Etichetta origine nazionale alimenti

Etichetta origine nazionale alimenti: sotto il vestito niente?


Etichetta origine nazionale alimenti, e cioè l’indicazione “prodotto italiano” ovvero “francese” ovvero “tedesco”: indicazione spesso allettante per i consumatori, ma qual’è la sua effettiva valenza?

La materia è essenzialmente regolata da normativa dell’Unione Europea, e precisamente dagli art. 9 e 26 comma 3 nonché art. 38 e 39 del Regolamento  UE/1169/2011, oltre da altre norme applicabili a specifici alimenti (vedasi le slides che appariranno nel video infra proposto; per tutti i vini l’indicazione del paese di produzione è un elemento obbligatorio dell’etichetta, ai sensi dell’art.119 del Regolamento UE/1308/2013).

La giurisprudenza della Corte di Giustizia UE sulla etichetta origine nazionale alimenti.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza 1/10/2020, causa C-485/2018, Lactalis) definisce in modo alquanto restrittivo quando il legislatore nazionale ha facoltà di imporre l’obbligo di indicare in etichetta il paese di origine o il luogo di provenienza degli alimenti, rappresentando forse il “punto di svolta” in materia.

Fermo restando che la competenza degli Stati è esclusa per tutti gli aspetti dell’etichettatura che sono oggetto di armonizzazione a livello comunitario, la Corte ha innanzitutto chiarito che ciò vale anche quando l’obbligo in questione (peraltro già previsto dalla legislazione europea per molte tipologie di alimenti, pur “declinato” in vario modo) va imposto perché serve per proteggere il consumatore dal cadere in errore, così in sostanza sottraendo agli Stati la possibilità di valutare la sussistenza di siffatta situazione in base a criteri puramente nazionali.

Inoltre, la Corte ha ricondotto la competenza nazionale ai soli casi in cui lo Stato prova che l’indicazione obbligatoria dell’origine o provenienza è giustificata dall’esigenza di evidenziare oggettive qualità dell’alimento, effettivamente dipendenti dall’origine stessa del prodotto, escludendo tuttavia – e qui sta la limitazione più sensibile – qualsiasi valore alla mera percezione soggettiva di tali qualità da parte dei consumatori, talora rilevata forse in modo un poco “opportunistico” nelle indagini di mercato.

Per contro, secondo la Corte (sentenza 12/11/2019, causa C-363/2018, Organisation juive européenne) la corretta indicazione del luogo d’origine – definita in base a specifici criteri sanciti dal diritto internazionale – rappresenta uno strumento per consentire ai consumatori di determinarsi all’acquisto in base a personali scelte di natura etica.

Fermo tutto ciò, per molti alimenti l’indicazione del luogo di provenienza costituisce un elemento facoltativo dell’etichettaura, che può essere dunque espresso, purchè sia veritiero.

Sul piano però della qualità dell’alimento, tale indicazione nulla aggiunge!

In altre parole, il consumatore non è affatto garantito che il prodotto abbia qualità particolari o superiori rispetto ad un alimento analogo prodotto in un altro Stato.

L’unica garanzia è che l’alimento (non DOP o IGP) – a prescindere dal suo luogo di produzione, ma commericalizzato nell’Unione Europea – è conforme ai requisiti di sicurezza alimentare imposti dalla stessa Unione Europea (salve le frodi alimentari ed altri comportamenti illeciti).

E’ coerente tutto cio?

Sul piano della mera coerenza, forse, l’intero sistema normativo presenta qualche scricchiolio (esclusa la materia della sicurezza alimentare).

Da un canto, infatti, la mera indicazione del paese di provenienza (sulla cui veridicità i controlli sono alquanto labili) rischia di essere un poco vuota di contenuto: al di là dell’immaginario collettivo, cosa in sostanza differenzia oggettivamente il latte italiano dal latte francese?

Dall’altra, però, ai “campioni nazionali” – e cioè i prodotti alimentari DOP e IGP – è concesso dallo stesso diritto dell’Unione che la “materia prima” possa anche provenire da un paese diverso rispetto a quello ove l’alimento finale viene elaborato, purché essa risulti conforme a quando disposto dal relativo disciplinare di produzione (Reg. UE/1151/2012, art.5, comma 3, adesso sostituito dal Regolamento UE/1143/2024, art.49).

A ben vedere, però, è proprio il disciplinare a rappresentare la garanzia di un’oggettiva qualità degli alimenti DOP e IGP, alla cui definizione e presidio sta sì l’intero sistema territoriale di riferimento, che opera secondo precise regole, scrutinate attentamente (che però non valgono per i prodotti senza indicazione geografica, ma che semplicemente indicano in etichetta il nome di uno Stato, magari enfatizzando tale informazione).

Di conseguenza, con riferimento ai prodotti privi di indicazione geografica, i consumatori vengono tutelati non tanto spendendo in etichetta il “taumaturgico” nome di uno Stato (a meno che ciò consenta di valutare eticamente il prodotto che da lì proviene).

