Etichetta elettronica vini

Etichetta elettronica vini: le nuove indicazioni obbligatorie su ingredienti, valore nutrizionale e smaltimento contenitori.


Il 1 febbraio 2024, ore 18:00, presso Ascheri Academy terremo un webinar su etichetta elettronica vini, e cioè come etichettare correttamente un vino, usando QR Code o altri codici ottici,  in relazione ai nuovi dati obbligatori:

Trattasi di nuovi adempimenti previsti dalle norme europee.

 

Perché altre norme europee?

Da un canto, tutto ciò può sembrare inutile burocrazia.

Dall’altro, però, va ricordato che l’esistenza della legislazione europea è proprio ciò che consente la libera circolazione dei prodotti all’interno della stessa Unione, con vantaggio per tutti.

In altre parole, se tali norme non esistessero, i vini italiani dovrebbero pagare dazi e sottostare ad altre restrizioni al momento di entrare negli altri Stati dell’Unione e viceversa.

Ad esempio, anzichè essere etichettati sulla base di norme comuni (decise di comune accordo tra gli Stati in sede europea), l’etichettura dovrebbe avvenire seguendo quanto previsto dalla legge di ciascuno Stato ove avviene l’importazione (il che equivarebbe a conoscere e poi rispettare il contenuto di 27 legislazioni diverse …., i costi aumenterebbero vertiginosamente!).

Infine, se i produttori possono magari dolersi di tale normativa, i consumatori forse ne traggono vantaggio …

 

Come partecipare?

La partecipazione al webinar è gratuita, previa iscrizione.


 

 

 

Linee Guida Commissione UE Etichettatura vini

Linee Guida Commissione UE etichettatura vini: come etichettare correttamente i dati nutrizionali e gli ingredienti dei vini


Mediante un‘apposita comunicazione, pubblicata a fine novembre 2023, sono state fornite le Linee Guida Commissione UE etichettatura vini.

A cosa servono

Le Linee Guida forniscono alcuni importanti chiarimenti sulle principali questioni relative ai nuovi requisiti previsti dalla legislazione dell’Unione Europea.

Esse  impongono di integrare le etichette esistenti (per le quali restano ferme tutte le previsioni sin’ora esistenti) con le indicaizoni relative ai dati nutirzionali e quelli sugli ingredienti.

Quali sono i vini interessati dai nuovi requisiti.

Tutti i vini prodotti dopo l’8 dicembre 2023.

Su come individuarli, le stesse Linee guida forniscono importanti indicazioni.

Le nuove  indicazioni sono obbligatorie?

Si, rientrano tra quelle che devono obbligatoriamente comparire sulle etichettte, in loro mancanza i prodotti non possono essere commercializzati.

Quale valore hanno le Linee guida?

Rappresentano un’interpretazione autentica della normativa unionale emanata dalla Commissione in materia di etichettatura dei vini (regolamento UE/33/2019).

Le Linee guida trattano l’etichettatura elettronica?

Certamente, è un tema centrale.

Particolare attenzione viene dedicata a:

      • QR Code (come va applicato, quali caratteristiche deve avere,  …) che i produttori hanno facoltà di apporre sull’etichetta per rinviare al supporto elettronico criportante i dati nutrizionali completi e gli ingredienti utilizzati.
      • dati che devono sempre essere presenti sull’etichetta cartacea (valore energetico ed indicazione degli allergeni), anche se viene utilizzato il QR Code.

Linee Guida Commissione UE etichettatura vino

Il MASAF ha emanato una circolare in materia?

Si, la circolare 656765 del 28/11/2023.

Tuttavia le Linee guida emanate dalla Commissione UE :

      • sono molto più dettagliate
      • hanno valore decisamente superiore rispetto a quanto indicato nella circolare ministeriale.

 

Trattano anche l’etichettatura ambientale?

No, la materia è regolata da una direttiva unionale, per cui sono gli Stati membri a disciplinare la materia attuando la direttiva stessa.

Quindi bisgona fare riferimento alla normativa nazionale.



Webinar sui nuovi requisiti per etichettatura vini

 

In questo nostro  webinar,  illustriamo la nuova disciplina sull’etichettaura dei vini, per quanto concerne le informazioni su ingredienti + valori nutrizionali e quelle relative alla raccolta differenziata di contenitori e tappi.

 

 

 


 

 

 

 

Ibridi incroci varietali vinificazione

Limiti legali all’uso di incroci / ibridi varietali nella vinificazione (ibridi incroci varietali vinificazione)


Secondo la legislazione europea (art.81 del Regolamento UE/1308/2013), compete agli Stati membri determinare quali sono le varietà di uve da vino (e cioè i vitigni le cui cui bacche sono ammesse alla vinificazione a fini commerciali), a condizione però che esse appartengano alla specie Vitis vinifera o provengano da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis (ibridi incroci varietali vinificazione), fermo poi il divieto all’uso delle varietà Noah, Othello, Isabelle, Jacquez, Clinton e Herbemont.

Con la riforma della PAC 2023/2027 è stato peraltro rimosso il divieto di utilizzare i suddetti incroci per la produzione dei vini DOP e IGP (art.93 di detto regolamento UE), che in precedenza consentiva invece l’impiego delle sole varietà del genere Vitis vinifera.

In Italia la competenza in questione spetta alle Regioni, alla luce dell’accordo concluso tra le medesime e lo Stato il 25 luglio 2002. Di conseguenza, ciascuna Regione procede ad individuare quali sono le varietà di uve da vino coltivabili sul proprio territorio, nel rispetto dei limiti unionali sopra indicati.

Ovviamente, per quanto riguarda le singole denominazioni di origine e indicazioni geografiche, è alla fine il relativo disciplinare a determinare la specifica base ampelografica dei rispettivi vini, purché nell’ambito dei limiti unionali e regionali.

Breeding: tecniche genetiche per realizzare incroci – ibridi e disciplina degli OGM

In tale contesto normativo, vi è dunque ampio spazio per il ricorso agli incroci (“breeding”), i quali possono presentare qualità di resistenza – sia agli agenti patogeni che alle avversità climatiche, prima fra tutte la siccità – superiori rispetto alle qualità da cui derivano e, se adeguatamente selezionati, produrre frutti con valide caratteristiche qualitative.

Il modo tradizionale per ottenere gli incroci è quello discendente dalla ibridazione naturale, e cioè attraverso tecniche botaniche che – usando i sistemi riproduttivi esistenti in natura – consentono di ottenere un nuovo vegetale, ove alcune caratteristiche genetiche sono variate rispetto a quelle delle piante da cui esso è originato.

Esempi famosi sono il Bianco Manzoni (incrocio tra il Riesling renano e Pinot bianco) e il Muller Thurgau (incrocio tra Riesling renano e Madeleine Royale). I tempi medi di realizzazione variano tra i 15 ed i 25 anni.

L’ibridazione naturale ha così condotto alla creazione dei cosiddetti PIWI, il quale  è un acronimo che viene dal tedesco “pilzwiderstandfähig”, significante  “viti resistenti ai funghi”.

La scienza moderna ha però capito come ottenere mutamenti genetici nelle piante anche mediante altre metodologie (ibridi incroci varietali vinificazione) .

