intesa come fattore produttivo, o quando le “attività connesse” di cui all’art. 2135 cod. civ. assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura. Ciò conferma precedenti pronunce, quale quella assunta dalla Suprema Corte l’anno precedente (sentenza 7238/2015, conforme a 8690/2013), secondo cui l’attività “connessa” deve inserirsi nel ciclo dell’economia agricola, mentre ha carattere economico od industriale quell’attività che, oltre ad essere idonea a soddisfare esigenze collegate alla produzione agricola, risponda a scopi commerciali od industriali e realizza utilità del tutto indipendenti dall’impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa.

Quanto detto rappresenta dunque il criterio discriminante.

Per ravvisare la presenza o meno di un imprenditore agricolo, è dunque del tutto irrilevante la sua forma giuridica, e cioè se esso sia costituito come imprenditore individuale, società, consorzio o cooperativa (Cassazione 14885/2017 e 9788/2016).

Il punto dirimente è il seguente: la valutazione sulla presenza della prevalenza dell’attività principale (coltivazione, allevamento, silvicoltura) su quella “connessa” va fatta in concreto caso per caso. Così sia la Cassazione (sempre ordinanza 9788/2016), sia il Consiglio di Stato (sentenza 5045/2012, sull’imbottigliamento di olio DOP).

E’ dunque vitato saltare siffatto passaggio logico e giudicare dando unicamente valore alla presenza di eventuali clausole  nello statuto dell’imprenditore agricolo costituito in forma societaria. che – disciplinandone l’oggetto sociale –  prevedano ad esempo anche diciture di questo tipo: “compravendita e locazione di terreni ed immobili”.

Applicando proprio questi ultimi principi, la Cassazione (ordinanza 17343/2017) ha quindi annullato una decisione di merito, con cui era stato pronunciato il fallimento di una cooperativa agricola, e ciò solo perché il suo statuto prevedeva “l’acquisto, la vendita e la permuta di terreni ed immobili rurali”, senza invece esaminare in cosa fosse concretamente consistita la sua attività (esame a cui i legali della cooperativa avevano invece richiesto di procedere, portando come prove anche i bilanci, da cui emergeva la mancanza di ricavi da attività extra agricole, l’assenza di immobili in proprietà, l’assenza di operazioni di alienazione immobiliare).

La Cassazione ha quindi concluso affermando: “nel contempo, se è vero che l’apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito, può anche trarre indizi rilevanti dall’oggetto sociale, a fronte di difese che abbiano invocato, come nella specie, un ruolo ancillare delle operazioni commerciali di compravendita immobiliare rispetto alla attività agricola, va riconosciuto che la costituzione e la preservazione della stessa sono compatibili con normali operazioni incrementative ovvero sostitutive dei fattori dominicali; pena, al contrario, una riduzione alla marginalità contrattuale ed economica di ogni forma imprenditoriale del settore, …”.

In conclusione: se la società esercita effettivamente attività agricola e, usufruendo di clausole statutarie simili a quella citata, non ha quindi compiuto attività che esorbitano da siffatto ambito (ad esempio, speculazioni immobiliari o commercio di immobili e terreni), in caso di malaugurato dissesto non ci sarà il fallimento. Il che ovviamente non significa che non si debba rispondere dei debiti assunti!