Serve più consentire ai consumatori di effettuare scelte basate su criteri realmente oggettivi e facilmente decodificabili, quali capire se trattasi di un alimento “sostenibile” o meno, quest’ultimo definito sulla base di appositi parametri pregni di concreto contenuto, il cui rispetto venga sottoposto ad effettiva sorveglianza.

In tal senso si sono (forse un poco troppo timidamente) orientati il disciplinare italiano sulla sostenibilità e – per effetto delle riforme introdotte con la PAC 2023-2027 – quelli dei prodotti DOP e IGP.

Approfondimento sulla etichetta origine nazionale alimenti.

Il tema è stato oggetto di un intervento (“Le informazioni sull’origine degli alimenti nella giurisprudenza più recente della Corte di giustizia UE“) fatto da Ermenegildo Mario Appiano al convegno “Le informazioni sugli alimenti ai consumatori a dieci anni dalla pubblicazione del regolamento (Ue) n.1169/2011”,tenutosi presso la Accademia dei Georgofili,  Firenze,  21 aprile 2021.


Is alcohol good or bad for you

Is alcohol good or bad for you? Yes.


It’s all more nuanced than headlines (including this one) suggest.


Introduzione

Qualsiasi quantitativo, anche minimo, di alcol (contenuto nel vino o nella birra) è di per sè nocivo per la salute?

Ovvero (fermo restando che qualsiasi eccesso è pacificamente dannoso!) la risposta a tale domanda richiede una valutazione più sfumata?

Bisogna cioè prendere in considerazione anche lo stile di vita e dieta di chi consuma alcool in quantità moderata (nel qual caso ha un senso la campagna wine in moderation) nonché suoi possibili effetti benefici, sì da effettuare un bilanciamento?

Ma, sopratutto, gli studi sino ad ora pubblicati sono stati effettuati con effettivo rigore e metodo scientifico oppure scontano un qualche pregiudizio, rispondendo piuttosto ad esigenze di parte (pro o contro il consumo di alcol)?

L’articolo, che infra proponamo nella sua versione integrale (Is alcohol good or bad for you? Yes), affronta proprio tali temi ed è stato di recente pubblicato (22 agosto 2024) in Harvard Public Health magazine.


Written by Kenneth Mukamal and Eric B. Rimm

This article originally appeared in Harvard Public Health magazine.
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Is alcohol good or bad for you? Yes.

It’s all more nuanced than headlines (including this one) suggest.

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I It’s hard to escape the message these days that every sip of wine, every swig of beer is bad for your health. The truth, however, is far more nuanced.

We have been researching the health effects of alcohol for a combined 60 years. Our work, and that of others, has shown that even modest alcohol consumption likely raises the risk for certain diseases, such as breast and esophageal cancer. And heavy drinking is unequivocally harmful to health. But after countless studies, the data do not justify sweeping statements about the effects of moderate alcohol consumption on human health.

Yet we continue to see reductive narratives, in the media and even in science journals, that alcohol in any amount is dangerous. Earlier this month, for instance, the media reported on a new study that found even small amounts of alcohol might be harmful. But the stories failed to give enough context or probe deeply enough to understand the study’s limitations—including that it cherry-picked subgroups of a larger study previously used by researchers, including one of us, who concluded that limited drinking in a recommended pattern correlated with lower mortality risk.

Those who try to correct this simplistic view are disparaged as pawns of the industry, even when no financial conflicts of interest exist. Meanwhile, some authors of studies suggesting alcohol is unhealthy have received money from anti-alcohol organizations.

We believe it’s worth trying, again, to set the record straight. We need more high-quality evidence to assess the health impacts of moderate alcohol consumption. And we need the media to treat the subject with the nuance it requires. Newer studies are not necessarily better than older research.

It’s important to keep in mind that alcohol affects many body systems—not just the liver and the brain, as many people imagine. That means how alcohol affects health is not a single question but the sum of many individual questions: How does it affect the heart? The immune system? The gut? The bones?

As an example, a highly cited study of one million women in the United Kingdom found that moderate alcohol consumption—calculated as no more than one drink a day for a woman—increased overall cancer rates. That was an important finding. But the increase was driven nearly entirely by breast cancer. The same study showed that greater alcohol consumption was associated with lower rates of thyroid cancer, non-Hodgkin lymphoma, and renal cell carcinoma. That doesn’t mean drinking a lot of alcohol is good for you—but it does suggest that the science around alcohol and health is complex.

One major challenge in this field is the lack of large, long-term, high-quality studies. Moderate alcohol consumption has been studied in dozens of randomized controlled trials, but those trials have never tracked more than about 200 people for more than two years. Longer and larger experimental trials have been used to test full diets, like the Mediterranean diet, and are routinely conducted to test new pharmaceuticals (or new uses for existing medications), but they’ve never been done to analyze alcohol consumption.

Instead, much alcohol research is observational, meaning it follows large groups of drinkers and abstainers over time. But observational studies cannot prove cause-and-effect because moderate drinkers differ in many ways from non-drinkers and heavy drinkers—in diet, exercise, and smoking habits, for instance. Observational studies can still yield useful information, but they also require researchers to gather data about when and how the alcohol is consumed, since alcohol’s effect on health depends heavily on drinking patterns.