Negli anni ‘90 si è iniziato a parlare di OGM (organismi genericamente modificati), ove particolari tecniche permettono di creare nuovi individui (piante o animali) con un patrimonio genetico variato, frutto dell’inserzione – tendenzialmente casuale quanto alla sua “localizzazione” nel genoma – di elementi esogeni nel loro DNA, cosa non possibile in natura.

Al contrario degli Stati Uniti, nel disciplinare la loro introduzione in natura, l’Unione Europea ha assunto un atteggiamento ispirato al criterio di precauzione, secondo cui ciò può avvenire solo dopo un’attenta ed approfondita valutazione dei rischi possibili per l’ambiente e la salute (Direttiva CE/18/2001, art.4).

In particolare, detta direttiva definisce in modo molto ampio un OGM, intendendo per tale “un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale”.

Inoltre, è completamente vietato l’uso di OGM nella produzione biologica (Regolamento UE/848/2018, art.5).

Le varietà vegetali ottenute con le tecniche Crispr/Cas9 sono considerate OGM.

A parte le guerre commerciali con gli Stati Uniti, nei venti anni successivi sono sostanzialmente avvenute due cose.

In primo luogo, la crisi climatica è purtroppo divenuta a tutti notoria ed ha accelerato il suo corso.

In secondo luogo, ad opera di Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna (insignite del Premio Nobel per la chimica nell’anno 2020) è stata scoperta la cosiddetta “forbice molecolare”, un rivoluzionario metodo di editing del genoma (Crispr/Cas9), che consente di modificare il DNA di piante ed animali in modo preciso e specifico.

In buona sostanza, il ricorso alla tecnica Crispr/Cas9 porta a risultati alquanto analoghi a quanto avviene in natura (ma in tempi molto più brevi, circa 3 anni attualmente), nel momento in cui nel genoma di una pianta si inserisce quello di una specie affine, ottenendo così un fenomeno di cisgenesi e non di trangenesi.

Vista però la definizione molto ampia di OGM adottata nel 2001 dalla legislazione comunitaria, la Corte di Giustizia ha correttamente ritenuto (sentenza del 25 luglio 2018, causa C-528/2016) che sono da considerarsi tali anche gli ibridi di vite ottenuti tramite il ricorso alla tecnica Crispr/Cas9. Di conseguenza, il loro inserimento in natura è soggetto alle medesime cautele che a suo tempo sono state volute per il mais trasgenetico.

Il che conseguentemente implica forti limiti all’uso degli ibridi di vite – ottenuti tramite il ricorso alla tecnica Crispr/Cas9 – per la vinificazione, quand’anche gli Stati membri intendessero inserirli nell’elenco delle uve da vino consentite.

Così infatti ha sancito la Corte:

51   … l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/18, in combinato disposto con l’allegato I B, punto 1, a quest’ultima, non può essere interpretato nel senso di escludere dall’ambito di applicazione di tale direttiva organismi ottenuti mediante nuove tecniche o nuovi metodi di mutagenesi, che sono emersi o si sono principalmente sviluppati dopo l’adozione della direttiva in parola. Infatti, un’interpretazione del genere porterebbe a disconoscere l’intenzione del legislatore dell’Unione, riflessa nel considerando 17 di tale direttiva, di escludere dal suo ambito di applicazione solo organismi ottenuti tramite tecniche o metodi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza

52   Tale conclusione è rafforzata dall’obiettivo della direttiva 2001/18 che, come emerge dall’articolo 1 di quest’ultima, mira, conformemente al principio di precauzione, alla tutela della salute umana e dell’ambiente, da un lato, quando si immettono deliberatamente nell’ambiente OGM per uno scopo diverso dall’immissione in commercio all’interno dell’Unione e, dall’altro, quando si immettono in commercio all’interno dell’Unione OGM come prodotti o all’interno di prodotti.

53  Infatti, come previsto dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/18 spetta agli Stati membri, nel rispetto del principio di precauzione, provvedere affinché siano adottate tutte le misure atte ad evitare effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente che potrebbero derivare dall’emissione deliberata o dall’immissione in commercio di OGM. Ciò implica in particolare che una siffatta emissione deliberata o immissione sul mercato può avvenire solo al termine di procedure di valutazione dei rischi individuate rispettivamente nella parte B e nella parte C di tale direttiva. Orbene, com’è stato indicato al punto 48 della presente sentenza, i rischi per l’ambiente o la salute umana legati all’impiego di nuove tecniche o nuovi metodi di mutagenesi, ai quali fa riferimento il giudice del rinvio, potrebbero essere simili a quelli risultanti dalla produzione e dalla diffusione di OGM tramite transgenesi. Ne consegue che un’interpretazione della deroga contenuta all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/18, in combinato disposto con l’allegato I B, punto 1, a quest’ultima, che escludesse dall’ambito di applicazione di tale direttiva gli organismi ottenuti mediante tecniche o metodi di mutagenesi, senza alcuna distinzione, pregiudicherebbe l’obiettivo di tutela perseguito dalla direttiva in parola e violerebbe il principio di precauzione che essa mira ad attuare.

La Corte ha poi precisato che analoghi limiti si pongono per inserire gli ibridi varietali ottenuti con la tecnica Crispr/Cas9 nel “catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole“, di cui alla direttiva CE/53/2002:

“67 Ne consegue che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2002/53, e degli obblighi in materia di tutela della salute e dell’ambiente che tale disposizione impone ai fini dell’ammissione delle varietà nel catalogo comune, le varietà geneticamente modificate ottenute mediante tecniche o metodi di mutagenesi come quelli di cui al procedimento principale, fatta eccezione per le varietà ottenute con tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza.

68  Tenuto conto di tutto quanto precede, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2002/53 deve essere interpretato nel senso che sono esentate dagli obblighi previsti da tale disposizione le varietà geneticamente modificate ottenute con tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza”.

Insomma, in base a detta sentenza,  gli ibridi varietali ottenuti con la tecnica Crispr/Cas9 non vengono equiparati alle varietà geneticamente modificate ottenute con tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmente con una lunga tradizione di sicurezza.

Gli ibridi – incroci ottenuti mediante mutagenesi in vitro possono – a determinate condizioni – non essere considerati OGM

Pende attualmente un nuovo ricorso in materia dinanzi alla Corte UE  (causa C-688/2021) – vertente sul regime giuridico degli ibridi ottenuti mediante mutazione casuale in vitro – ove il 27 ottobre 2022 l’Avvocato Generale M. Szpunar ha presentato le sue conclusioni, secondo cui:

“L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, in combinato disposto con l’allegato I B, punto 1, di tale direttiva e alla luce del considerando 17 della stessa, deve essere interpretato nel senso che  la mutagenesi casuale applicata in vitro rientra nell’allegato I B, punto 1, di detta direttiva”.

Per l’Avvocato Generale, quindi, gli ibridi ottenuti mediante mutazione casuale in vitro sarebbero da considerarsi tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmentecon una lunga tradizione di sicurezza:

“64.      Dall’altra, conformemente alla sentenza Confédération paysanne e a., rientrano nell’allegato I B, punto 1, della direttiva 2001/18 gli organismi ottenuti mediante tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni, con una lunga tradizione di sicurezza, contrariamente alle tecniche che sono emerse o che si sono principalmente sviluppate successivamente all’adozione di detta direttiva.