For example, in an analysis of over 300,000 drinkers in the U.K., one of us found that the same total amount of alcohol appeared to increase the chances of dying prematurely if consumed on fewer occasions during the week and outside of meals, but to decrease mortality if spaced out across the week and consumed with meals. Such nuance is rarely captured in broader conversations about alcohol research—or even in observational studies, as researchers don’t always ask about drinking patterns, focusing instead on total consumption. To get a clearer picture of the health effects of alcohol, researchers and journalists must be far more attuned to the nuances of this highly complex issue.

One way to improve our collective understanding of the issue is to look at both observational and experimental data together whenever possible. When the data from both types of studies point in the same direction, we can have more confidence in the conclusion. For example, randomized controlled trials show that alcohol consumption raises levels of sex steroid hormones in the blood. Observational trials suggest that alcohol consumption also raises the risk of specific subtypes of breast cancer that respond to these hormones. Together, that evidence is highly persuasive that alcohol increases the chances of breast cancer.

Similarly, in randomized trials, alcohol consumption lowers average blood sugar levels. In observational trials, it also appears to lower the risk of diabetes. Again, that evidence is persuasive in combination.

As these examples illustrate, drinking alcohol may raise the risk of some conditions but not others. What does that mean for individuals? Patients should work with their clinicians to understand their personal risks and make informed decisions about drinking.

Medicine and public health would benefit greatly if better data were available to offer more conclusive guidance about alcohol. But that would require a major investment. Large, long-term, gold-standard studies are expensive. To date, federal agencies like the National Institutes of Health have shown no interest in exclusively funding these studies on alcohol.

Alcohol manufacturers have previously expressed some willingness to finance the studies—similar to the way pharmaceutical companies finance most drug testing—but that has often led to criticism. This happened to us, even though external experts found our proposal scientifically sound. In 2018, the National Institutes of Health ended our trial to study the health effects of alcohol. The NIH found that officials at one of its institutes had solicited funding from alcohol manufacturers, violating federal policy.

It’s tempting to assume that because heavy alcohol consumption is very bad, lesser amounts must be at least a little bad. But the science isn’t there, in part because critics of the alcohol industry have deliberately engineered a state of ignorance. They have preemptively discredited any research, even indirectly, by the alcohol industry—even though medicine relies on industry financing to support the large, gold-standard studies that provide conclusive data about drugs and devices that hundreds of millions of Americans take or use daily.

Scientific evidence about drinking alcohol goes back nearly 100 years—and includes plenty of variability in alcohol’s health effects. In the 1980s and 1990s, for instance, alcohol in moderation, and especially red wine, was touted as healthful. Now the pendulum has swung so far in the opposite direction that contemporary narratives suggest every ounce of alcohol is dangerous. Until gold-standard experiments are performed, we won’t truly know. In the meantime, we must acknowledge the complexity of existing evidence—and take care not to reduce it to a single, misleading conclusion.



Sul rapporto tra consumo (moderato, ovviamente) di vino e salute, si è anche tenuto un convegno presso l‘Accedemia di Medicina di Torino nell’anno 2020, che ha messo a disposizione il sottostante video


Alternative al consumo di vino o birra?

In tale contesto, va ora anche valutato l’ìmpatto che potrà eventualmente avere il vino dealcolato o parzialmente dealcolizzato.

Infine, quali alternative ci sono al consumo di vino o birra?

Le bibite ovvero le bevande energetiche non paiono essere la risposta certa, tenuto conto del forte quantitativo di zucchero che esse contengono (oltre alla presenza di sostanze eccitanti,  per quanto concerne le seconde).

… il dibattito è aperto!

Tecniche evoluzione assistita viticultura

Il ricorso alla Tecniche di Evoluzione Assistita (editing del genoma con i metodo «Crispr/Cas9») nella viticultura richiede una revisione dell’attuale normativa europea in materia di OGM (Tecniche evoluzione assistita viticultura), che si scontra con il “diritto ai semi”.


 

A molto tempo di distanza dall’adozione della direttiva sugli OGM (CE/18/2001), la ricerca scientifica ha compiuto un significativo progresso grazie ad Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna (insignite del Premio Nobel per la chimica nell’anno 2020).

Esse hanno ideato la cosiddetta «forbice molecolare», un rivoluzionario metodo di editing del genoma (definito «Crispr/Cas9»), che consente di modificare il DNA di piante ed animali in modo preciso e specifico.

In buona sostanza e semplificando al massimo, il ricorso alla tecnica Crispr/Cas9 porta a risultati alquanto analoghi a quanto avviene in natura (ma in tempi molto più brevi, circa 3 anni attualmente), nel momento in cui nel genoma di una pianta si inserisce quello di una specie affine, ottenendo così un fenomeno di cisgenesi e non di transgenesi.

Gli ostacoli normativi all’impiego delle TEA in agricoltura

Vista infatti la definizione molto ampia di OGM adottata nel 2001 dalla legislazione comunitaria, nell’anno 2018 la Corte di Giustizia ha ritenuto che siano da considerarsi tali anche le varietà (nella fattispecie si trattava di colza resa resistente agli erbicidi) ottenute per mutagenesi tramite il ricorso alla tecnica Crispr/Cas9.