65.      Orbene, in particolare dal parere del CS emerge che la mutagenesi casuale, tanto in vivo quanto in vitro, era utilizzata nella selezione di varietà vegetali ben prima del 2001 e il legislatore dell’Unione non poteva ignorarlo all’atto dell’adozione della direttiva 2001/18 (40). Inoltre, posto che i meccanismi e le tipologie di modificazioni genetiche indotte dalla mutagenesi casuale tanto in vivo quanto in vitro coincidono, queste due modalità di applicazione di detta tecnica non presentano alcuna differenza sotto il profilo della loro sicurezza, che ha una lunga tradizione, ai sensi della sentenza Confédération paysanne e a.”

Pronunciandosi su detto caso (C-688/2021), nella sentenza del 7 febbraio 2023 la Corte di Giustizia ha effettuato una limitata apertura in favore delle mutagenesi mediante culture in vitro (che, quando rispecchiamo le caratteristiche indicate dalla Corte, non rappresentano allora un OGM, la cui immissione nell’ambiete è soggetta alle procedure previste dalla relativa direttiva 2001/81/CE), sancendo:

l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/18, in combinato disposto con l’allegato I B, punto 1, della medesima direttiva e alla luce del considerando 17 della stessa, deve essere interpretato nel senso che gli organismi ottenuti mediante l’applicazione di una tecnica o di un metodo di mutagenesi fondati su modalità di modificazione, da parte dell’agente mutageno, del materiale genetico dell’organismo interessato che siano le stesse di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza, ma che differiscono da tali seconda tecnica o secondo metodo di mutagenesi per altre caratteristiche, sono, in linea di principio, esclusi dalla deroga di cui alla disposizione in questione, a condizione che sia accertato che dette caratteristiche possono comportare modificazioni del materiale genetico dell’organismo di cui trattasi diverse, per la loro natura o per il ritmo con cui si verificano, da quelle risultanti dall’applicazione della suddetta seconda tecnica o del suddetto secondo metodo di mutagenesi. Tuttavia, gli effetti inerenti alle colture in vitro non giustificano, in quanto tali, che da tale deroga siano esclusi gli organismi ottenuti mediante l’applicazione in vitro di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni in vivo con una lunga tradizione di sicurezza relativa a tali applicazioni.

La futura disciplina dell’Unione Europea sulle varietà vegetali ottenute mediante nuove tecnologie genetiche

Attualmente, in relazione alle nuove tecniche genomiche, è allo studio un nuovo quadro giuridico da parte della Commissione UE, specificamente rivolto per le piante ottenute mediante mutagenesi e cisgenesi mirate e per gli alimenti e i mangimi da esse ottenuti.

 


La regolamentazione degli OGM nella UE


CREA - Consiglio per la Ricerca in Agricoltura


 

Oenological practices and geographical indications protection in main international EU agreements

Oenological practices and geographical indications protection in main international EU agreements


Oenological practices and geographical indications protection in main international EU agreements, published in Jus Vini, 2021, 1, p.11-52.

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Index

1. Introduction; 2. Oenological practices; 2.1 Free movement of wine inside the EU; 2.2 Non-tariff barriers in the trade with third countries; 2.2.1 WTO Agreements to overtake non-tariff barriers: SPS and TBT; 2.2.2 EU Agreements; 3. Protected designations of origin (PDOs) and protected geographical indications (PGIs); 3.1 Protection inside the EU; 3.2 Protection in third countries; 3.2.1 WTO Agreement: TRIPS; 3.3.2 EU Agreements; 3.3.3 EU adhesion to WIPO Agreement (the Lisbon System and the Geneva Act); 4. Final considerations.

Abstract. National rules on oenological practices respond to the need to protect human health and economic interests of consumers and producers. In international trade, however, such rules can turn into non-tariff barriers. The protection of DOs and GIs allows the safeguarding of an important economic and intangible heritage, at least from a European point of view. At an international level, however, this necessity clashes with antithetical economic interests, mainly attributable to the fact that in many non-European territories, various important European DOs and GIs have become common names that indicate certain types of foodstuffs or wines. In the WTO context, the mitigation of non-tariff barriers is entrusted to the SPS and TBT Agreements, while the protection of geographical indications to the TRIPS Agreement. However, their effectiveness has proven weak, especially TRIPS. Consequently, the European Union has concluded a series of international agreements with many third countries (both producers and consumers of wine) aimed at favouring trade in wine. In this way, on the one hand, a set of globally shared rules on oenological practices has been identified (thanks also to OIV action), and, on the other hand, numerous European DOs and GIs have obtained international recognition, thus allowing their concrete protection. EU international agreements have also contributed to increased awareness and consensus in the world on quality schemes related to the PDO and PGI systems. Unfortunately, in several cases, not all of the currently existing European geographical indications are recognised (only some of them), and this situation creates disparities.

Menzioni geografiche aggiuntive

Menzioni geografiche aggiuntive vs. sotto-zone: quale differenza?


Le unità geografiche aggiuntive (che, indicate in etichetta, costituiscono le cosiddette menzioni geografiche aggiuntive) corrispondono a porzioni più delimitate del territorio di una denominazione di origine.

Lo stesso vale per le sue sotto-zone.

Sancisce al riguardo il Testo Unico Vino (art.29):

2. Solo le denominazioni di origine possono prevedere al loro interno l’indicazione di zone espressamente delimitate, comunemente denominate sottozone, che devono avere peculiarita’ ambientali o tradizionalmente note, essere designate con uno specifico nome geografico, storico-geografico o amministrativo, essere espressamente previste nel disciplinare di produzione ed essere disciplinate piu’ rigidamente.

3. I nomi geografici che definiscono le indicazioni geografiche tipiche devono essere utilizzati per contraddistinguere i vini derivanti da zone di produzione, anche comprendenti le aree a DOCG o DOC, designate con il nome geografico relativo o comunque indicativo della zona, in conformita’ della normativa nazionale e dell’Unione europea sui vini a IGP.

4. Per i vini a DOP e’ consentito il riferimento a unita’ geografiche aggiuntive, piu’ piccole della zona di produzione della denominazione, localizzate all’interno della stessa zona di produzione ed elencate in una lista, a condizione che il prodotto sia vinificato separatamente e appositamente rivendicato nella denuncia annuale di produzione delle uve prevista dall’articolo 37. Tali unita’ geografiche devono essere espressamente delimitate e possono corrispondere a comuni, frazioni o zone amministrative ovvero ad aree geografiche locali definite. La lista delle unita’ geografiche aggiuntive e la relativa delimitazione devono essere indicate in allegato ai disciplinari di produzione in un apposito elenco.

Come sancito dal Consiglio di Stato (sentenza 23395/2016 nel caso “Barolo – Cannubi”), la principale differenza tra unità geografiche aggiuntive e sotto-zone consiste nella circostanza che l’introduzione di ulteriori restrizioni al disciplinare di produzione è richiesto solo per i vini realizzati all’interno delle seconde (e cioè per i vini portanti in etichetta anche il nome di una sotto-zona, oltre quello della denominazione).

Inoltre, al contrario delle unità geografiche aggiuntive, le sotto-zone di una DOP possono divenire DOP o DOCG autonome, in base a quanto dispone sempre il Testo Unico Vino (art.29):

5. Le zone espressamente delimitate o sottozone delle DOC possono essere riconosciute come DOC autonome, alle condizioni di cui all’articolo 33, comma 2, e possono essere promosse a DOCG separatamente o congiuntamente alla DOC principale.


Per quanto concerne l’indicazione della “vigna”, così dispone il Testo Unico Vino (art.34):

10. La menzione «vigna» o i suoi sinonimi, seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale, puo’ essere utilizzata solo nella presentazione o nella designazione dei vini a DO ottenuti dalla superficie vitata che corrisponde al toponimo o al nome tradizionale, purche’ sia rivendicata nella denuncia annuale di produzione delle uve prevista dall’articolo 37 e a condizione che la vinificazione delle uve corrispondenti avvenga separatamente e che sia previsto un apposito elenco tenuto e aggiornato dalle regioni mediante procedura che ne comporta la pubblicazione. La gestione dell’elenco puo’ essere delegata ai consorzi di tutela riconosciuti ai sensi dell’articolo 41, comma 4.

Menzioni "Vigna" della Regione Piemonte

Barolo Cannubi

Sono legittime, ma non obbligatorie, le indicazioni geografiche aggiuntive Cannubi Boschis”, “Cannubi Muscatel”, “Cannubi San Lorenzo” e “Cannubi Valletta”, previste per i vini prodotti nella collina “Cannubi” della DOCG “Barolo” (Barolo Cannubi).


Con la sentenza 23395/2016 le Sezioni Unite della Cassazione hanno posto fine al contenzioso sull’estensione del territorio della zona geografica “Cannubi” della DOCG Barolo, rendendo definitvo quanto in precedenza deciso dal Consiglio di Stato.

La Cassazione conferma (come avvenuto anche nel contenzioso sull’estensione del territorio di produzione della DOCG ASTI, definito sempre dalle Sezioni Unite  mediante la sentenza 7292/2016) che il Consiglio di Stato aveva competenza giurisizionale nel decidere la materia.

Bisogna quindi  leggere la sentenza del Consiglio di Satto per capire  i motivi del contenzioso nonché le ragioni di quanto deciso in materia.

Il punto fondamentale di quest’ultima sentenza (13.2 e 14) è il seguente:

    • fermo restando che i produttori, i cui vigneti si collocano nelle zone della collina Cannubi, hanno legittima facoltà di meglio caratterizzare i loro vini apponendo in etichetta le indicazioni geografiche aggiuntive “Cannubi Boschis”, “Cannubi Muscatel”, “Cannubi San Lorenzo” e “Cannubi Valletta
    • non sussiste invece l’obbligo per i produttori – con vigneto sito in dette più specifiche  indicazioni geografiche aggiuntive (“Cannubi Boschis”, “Cannubi Muscatel”, “Cannubi San Lorenzo” e “Cannubi Valletta”) – di utilizzarle, qualora essi vogliano indicare una menzione geografica aggiuntiva per i loro vini originati da uve provenienti da tali zone, potendo essi avvalersi della mera menzione “Cannubi

Siccome il contenzioso si è originato dalla circostanza che tale uso era invece contestato dai produttori dell’area “Cannubi” considerata in senso stretto, il Consiglio di Stato ha suggerito di meglio individuare quest’ultima, eventualmente con apposite specificazioni (cosa al momento non avvenuta, richiedendosi una modificazione del disciplinare del Barolo).

La sentenza del Consiglio di Stato risulta altresì interessante, poiché consente di individuare la differenza tra “sotto-zone” di una DOC o DOCG e le sue menzioni geografiche aggiuntive (di cui al Testo Unico Vino, art.29).

La differenza consiste essenzialmente nella circostanza che il disciplinare di produzione della denominazione, cui esse afferiscono, deve prevedere condizioni di produzione più restrittive per le sotto-zone, mentre ciò non è previsto per le indicazioni geografiche aggiuntive.


Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 23395/2016, 

sul ricorso 8796/2014 proposto da CANTINA M. DI M.B. & C. SOCIETA’ AGRICOLA S.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, BO.SE. in proprio e nella qualità di legale rappresentante sia della AZIENDA AGRICOLA BO.SE. S.S. sia, insieme alla sig.ra BO.AN. – della BO. FRATELLI SERIO & BA. S.A.S., AZIENDA AGRICOLA B.G. & FIGLI S.S. DI B.M., G. ED E., in persona del sig. B.G., F.M., S.L., SC.PI.LU., TENUTA CARRETTA S.R.L., in persona del sig. G.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI 20, presso lo studio dell’avvocato MADDALENA FERRAIUOLO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO CASAVECCHIA, per delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

R.G., CERETTO S.S., C.A., A.E., C.P.E., D.G., DR.AM., PODERI EINAUDI S.R.L., COMUNE DI BAROLO;

– intimati –

CANTINE DEI MARCHESI DI BAROLO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.P. DA PALESTRINA 19, presso lo studio degli avvocati DOMENICO TOMASSETTI, DUILIO CORTASSA, MARCO PROSPERETTI, che la rappresentano e difendono, per delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

CANTINA M. DI M.B. & C. SOCIETA’ AGRICOLA S.S., elettivamente domiciliata e difesa come sopra;

– controricorrenti all’incidentale –

e contro

BO.SE. in proprio e nella qualità di legale rappresentante della BO. FRATELLI S. E BA. S.P.A. e dell’AZIENDA AGRICOLA BO.SE. S.S., AZIENDA AGRICOLA B.G. & FIGLI S.S. DI B.M., F.M., S.L., SC.PI.LU., TENUTA CARRETTA S.R.L., MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI, COMUNE DI BAROLO, R.G. in proprio e nella qualità di titolare dell’AZIENDA AGRICOLA R.G., DR.AM.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4883/2013 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 03/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/11/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;

uditi gli avvocati Maddalena FERRAIUOLO, Marco CASAVECCHIA, Domenico TOMASSETTI, Duilio CORTASSA, CORSINI Isabella dell’Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Ta Cantina M. di M.B. & C. Società Agricola s.s. e altri undici proprietari e conduttori di terreni in Barolo, Cuneo, nella zona vinicola “(OMISSIS)”, impugnarono davanti al Tribunale amministrativo regionale del Tazio il D.M. 30 settembre 2010, recante le modifiche del disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata e garantita (OMISSIS), nella parte in cui aveva consentito che la detta denominazione potesse essere seguita da menzioni geografiche aggiuntive.

I ricorrenti ritenevano infatti ingiustificata l’estensione della menzione “(OMISSIS)” anche a zone di produzione che (OMISSIS) non sono, chiamandosi, ad esempio, “(OMISSIS)” oppure “(OMISSIS)”, e non invece, rispettivamente, “(OMISSIS) o (OMISSIS)” oppure “(OMISSIS) o (OMISSIS)”.

Nel giudizio intervennero, per l’accoglimento del ricorso, il Comune di Barolo e R.G., e per il suo rigetto la società Cantine dei Marchesi di Barolo.

Il giudice amministrativo accolse la domanda sul rilievo che le denominazioni geografiche individuate dal decreto ministeriale confondevano le denominazioni assegnate alle diverse zone, comportando confusione per il consumatore, e quindi violando la ratio della normativa comunitaria e nazionale in materia.