Di conseguenza, il loro inserimento in natura è soggetto alle medesime cautele che a suo tempo sono state volute per il mais transgenetico.

 

La proposta di una nuova regolamentazione europea per le TEA (Tecniche evoluzione assistita viticultura)

 

La soluzione è dunque di natura politica, consistendo in una riforma dell’attuale quadro normativo.

In proposito, dopo aver proceduto alla rituale consultazione pubblica (che ha ricevuto oltre settantamila commenti, a dimostrazione di quanto il tema sia sensibile, la Commissione ha recentemente presentato una proposta per un regolamento relativo alle piante ottenute mediante alcune nuove tecniche genomiche (NGT, che noi chiamiamo impropriamente TEA, usando un termine di origine giornalistica) nonché agli alimenti e ai mangimi da esse derivati, secondo cui esso dovrebbe configurare una lex specialis rispetto alla legislazione in materia di OGM.

In base alla proposta in esame, le NGT – in cui rientra la mutagenesi mirata e la cisgenesi (compresa l’intragenesi) – sono considerate costituire un gruppo distinto di tecniche, capaci di portare a modificazioni più mirate e precise del genoma rispetto alle tecniche di selezione convenzionali ovvero a tecniche genomiche consolidate.

Ciò permette di raggiungere risultati che potrebbero o meno essere conseguiti in natura o mediante tecniche di selezione convenzionali.

Proprio alla luce di tali considerazionii, la riforma della normativa europea si propone quindi di facilitare l’impiego della TEA in agricoltura.

 

Ostacoli alla riforma: lo scontro tra il “diritto ai semi” e le privative industriali.

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Tuttavia’iter legislativo appare piuttosto complesso, sopratutto poiché nella discussione tra le istituzioni è entrato il tema dell’impatto che le NGT potrebbero avere sulla biodiversità e l’accesso delle popolazioni a semi e varietà vegetali necessarie per il sostentamento umano.

In sostanza, emerge la questione del cosiddetto “diritto ai semi” in capo a chi (popolazioni agricole) ha contribuito nei secoli a presenvare e creare le varietà vegetali su cui le TEA opererebbero.

Infatti, il citato “diritto ai semi” verrebbe verosimilmente fortemente pregiudicato dai diritti di privativa industriale concesso agli sviluppatori delle varietà realizzate tramite TEA, fodati su:

 

Alla luce di tali perplessità, il Parlamento europeo – pur riconoscendo l’importanza della sviluppo di nuove piante realizzate tramite le TEA, ha richiesto

“un’analisi completa degli effetti socioeconomici e ambientali che i brevetti relativi ai processi di selezione, al materiale di moltiplicazione delle piante e a parti degli stessi hanno sul sistema alimentare, compreso il loro potenziale in termini di aumento della concentrazione del mercato e della monopolizzazione nella filiera alimentare, nonché sull’accessibilità economica e la disponibilità dei prodotti alimentari”

 

Un nostro studio (Ermenegildo Mario Appiano, “Limiti legali all’uso di varietà vegetali nella vinificazione: status quo e future regole sulle nuove tecniche genomiche“, in Alimenta 2024, p.31) approfondisce tali questioni, esaminando anche gli ostacoli alla riforma dell’attuale quadro normativo europeo derivanti dalla opposizioni connesse all’attuale disciplina dei brevetti sulle invenzioni biotecnologiche.

 

Agricoltore custode ambiente territorio

Riconosciuto il ruolo dell’agricoltore custode ambiente territorio per effetto della legge 24/2024 adottata dal Parlamento italiano


Il ruolo dell’agricoltore custode ambiente territorio era stato fortemente evidenziato dalle Istituzioni europee già  in occasione dell’adozione della riforma della  PAC per il periodo 2013-2020.

Già in tale contesto, infatti, si parlava di sostenibilità, focalizzando l’attenzione sulle prestazioni ambientali dell’agricoltura e considerando particolarmente rilevanti quelle utili a contrastare i cambiamenti climatici ed a mitigarne gli effetti (ad esempio, lo sviluppo di una maggiore resilienza del territorio ai disastri provocati da allagamenti, incendi e siccità).

All’agricoltore veniva così riconosciuto il suo naturale ruolo di “sentinella del territorio“.

In tale contesto si colloca adesso la legge 28 febbraio 2024, n.24, recante le Disposizioni per il riconoscimento della figura dell’agricoltore custode dell’ambiente e del territorio e per l’istituzione della Giornata nazionale dell’agricoltura.

Effetti della legge 24/2024.

Le Regioni e gli altri Enti pubblici territoriali avranno modo di promuovere la figura dell’agricoltore custode ambiente territorio nei seguenti modi:

    • attraverso progetti, accordi e protocolli d’intesa volti a valorizzare il ruolo sociale dell’agricoltore
    • realizzare opere finalizzate allo svolgimento delle attivita’ caratterizzanti detto ruolo dell’agricoltore (infra specificate) e per la protezione dei coltivi e degli allevamenti.
    • riconoscimento di specifici criteri di premialita’, inclusivi della riduzione dei
      tributi di rispettiva competenza, nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato.