Il Consiglio di Stato, adito in appello dal Ministero delle politiche agricole e forestali, ricostruito il quadro normative di riferimento, segnatamente con riguardo alla disciplina delle sottozone e delle indicazioni geografiche aggiuntive nella legislazione nazionale, dettata prima dalla L. 10 febbraio 1992, n. 164, e successivamente dal D.Lgs. 8 aprile 2010, n. 61, recante tutela delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche dei vini, in attuazione della L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 15, e chiarita la funzione dell’indicazione geografica aggiuntiva, ha accolto il gravame: “considerato che l’obiettivo primario” della normativa comunitaria e nazionale “è quello di evitare confusioni fra i consumatori e che lo scopo della contestata previsione del d.m. impugnato era proprio quello di evitare la confusione che si sarebbe potuta creare costringendo alcuni produttori, come le Cantine Marchesi di Barolo, ad utilizzare (necessariamente) nell’etichetta una indicazione geografica aggiuntiva ((OMISSIS)), laddove avrebbe potuto alimentare confusione fra gli operatori e (soprattutto) nei consumatori”, il giudice d’appello ha reputato che il d.m. impugnato non poteva ritenersi emanato in carenza di istruttoria o fosse illogico, come ritenuto dal TAR. Nei confronti della decisione hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di un complesso motivo, illustrato con successiva memoria, la Cantina M. di M.B. & C. Società Agricola s.s., Serio BO., l’Azienda Agricola BO.SE. s.s., BO. Fratelli Serio & Ba. s.a.s., la Azienda Agricola B.G. & Figli s.s. di B.M., G. ed E., F.M., S.L., Sc.Pi.Lu., e la Tenuta Carretta s.r.l.

Resistono con controricorso, illustrato con memoria, il Ministero delle politiche agricole e forestali e la Cantina dei Marchesi di Barolo spa, che propone ricorso incidentale condizionato.

I ricorrenti principali resistono al ricorso incidentale con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il ricorso principale viene denunciata “violazione delle norme sulla giurisdizione (art. 111 Cost., art. 362 c.p.c., D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, artt. 7, 91, 110 e ss.), eccesso di potere giurisdizionale”. I ricorrenti lamentano che il giudice d’appello abbia superato i limiti della generale giurisdizione di legittimità, estendendo la propria giurisdizione al merito della vicenda, sostituendosi alle valutazioni proprie dell’amministrazione, effettuando una comparazione tra l’interesse commerciale di un singolo soggetto e l’interesse pubblico alla corretta denominazione dei prodotti, e quindi alla corrispondenza di questa con i luoghi da essa indicati; deducono poi diniego di giurisdizione lamentando che avverso il decreto sarebbe stata dedotta anche una questione procedurale, vale a dire la mancanza dell’impulso dei produttori interessati per la modifica del disciplinare, che era stata dichiarata assorbita dal TAR ma poi non esaminata dal Consiglio di Stato, che pure, accogliendo l’impugnazione, aveva rigettato il ricorso di primo grado e confermato il decreto ministeriale opposto.

Con il ricorso incidentale condizionato la Cantine Marchesi di Barolo censura la sentenza impugnata per avere, confermando sul punto la sentenza del TAR, affermato la giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia, contestata in primo grado ed in appello.

Con riguardo alla prima doglianza del ricorso principale il Collegio osserva che la valutazione della portata della nozione dell’indicazione geografica aggiuntiva, quale è dato rilevare dal decreto ministeriale impugnato, è condotta dal Consiglio di Stato alla stregua della ricostruzione normativa operata, ed i richiami a fattispecie concrete hanno valore esemplificativo, anche con riguardo alle modalità di emersione della specifica problematica.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, “le decisioni del giudice amministrativo sono viziate per eccesso di potere giurisdizionale e, quindi, sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione, laddove detto giudice, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito (riservato alla P.A.), compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’Amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità (dunque, all’esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi) o esclusiva o che comunque ad essa non avrebbero potuto dare ingresso; tale sindacato è esercitabile dalla S.C. anche quando è posta in discussione la possibilità stessa, nella situazione data, di fare ricorso a quella speciale forma di giurisdizione di merito che è la giurisdizione di ottemperanza” (Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302; 15 marzo 1999, n. 137).

Con la seconda doglianza i ricorrenti denunciano a ben vedere un’omessa pronuncia. In proposito questa Corte ha affermato che “il ricorso avverso la sentenza del Consiglio di Stato con il quale si deduce l’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni, può integrare motivo inerente alla giurisdizione, denunciatile ai sensi dell’art. 362 c.p.c., solo se il rifiuto della giurisdizione è giustificato dalla ritenuta estraneità della domanda alle attribuzioni giurisdizionali del giudice amministrativo, non quando si prospettino come omissioni dell’esercizio del potere giurisdizionale errori “in iudicando” o “in procedendo” (Cass. sez. un., 26 gennaio 2009, n. 1853); “il ricorso col quale venga denunciato un rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo rientra fra i motivi attinenti alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., soltanto se il rifiuto sia stato determinato dall’affermata estraneità alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice della domanda, che non possa essere da lui conosciuta” (Cass., sez. un. 8 febbraio 2013, n. 3037).

In conclusione, il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile, assorbito l’esame del ricorso incidentale condizionato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Sussistono, infine, i presupposti per dare atto, ai sensi del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso principale inammissibile, assorbito l’esame del ricorso incidentale condizionato.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2016



CONSIGLIO DI STATO, in sede giurisdizionale (Sezione Terza), sentenza del 3 ottobre 2013, n.4883

sul ricorso numero di registro generale 7244 del 2012, proposto dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

contro

Cantina Mascarello di Mascarello Bartolo & C. Società Agricola s.s., in persona del legale rappresentante p.t., Serio Borgogno, in proprio e quale legale rappresentante sia della Borgogno Fratelli Serio & Battista s.a.s, sia della Azienda Agricola Borgogno Serio s.s., Azienda Agricola Brezza Giacomo & Figli s.s. di Brezza Marco, Giacomo ed Enzo, in persona del legale rappresentante p.t., Amabile Drocco, titolare dell’impresa Cascina Adelaide di Amabile Drocco, Guido Damilano, titolare dell’Azienda Agricola Damilano Guido, Poderi Einaudi S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., Michelina Fontana, Luciano Sandrone, Pietro Luigi Scarzello, Tenuta Carretta S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dagli avv. Maddalena Ferraiuolo e Marco Casavecchia, con domicilio eletto presso Maddalena Ferraiuolo in Roma, via dei Gracchi n. 20;
– Comune di Barolo, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Mario Sanino, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli n. 180;

nei confronti di

Cantine dei Marchesi di Barolo S.p.a., appellante incidentale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Domenico Tomassetti, Marco Prosperetti e Duilio Cortassa, con domicilio eletto presso Domenico Tomassetti in Roma, via G. Pierluigi da Palestrina n. 19;

e con l’intervento di

Giuseppe Rinaldi, in proprio e quale titolare dell’Azienda Agricola Rinaldi Giuseppe, rappresentato e difeso dall’avv. Gabriele Pafundi, con domicilio eletto in Roma, viale Giulio Cesare n. 14.

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione II Ter, n. 5033 del 4 giugno 2012, resa tra le parti, concernente la modifica del disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata e garantita “Barolo”

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la costituzione in giudizio, con appello incidentale, di Cantina Mascarello di Mascarello Bartolo & C. Società Agricola s.s., in persona del legale rappresentante p.t., Serio Borgogno, in proprio e quale legale rappresentante sia della Borgogno Fratelli Serio & Battista s.a.s, sia della Azienda Agricola Borgogno Serio s.s., Azienda Agricola Brezza Giacomo & Figli s.s. di Brezza Marco, Giacomo ed Enzo, in persona del legale rappresentante p.t., Amabile Drocco, titolare dell’impresa Cascina Adelaide di Amabile Drocco, Guido Damilano, titolare dell’Azienda Agricola Damilano Guido, Poderi Einaudi S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., Michelina Fontana, Luciano Sandrone, Pietro Luigi Scarzello, Tenuta Carretta S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t.;

Vista la costituzione in giudizio, con appello incidentale, di Cantine dei Marchesi di Barolo S.p.a.;

Vista la costituzione in giudizio del Comune di Barolo e di Giuseppe Rinaldi, in proprio e quale titolare dell’Azienda Agricola Rinaldi Giuseppe;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 giugno 2013 il Cons. Dante D’Alessio e uditi per le parti gli avvocati Maddalena Ferraiuolo, Mario Sanino, Marco Prosperetti, Duilio Cortassa, Gabriele Pafundi e l’avvocato dello Stato Wally Ferrante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- La Cantina Mascarello di Mascarello Bartolo & C. Società Agricola s.s., il sig. Serio Borgogno, in proprio e quale legale rappresentante sia della Borgogno Fratelli Serio & Battista s.a.s. sia della Azienda Agricola Borgogno Serio s.s., l’Azienda Agricola Brezza Giacomo & Figli s.s. di Brezza Marco, Giacomo ed Enzo, il sig. Pier Ettore Camerano, il sig. Amabile Drocco, titolare dell’impresa Cascina Adelaide di Amabile Drocco, il sig. Guido Damilano, titolare dell’Azienda Agricola Damilano Guido, Poderi Einaudi s.r.l., la sig.ra Michelina Fontana, il sig. Luciano Sandrone, il sig. Pietro Luigi Scarzello, la Tenuta Carretta s.r.l., proprietari o conduttori di terreni siti in Barolo (Cn), nella zona vinicola “Cannubi”, avevano impugnato davanti al T.A.R. per il Lazio il D.M. 30 settembre 2010, recante la modifica del disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata e garantita “Barolo”, nella parte in cui, al punto 8 dell’allegato, aveva consentito che la denominazione di origine controllata e garantita dei vini “Barolo” e “Barolo riserva” poteva essere seguita dalle menzioni geografiche aggiuntive di “Cannubi Boschis o Cannubi”, “Cannubi Muscatel o Cannubi”, “Cannubi San Lorenzo o Cannubi” e “Cannubi Valletta o Cannubi”, ritenendo ingiustificata l’estensione della menzione “Cannubi” anche alle zone di produzione che “Cannubi” non sono, chiamandosi “Boschis” (o Monghisolfo), “Muscatel”, “San Lorenzo” e “Valletta”.

1.1.- Nel giudizio erano intervenuti per l’accoglimento del ricorso anche il Comune di Barolo e Giuseppe Rinaldi, in proprio e quale titolare dell’Azienda Agricola Rinaldi Giuseppe, mentre all’accoglimento del ricorso si era opposta la società Cantine dei Marchesi di Barolo.

2.- Il T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, con sentenza della Sezione II Ter, n. 5033 del 4 giugno 2012, ha accolto il ricorso.

Dopo aver ricordato l’iter procedimentale che aveva portato all’emanazione dell’impugnato D.M. 30 settembre 2010, con il quale era stata approvata la modifica del disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata e garantita “Barolo”, e del successivo D.M. 26 novembre 2010, nella parte contestata meramente confermativo, il T.A.R. ha, preliminarmente, respinto alcune eccezioni in rito formulate dalla Cantine dei Marchesi di Barolo ed ha poi ritenuto fondato, nel merito, il primo motivo del ricorso, «con cui sono stati dedotti il vizio di eccesso di potere per carenza di istruttoria ed il vizio di violazione di legge in quanto le denominazioni individuate dal provvedimento impugnato, oltre a non considerare quanto constatato dal Comune e dai privati, confonderebbero le denominazioni assegnate alle diverse zone, comportando confusione per il consumatore e, quindi, violando la ratio della normativa comunitaria e nazionale in materia».

2.1.- In particolare, dopo aver ricordato che la menzione geografica aggiuntiva ha lo scopo di esaltare maggiormente il legame tra il prodotto ed il territorio e, conseguentemente, ha la funzione di indicare in etichetta informazioni più chiare per il consumatore, il T.A.R. ha ritenuto che sussisteva una «sostanziale differenza tra il Barolo prodotto nell’area “Cannubi” tout court e quello prodotto con uve cresciute sulla stessa collina, ma nelle diverse sottozone “Boschis”, “Muscatel”, “San Lorenzo” o “Valletta”», tenuto conto che «accanto alla storicità delle denominazioni, è riconosciuto un fattore di differenza, definito “effetto suolo”, sebbene lo stesso sia poi ritenuto non significativo».

Il T.A.R. ha quindi concluso sostenendo che «gli elementi probatori forniti dai ricorrenti e dall’interventore ad adiuvandum siano prevalenti su quelli forniti dalle controparti ed idonei a dimostrare la carenza di istruttoria dell’azione amministrativa e la conseguente violazione della ratio della normativa in materia. D’altra parte, ove le sottozone fossero qualitativamente identiche, ha aggiunto il T.A.R., «non sarebbe dato comprendere l’interesse a potersi fregiare della menzione aggiuntiva “Cannubi” tout court, che nulla aggiungerebbe in termini di pregio del prodotto rispetto alle altre menzioni aggiuntive della collina Cannubi, mentre … l’eventuale pregiudizio derivante dalla indicazione “Muscatel” fuoriesce dal thema decidendum del … giudizio e potrebbe essere, ove del caso, neutralizzato attraverso la modifica del nome della specifica sottozona».

3.- Il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e, con appello incidentale, la società Cantine dei Marchesi di Barolo hanno appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili.

All’appello si oppongono la Cantina Mascarello e gli altri proprietari dei terreni, conduttori e produttori di vino ricorrenti nel giudizio di primo grado, nonché il Comune di Barolo e Giuseppe Rinaldi, in proprio e quale titolare dell’Azienda Agricola Rinaldi Giuseppe.

4.- Prima di passare all’esame della questione centrale sollevata con il presente ricorso, devono essere respinte le questioni sollevate sulla giurisdizione del giudice amministrativo dalla appellante incidentale Cantine dei Marchesi di Barolo.

Come ha già ampiamente chiarito il T.A.R. per il Lazio, con motivazioni condivisibili, si deve ritenere che sulla questione sussista la giurisdizione del giudice amministrativo essendo stato impugnato un atto di natura amministrativa del quale è stata lamentata l’illegittimità da proprietari dei terreni, conduttori e produttori di vino che nei confronti di tale atto hanno una posizione di interesse legittimo.