Quali sono le attività agricole che consentono di beneficiare del riconoscimento?

Si tratta delle seguenti:

a) manutenzione del territorio attraverso attivita’ di sistemazione, di salvaguardia del paesaggio agrario, montano e forestale e di pulizia del sottobosco, nonche’ cura e mantenimento dell’assetto idraulico e idrogeologico e difesa del suolo e della vegetazione da avversita’ atmosferiche e incendi boschivi;

b) custodia della biodiversita’ rurale intesa come conservazione e valorizzazione delle varieta’ colturali locali;

c) allevamento di razze animali e coltivazione di varietà vegetali locali;

d) conservazione e tutela di formazioni vegetali e arboree monumentali;

e) contrasto all’abbandono delle attivita’ agricole, al dissesto idrogeologico e al consumo del suolo;

f) contrasto alla perdita di biodiversita’ attraverso la tutela dei prati polifiti, delle siepi, dei boschi, delle api e di altri insetti impollinatori e coltivazione di piante erbacee di varieta’ a comprovato potenziale nettarifero e pollinifero.

Quali soggetti possono ottenere il riconoscimento di Agricoltore custode ambiente territorio?

Beneficiari del riconoscimento sono gli imprenditori agricoli (singoli o associati), che esercitano l’attivita’ agricola ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile, nonche’ le societa’ cooperative del settore agricolo e forestale.

Dunque, tali soggetto possono vedere riconsciuto il loro ruolo sociale e beneficiare delle relative agevolazioni, a condizione che esercitino una o più delle attività appena citate.

 

 

 

sanzioni produzione commercio vino

Il sistema sanzionatorio nel Testo Unico Vino (sanzioni produzione commercio vino).


In caso di illeciti nella produzione e nel commercio del vino, le sanzioni sono stabilite nel Testo Unico Vino (sanzioni produzione commercio vino), e precisamente nel suo Titolo VII.

Quale tipo di sanzioni prevede il Testo Unico Vino?

Trattasi di sanzioni aventi natura amministrativa.

Attenzione: il Testo Univo Vino non esaurisce tutte le norme sanzionatorie applicabili a tale materia, poiché si deve quanto meno tenere anche conto delle norme penali applicabili a tale settore.

Le norme penali non sono contenute nel Testo Unico Vino

Pertanto, per avere un’idea più completa del sistema sanzionatorio che presidia la produzione ed il commercio del vino, si deve fra l’altro considerare:

    • le regole penali connesse alla disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande (le norme “sopravvissute” della legge 283/1962, come in ultimo disposto dalla legge 71/2021, in particolare artt. 5, 8 e 9)

Il nostro webinar.

Come si intuirà da quanto appena detto, il quadro sanzionatorio è dunque molto complesso, articolandosi tra sanzioni penali e sanzioni amministrative.

Come si coordina tutto quanto?

E’ possibile appellarsi al principio di ne bis in idem, qualora la medesima condotta venga sanzionata sul piano amministrativo e su quello penale?

In cosa consiste l’istitituto della diffida e quello del ravvedimento operoso?

Come difendersi?

Ecco i temi che trattiamo nel nostro seminario.


 

 

 

WOJCIECHOWSKI etichettatura vino QRCode

La lettera di Janusz Wojciechowski sul QR Code in etichetta vini: nulla di nuovo sotto il sole! (Wojciechowski etichettatura vino QRCode)


Il 12 marzo 2024 Janusz Wojciechowski (membro della Direzione Agricoltura della Commissione UE), rispondendo ad alcune sollecitazioni  al riguardo, ha fornito alcuni ulteriori chiarimenti circa le diciture che devono essere affiancate al QR Code, apponibile sulle etichette dei vini per fornire in via elettronica i dati nutrizionali e quelli sugli ingredienti (Wojciechowski etichettatura vino QRCode).

Perché un QR Code?

Per i vini prodotti dopo l’8 dicembre 2023, in etichetta devono essere indicati:

      • i valori nutrizionali
      • ed i composti enologici utilizzati nella vinificazione che, secondo il Codice enologico europeo, costituiscono “ingredienti“: di conseguenza, non sussiste l’obbligo di indicare i “coadiuvanti tecnologici“.

A chi imbottiglia è concessa la scelta tra due opzioni:

 

Perché l’intervento di Wojciechowski etichettatura vino QRCode?

Verosimilmente senza avere una visione d’insieme sul quadro giuridico della normativa europea sull’etichettura degli alimenti (i cui principi si applicano anche ai vini), molti produttori hanno predisposto e stampato le loro etichette cartacee apponendo sì il QR Code, ma senza affiancarlo da alcuna dicitura capace di far capire ai consumatori a cosa esso serve.