Né la sentenza del T.A.R. per il Lazio può ritenersi affetta dal vizio di eccesso di giurisdizione, per gli effetti prodotti dalla decisione sulla etichettatura e sulla commercializzazione del vino, essendosi il giudice di primo grado limitato a verificare la legittimità dell’azione dell’Amministrazione.

5.- Nel merito, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e la società Cantine dei Marchesi di Barolo hanno, in primo luogo, sostenuto che la decisione del T.A.R. è stata determinata da un erroneo riferimento alla normativa dettata per la disciplina delle sottozone e delle indicazioni geografiche aggiuntive.

5.1.- In proposito, il T.A.R. per il Lazio, dopo aver sommariamente ricordato le varie fasi del procedimento che si era concluso con l’emanazione del D.M. impugnato, ha richiamato le diverse disposizioni regolanti la materia.

Innanzitutto l’art. 30 del d.lgs. n. 30 del 2005, modificato dall’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 131 del 2010, secondo cui, «salva la disciplina della concorrenza sleale, salve le convenzioni internazionali in materia e salvi i diritti di marchio anteriormente acquisiti in buona fede, è vietato, quando sia idoneo ad ingannare il pubblico o quando comporti uno sfruttamento indebito della reputazione della denominazione protetta, l’uso di indicazioni geografiche e di denominazioni di origine, nonché l’uso di qualsiasi mezzo nella designazione o presentazione di un prodotto che indichino o suggeriscano che il prodotto stesso proviene da una località diversa dal vero luogo di origine, oppure che il prodotto presenta le qualità che sono proprie dei prodotti che provengono da una località designata da un indicazione geografica».

Anche l’art. 118 bis del Reg. CE 22.10.2007 n. 1234/2007, come ricordato dal T.A.R., stabilisce che le regole relative alle denominazioni di origine, alle indicazioni geografiche ed alle menzioni tradizionali nel settore vitivinicolo sono basate sulla protezione dei legittimi interessi dei consumatori e dei produttori nonché sull’assicurazione del buon funzionamento del mercato comune dei prodotti interessati e sulla promozione della produzione di prodotti di qualità consentendo nel contempo misure nazionali di politica della qualità.

5.2.- La disciplina delle sottozone e delle indicazioni geografiche aggiuntive nella legislazione nazionale è stata dettata prima dalla legge n. 164 del 10 febbraio 1992 e, successivamente, dal d. lgs. 8 aprile 2010, n. 61, recante tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini, in attuazione dell’articolo 15 della legge 7 luglio 2009, n. 88.

5.3.- In particolare, l’art. 4, comma 2, del d. lgs. n. 61 del 2010 prevede che «soltanto le denominazioni di origine possono prevedere al loro interno l’indicazione di zone espressamente delimitate, comunemente denominate sottozone, che devono avere peculiarità ambientali o tradizionalmente note, essere designate con uno specifico nome geografico, storico-geografico o amministrativo, devono essere espressamente previste nel disciplinare di produzione ed essere più rigidamente disciplinate».

Anche l’art. 4, comma 3, della legge n. 164 del 1992 prevedeva che «nell’ambito di una zona di produzione possono sussistere aree più ristrette, denominate sottozone, aventi specifiche caratteristiche ambientali o tradizionalmente note, designate con specifico nome geografico o storico-geografico, anche con rilevanza amministrativa, purché espressamente previste e più rigidamente disciplinate nel disciplinare di produzione e purché vengano associate alla relativa denominazione di origine…».

5.4.- Il comma 3 dell’art. 4 del d. lgs. n. 61 del 2010 stabilisce poi che «i nomi geografici che definiscono le indicazioni geografiche tipiche devono essere utilizzati per contraddistinguere i vini derivanti da zone di produzione, anche comprendenti le aree DOCG o DOC, designate con il nome geografico relativo o comunque indicativo della zona, in conformità della normativa italiana e della UE sui vini IGP» e il successivo comma 4 prevede che «la possibilità di utilizzare nomi geografici corrispondenti a frazioni o comuni o zone amministrative definite, localizzate all’interno della zona di produzione dei vini DOCG e DOC, è consentita solo per tali produzioni, a condizione che sia espressamente prevista una lista positiva dei citati nomi geografici aggiuntivi nei disciplinari di produzione di cui trattasi ed il prodotto così rivendicato sia vinificato separatamente. Tale possibilità non è ammessa nei disciplinari che prevedono una o più sottozone, fatti salvi i casi previsti dalla preesistente normativa».

L’art. 7, comma 1 della legge n. 164 del 1992, a sua volta, prevedeva che «le menzioni geografiche che definiscono le indicazioni geografiche tipiche devono essere utilizzate per contraddistinguere i vini aventi caratteristiche derivanti da zone di produzione, anche comprendenti le aree DOCG o DOC, normalmente di ampia dimensione viticola designate con il nome geografico relativo o comunque indicativo della zona in conformità della normativa italiana e della CEE sui vini IGT. La zona di produzione di un vino IGT deve comprendere un ampio territorio viticolo che presenti uniformità ambientale e conferisca caratteristiche omogenee al vino stesso, e per il quale sussista un interesse collettivo al riconoscimento del vino in esso prodotto».

5.5.- Ricostruito il quadro normativo di riferimento, si deve anche precisare che, sebbene il D.M. impugnato sia stato emanato quando già era entrato in vigore il d. lgs. n. 61 del 2010, gran parte del procedimento che ha portato all’emanazione del D.M. si è svolto nella vigenza della legge n. 164 del 1992.

Peraltro, ai fini della presente decisione non appaiono rilevanti le modifiche apportate dal nuovo decreto legislativo alle precedenti disposizioni regolanti la materia.

In particolare non appare rilevante (per quanto sarà meglio chiarito in seguito) la circostanza che per l’identificazione di una menzione geografica aggiuntiva, ai sensi degli articoli 4 e 7 della legge n. 164 del 1992, non occorreva che questa corrispondesse necessariamente ad una circoscrizione amministrativa predefinita, ma risultava comunque necessario un preciso collegamento con il territorio di riferimento.

6.- In ogni caso, sulla base delle suindicate disposizioni, i concetti di sottozona e di indicazioni geografiche tipiche devono essere tenuti distinti, in quanto le sottozone, oltre ad essere caratterizzate da determinate peculiarità, devono essere espressamente previste nel disciplinare di produzione e devono essere più rigidamente disciplinate. Mentre possono essere utilizzati nomi geografici tipici aggiuntivi per contraddistinguere i vini derivanti da determinate aree di produzione anche in assenza di una particolare e più rigida regolamentazione contenuta nel disciplinare.

7.- L’indicazione geografica aggiuntiva ha quindi la funzione (più limitata) di indicare con più esattezza il luogo di produzione e consente una più precisa qualificazione del prodotto. Anche l’individuazione di sottozone determina, come si è detto, una più precisa indicazione del luogo di produzione, ma, a differenza dell’indicazione geografica aggiuntiva, per le sottozone il disciplinare di produzione prevede anche una diversa modalità produttiva che determina (anche per questo) una più precisa caratterizzazione del prodotto.

8.- E’ del tutto ovvio che una differenza qualitativa (più o meno marcata) può esservi anche fra vini prodotti nella stessa zona o sottozona (o con una stessa indicazione geografica aggiuntiva), potendo ogni vino distinguersi per le sue caratteristiche al sapore o all’olfatto.