Il caso è scoppiato quando a fine novembre 2023 la Commissione Europea ha pubblicato una Comunicazione, portante le Linee Guida sull’etichettatura nutizionale e su quella degli ingredienti del vino, le quali stabiliscono (punto 38 nel finale):

“La presentazione di un codice QR dovrebbe pertanto essere chiara per i consumatori per quanto riguarda il suo contenuto, ossia le informazioni obbligatorie presentate per via elettronica. Termini o simboli generici (come una «i») non sono sufficienti per soddisfare gli obblighi di questa disposizione. Se le informazioni fornite per via elettronica (identificate, ad esempio, da un codice QR) riguardano l’elenco degli ingredienti, è necessario utilizzare un’intestazione di cui all’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento FIC, come avviene attualmente per le etichette cartacee utilizzate per altri alimenti (ossia contenenti la parola «ingredienti»).
Per i termini utilizzati, il loro regime linguistico è soggetto alle stesse norme delle altre indicazioni obbligatorie di cui all’articolo 119 del regolamento OCM, vale a dire le norme definite lex specialis all’articolo 121 del regolamento OCM”.

Linee Guida Commissione UE etichettatura vino

Di conseguenza, le etichette recanti un QR Code “muto” non sono legali, non assolvendo adeguatamente all’obbligo di portare a conoscenza i consumatori su dati nutrizionali ed ingredienti,

Da qui la richiesta di chiarimenti, nel tentativo di salvare le etichette in questione.

Salvataggio che avrebbe però pregiudicato i diritti dei consumatori.

 

In cosa consiste la risposta di Wojciechowski?

Sono stati ribaditi i principi illustrati in precedenza.

Viene infatti detto:

“The simple appearance on a label of an unidentified QR code is not sufficient; in all cases, consumers must be able to understand what type of information can be found “behind” QR codes or other electronic means”.

E’ dunque necessario che il QR Code sia affiancato da una dicitura, che spiega a cosa esso serve, e cioè che utilizzandolo è possibile accedere al supporto elettornico, ove sono pubblicati i dati nutrizionali e quelli sugli ingredienti.

Non è sufficiente una sigla ovvero una abbreviazione.

A questo punto, la questione diventa: tale dicitura in quale lingua va espressa?

Ecco la risposta:

“… the language rules applicable to this term is the same as the one currently applied to the other particulars, which should appear on the labels in one or more official languages of the Union (as stated in point 38 of the Notice). For bottles of wine exported outside the EU, labels including their language may have to be adjusted to the national law of the importing third countries”.

In buona sostanza, la dicitura è soggetta al medesimo regime linguistico applicabile agli altri dati obbligatori che devono apparire in etichetta (come disposto dall’art.121 del regolamento UE/1308/2013), fermo restando che per gli allergeni vanno usate le espressioni indicate nell’allegato I al regolamento UE/33/2019 (le quali variano invece a seconda della lingua usata nello Stato ove viene commercializzato il vino) .

… quindi niente di nuovo sotto il sole (al contrario di quanto ritenuto da altri commentatori)!

Un point c’est tout!

UN POINT C’EST TOUT! – Il lento deperimento dei vigneti e la decandenza dei terroir.


Un point c’est tout è un grido di allarme lanciato dal vivaista francese Lilian Bérillon.

I grandi vigneti stanno correndo il pericolo di ridursi drasticamente, non solo a causa del cambiamento climatico, ma anche per la carenza di un adeguato patrimonio genetico nelle viti piantate nei vigneti stessi, a causa dei metodi industriali (clonazione) con cui esse vengono prodotte.

Ciò si ripercuote sullo stesso terroir: viti siffatte non sono in grado di conferire adeguate qualità ai vini ottenuti con le loro uve, per cui viene meno uno degli elemento essenziali affinchè un terroir possa esprimere le sue potenzialità nei relativi vini.

La perdita di patrimonio genetico nelle viti prodotte tramite clonazione

 

Così viene presentato il documentario/denuncia (realizzato nell’anno 2023 e pubblicato nel febbraio 2024) sul sito del suo autore:

“Dans un monde viticole où, depuis des décennies, la qualité du végétal n’est parfois plus qu’un détail dans l’équation globale, montrer qu’une autre voie est possible relève du parcours du combattant.

Depuis les années 1970 en effet, le monde des pépiniéristes a mis en place un système très productiviste, permettant de proposer des plants bon marchés greffés de manière industrielle.

« Débourser 1€ ou 1,3€ pour un pied de vigne est devenu la norme » rappelle Lilian Bérillon. Pourtant, derrière ces prix très accessibles, se cache une réalité pour le moins préoccupante.

Les plants de vigne clonés fournis, outre leur absence de diversité génétique (et donc leur comportement identique face aux conditions climatiques) s’avèrent généralement plus sensibles aux différentes maladies du bois.

Une partie du vignoble français (la situation est exactement la même chez nos voisins italiens ou espagnols) dépérit ainsi rapidement.

« Les taux de mortalité observés sont très conséquents dès les premières années, notamment sur les sauvignons blancs et les cabernets, parfois de l’ordre de 2% ou 3% par an » explique Lilian.

« Après une vingtaine d’années, les vignerons préfèrent souvent arracher et replanter ».

Or, ce sont aussi les vieilles vignes qui permettent d’exprimer davantage de complexité ainsi qu’une vraie identité dans les vins.

Qu’adviendra-t-il donc demain quand les vignes anciennes, plantées avant les années 1970 et la généralisation du clonage des plants, mourront ?

Et quelle viticulture souhaite-t-on porter aujourd’hui ?

C’est là que le projet de Lilian Bérillon prend tout son sens”.

 

 

Le nuove tecniche genomiche (NGT ovvero le tecniche di evoluzione assistita)

In questo dibattito si inserisce anche la “nuova frontiera”, rappresentata dalla possibilità di utilizzare la cosiddetta «forbice molecolare» ideata da Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna (insignite del Premio Nobel per la chimica nell’anno 2020) nella produzione di nuove varietà vegetali, e quindi anche ibridi di vite.

Si tratta di un rivoluzionario metodo di editing del genoma (definito «Crispr/Cas9»), che consente di modificare il DNA di piante ed animali  in modo preciso e specifico.

Tuttavia, in base all’attuale legislazione dell’Unione Europea, i vegetali ottenuti tramite il metodo «Crispr/Cas9» sono equiparati agli OGM.

Per modificare l’attuale situazione, a livello europeo è attualmente in corso una procedura legislativa: se portata a termine,  le piante (ed i prodotti da loro derivati) NGT – che potrebbero essere presenti anche in natura o venire prodotte mediante tecniche di selezione convenzionali – riceverebbero un trattamento sostanzialmente analogo a quello per le piante convenzionali.

Resta da capire se ciò consentirà o meno di superare i problemi denunciati da Lilian Bérillon.

 

riforma denominazioni origine indicazioni geografiche europa

Il Regolamento UE/1143/2024 porta la riforma delle norme UE sulla protezione delle indicazioni geografiche per il vino, le bevande spiritose e i prodotti agricoli (riforma denominazioni origine indicazioni geografiche europa)


La riforma (riforma denominazioni origine indicazioni geografiche europa) è ormai attuata con l’adozione del nuovo regolamento dell’Unione Europea in materia (Regolamento UE/1143/2024).


Nell’autunno del 2024 tratteremo il tema in un ciclo di webinar, realizzati in collaborazione con Ascheri Academy (partecipazione gratuita, previa iscrizione).

riforma denominazioni origine indicazioni geografiche europa - Ascheri Acedemy, ciclo di webinar, autunno 2024



I criteri ispiratori della riforma denominazioni origine indicazioni geografiche europa

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Due i criteri principali.

Il primo è che i prodotti di qualità rappresentano una delle maggiori risorse di cui dispone l’Unione, economiche e di identità culturale, al punto che essi sono considerati la rappresentazione più forte del «made in the UE», riconoscibile in tutto il mondo e generante crescita.

Vini, bevande spiritose e prodotti agricoli, compresi quelli alimentari, sono elevati al livello di un vero e proprio patrimonio europeo, che va ulteriormente rafforzato e protetto, fermo restando che la sua creazione è avvenuta grazie alle competenze e alla determinazione dei produttori dell’Unione, i quali hanno mantenuto vive le proprie tradizioni e la diversità delle rispettive identità culturali.

Il secondo è che le indicazioni geografiche hanno la potenzialità per svolgere un ruolo importante in termini di sostenibilità, anche nel contesto dell’economia circolare, così da contribuire – nel quadro delle politiche nazionali e regionali – a raggiungere gli obiettivi del Green Deal europeo.

In cosa consiste la disciplina del nuovo regolamento europeo?

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Uniformati gli aspetti procedurali in relazione al riconoscimento di nuove denominazioni di origine ed indicazioni geografiche per vini, alimenti e bevande spiritose nonché alla modificazione dei disciplinari di quelle già esistenti.

Introdotte inoltre significative innovazioni alla disciplina – parimenti unitaria, ma questo già in passato – sulle organizzazioni professionali ed inter-professionali dei produttori, le quali vedranno in buona sostanza accrescere i loro poteri.

Nuova linfa per l’azione dei consorzi di tutela:  attribuiti ulteriori poteri “erga omnes”, in relazione alla regolazione dell’offerta di prodotti agricoli DOP e IGP, cui si aggiungono quelli di concorrere al controllo del rispetto dei disciplinari di produzione.

Rafforzati infine gli strumenti per la protezione a livello internazionale di denominazioni ed indicazioni geografiche.

Da un canto, aumentano i poteri delle autorità di controllo per quanto concerne il commercio elettronico.

Dall’altro, migliorano le condizioni per la registrazione di DOP e IGP europee nel sistema WIPO (World Intellectual Property Organization) istituito con l’Accordo di Lisbona, come poi modificato dall’Atto di Ginevra.

A tale sistema, infatti, l’Unione Europea già partecipa da qualche anno (in base ai meccanismi indicati nel regolamento UE/1753/2019), ma sino ad ora in modo poco efficace.  Anche in questo campo, si rafforza l’azione dei consorzi.

Più nel dettaglio: cosa caratterizza la riforma denominazioni origine indicazioni geografiche europa?

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Ad ogni modo, non si è giunti ad un’unica definizione di indicazione geografica.

Continuano a sussistere – seppure con qualche modificazione – quelle oggi esistenti rispettivamente per:

      • prodotti agricoli ed alimenti (traslate però nel nuovo regolamento, insieme alla disciplina sugli altri relativi termini di qualità, quali le specialità tradizionali tipiche ed i prodotti della montagna, giacché verrà abrogato l’attuale regolamento 1151/2012/UE),
      • vini e liquori (lasciate nel regolamento 1308/2013/UE),
      • bevande spiritose (contenute nel regolamento 787/2019/UE )

Ciò in quanto la loro disciplina è diversa in sede WTO (e cioiè negli accordi TRIPS).

Analogamente vale per i disciplinari di produzione, la cui importanza viene però fortemente incrementata, giacché essi documentano – nell’interesse dei consumatori – in cosa oggettivamente consiste il valore e la qualità della corrispondente denominazione.

Attenzione: per effetto di precedenti interventi legislativi, adottati in occasione della PAC 2023-2027, i vini aromatizzati sono principalmente soggetti alla disciplina in materia di alimenti.

Fatte salve alcune specifiche regole loro dedicate (portate da quanto sopravvive del regolamento UE/251/2014, principalmente vertenti sulle relative definizioni di prodotto).

Se tale situazione potrebbe essere percepita come una sorta di anomalia, essa viene comunque meno per effetto dell’armonizzazione introdotta dal Regolamento 1143/202.

Poca attenzione alla sostenibilità.

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Quanto alla sostenibilità, nulla cambia con riferimento al ruolo dei disciplinari di produzione rispetto a quanto già introdotto con la riforma della PAC 2023-2027.

Permane infatti a livello di mera facoltà l’indicare come la singola denominazione possa contribuire a concorrere a tale obiettivo.

Sotto questo aspetto, l’attuale riforma manca purtroppo di coraggio.

Le decisioni che hanno portato alla riforma.

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Dopo avere concordato a livello politico il testo del futuro regolamento in questione (cosa avvenuta l’11 dicembre 2023, documento AGRI_LA(2023)012101_EN, recante il testo legislativo concordato), il 28 febbraio 2024 il Parlamento Europeo ha formalmente espresso la sua approvazione (documento P9_TA(2024)0101).

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L’approvazione da parte del Consiglio Europeo è intervenuta il 26/3/2024.

Si è giunti così all’adeozione del Regolamento (UE) 2024/1143 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 aprile 2024, relativo alle indicazioni geografiche dei vini, delle bevande spiritose e dei prodotti agricoli, nonché alle specialità tradizionali garantite e alle indicazioni facoltative di qualità per i prodotti agricoli.

Esso modifica i regolamenti (UE) n. 1308/2013, (UE) 2019/787 e (UE) 2019/1753 e abroga il regolamento (UE) n. 1151/2012.

Etichettatura vini 2024 webinar

Etichettatura vini 2024 webinar


Contenuto del webinar sui nuovi requisiti per etichettatura vini

 

Come etichettare correttamente i vini, indicando i nuovi dati richiesti dalla legislazione dell’Unione Europea (Webinar etichettatura vini 2024)

Illustriamo la nuova disciplina sull’etichettaura dei vini, per quanto concerne le informazioni su:

Spieghiamo altresì come fornire (è una facoltà per le imprese) dette informazioni mediante supporti elettronici, cui rinviare con un codice ottico (QR Code o altro) correttamente stampato.

 


Fonti normative citate nel webinar

 

Per una approfondimento sulle fonti normative citate nel webina, rimandiamo alle apposite pagine del nostro sito:

 



 

 

 

Etichetta elettronica vini

Etichetta elettronica vini: le nuove indicazioni obbligatorie su ingredienti, valore nutrizionale e smaltimento contenitori.


Il 1 febbraio 2024, ore 18:00, presso Ascheri Academy terremo un webinar su etichetta elettronica vini, e cioè come etichettare correttamente un vino, usando QR Code o altri codici ottici,  in relazione ai nuovi dati obbligatori:

Trattasi di nuovi adempimenti previsti dalle norme europee.

 

Perché altre norme europee?

Da un canto, tutto ciò può sembrare inutile burocrazia.

Dall’altro, però, va ricordato che l’esistenza della legislazione europea è proprio ciò che consente la libera circolazione dei prodotti all’interno della stessa Unione, con vantaggio per tutti.

In altre parole, se tali norme non esistessero, i vini italiani dovrebbero pagare dazi e sottostare ad altre restrizioni al momento di entrare negli altri Stati dell’Unione e viceversa.

Ad esempio, anzichè essere etichettati sulla base di norme comuni (decise di comune accordo tra gli Stati in sede europea), l’etichettura dovrebbe avvenire seguendo quanto previsto dalla legge di ciascuno Stato ove avviene l’importazione (il che equivarebbe a conoscere e poi rispettare il contenuto di 27 legislazioni diverse …., i costi aumenterebbero vertiginosamente!).

Infine, se i produttori possono magari dolersi di tale normativa, i consumatori forse ne traggono vantaggio …

 

Come partecipare?

La partecipazione al webinar è gratuita, previa iscrizione.