9.- Ciò premesso, nella fattispecie, la questione in esame riguarda l’individuazione, nell’allegato all’impugnato D.M., di alcune indicazioni geografiche aggiuntive (“Cannubi Boschis”, “Cannubi Muscatel”, “Cannubi San Lorenzo” e “Cannubi Valletta”), previste per i vini prodotti nella collina “Cannubi”, e ciò al fine di consentire ai produttori di meglio precisare la provenienza delle uve utilizzate ed ai consumatori di conoscere con maggiore precisione dove sono raccolte le uve utilizzate per il vino.

Non risulta invece, a rigore, corretto l’uso per la suddetta classificazione del termine di sottozone, così come disciplinato nella suindicata normativa, considerato che il disciplinare di produzione del vino Barolo, oggetto del D.M. impugnato, non prevede differenze fra le produzioni nelle diverse aree in questione.

10.- Sulla base di tali premesse, la Sezione ritiene che le conclusioni raggiunte dal T.A.R., partendo dalla considerazione che ad indicazione geografica aggiuntiva corrisponde un vino diverso, anche sotto il profilo degli effetti legali, non possono essere condivise, come è stato sostenuto dagli appellanti.

11.- Nella specie la questione oggetto del ricorso è sorta perché l’utilizzo dell’indicazione geografica aggiuntiva “Cannubi Muscatel” per i vini prodotti in quella specifica area della collina dei Cannubi, secondo la società Cantine dei Marchesi di Barolo, che produce vino in prevalenza da vigneti collocati nella zona Muscatel della collina dei Cannubi, anziché costituire una indicazione ulteriore, a vantaggio del produttore e del consumatore, avrebbe potuto determinare gravi danni per il produttore e, al tempo stesso, confusione per il consumatore a causa del richiamo al termine Muscatel, che, nel gergo comune, è associato al vino moscato che ha caratteristiche notoriamente molto diverse da quelle proprie del vino barolo.

La società Cantine dei Marchesi di Barolo, che ha pacificamente utilizzato, fino alla determinazione in questione, il nome Cannubi per indicare la provenienza dalla collina Cannubi del suo barolo (per la verità in alcun casi, in passato, anche con l’aggiunta del toponimo Muscatel), ha, infatti, evidenziato agli organismi competenti che avrebbe potuto subire grave danno se fosse stata costretta ad utilizzare anche il termine Muscatel, in ragione della confusione che tale nome avrebbe potuto ingenerare negli acquirenti.

12.- In effetti, il problema posto dalla Cantine dei Marchesi di Barolo non poteva ritenersi irrilevante: perché mentre un esperto di vini non avrebbe difficoltà a comprendere le diverse tipologie di vino, la gran massa di consumatori (meno esperta) facilmente potrebbe essere indotta a ritenere che con l’indicazione aggiuntiva “muscatel” il vino prodotto potrebbe appartenere alla categoria dei moscati o comunque avere caratteristiche assimilabili a quella tipologia.

Anche il reg. CEE 3201/90, richiamato nei suoi atti dalla Cantine dei Marchesi di Barolo, aveva previsto, quali sinonimi delle varietà di vino moscato, i nomi “moscatello”, “muscat” e “muskateller”. Sempre l’appellante Cantine dei Marchesi di Barolo ricorda che Muscatel richiama il nome latino del vitigno moscato “Muscatellum”, ed ha una forte somiglianza fonetica con “Muscadelle”, una varietà di uva bianca coltivata nelle regioni francesi Bordeax e Bergerac, per la produzione di vini bianchi, sia dolci che secchi.

E’ quindi evidente l’esigenza della società Cantine dei Marchesi di Barolo di non essere costretta ad utilizzare una denominazione geografica aggiuntiva, che, senza indicare una diversa tipologia di produzione, può determinare una possibile confusione con i vini moscati, laddove hanno evidentemente diverse regole di produzione e tutt’altro mercato.

13.- Considerato che il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, come anche il T.A.R. ha riconosciuto nella sua decisione, può esercitare in materia poteri discrezionali (che ovviamente sono sindacabili davanti al giudice della legittimità per errori di fatto o per illogicità), ritiene la Sezione che non possa ritenersi viziata la determinazione impugnata che, a seguito delle valutazioni compiute dal Comitato Nazionale Vini (da ultimo nelle riunioni del 6 e 7 luglio 2010) e tenuto conto che non erano state individuate anche differenze nel disciplinare di produzione, ha ritenuto che, senza impedire agli altri produttori di poter aggiungere l’indicazione geografica aggiuntiva più specifica (fra quelle individuate), poteva essere tuttavia consentito (alla Marchesi di Barolo ed agli altri soggetti eventualmente interessati) di utilizzare (come avevano sostanzialmente sempre fatto) il più generico nome Cannubi (in alternativa al nome Cannubi Muscatel), e quindi di utilizzare, a secondo dei casi, le indicazioni geografiche aggiuntive “Cannubi Boschis o Cannubi”, “Cannubi Muscatel o Cannubi”, “Cannubi San Lorenzo o Cannubi” e “Cannubi Valletta o Cannubi.

13.1.- Tale determinazione risulta, secondo questa Sezione, ragionevole ed esente da quei vizi che erano stati denunciati nel giudizio di primo grado e che il T.A.R. ha ritenuto meritevoli di considerazione.

Il vantaggio per i produttori (e per i consumatori) determinato dall’indicazione geografica aggiuntiva non poteva, infatti, causare anche un danno (per alcuni produttori e per gran parte dei consumatori) per la possibile confusione determinata dall’utilizzo di un nome che avrebbe potuto ingenerare confusione (per la circostanza invero del tutto particolare che una delle aree della collina Cannubi è individuata con il nome Muscatel).

13.2.- Con la soluzione adottata è stata invece garantita l’esigenza di gran parte dei produttori che si collocano nelle zone della collina Cannubi di meglio caratterizzare, anche con l’indicazione geografica aggiuntiva, il loro vino senza peraltro costringere tutti i produttori di quell’area ad utilizzare necessariamente le nuove indicazioni geografica aggiuntive.

14.- Non può sottacersi che anche la soluzione adottata può non essere del tutto soddisfacente perché, mentre consente ai produttori dell’area definita Cannubi tout court (cioè di quell’area da cui ha poi preso evidentemente nome l’intera collina) e ai produttori delle altre aree suindicate (“Cannubi Boschis”, “Cannubi Muscatel”, “Cannubi San Lorenzo” e “Cannubi Valletta”) di veder evidenziata la provenienza del loro prodotto, consente anche a produttori, come le Cantine Marchesi di Barolo, di utilizzare il nome Cannubi (ritenuto evidentemente di maggior pregio), pur producendo prevalentemente in altre zone della collina.

Ma il problema, invero, determinato da circostanze del tutto particolari, può essere risolto, in una proporzionata comparazione degli interessi, non costringendo i produttori nell’area Muscatel ad utilizzare necessariamente tale nome aggiuntivo, come sostenuto dai ricorrenti in primo grado, ma con altre modalità che lo stesso Consorzio di Tutela potrebbe meglio individuare, consentendo, ad esempio, ai produttori dell’area definita Cannubi in senso stretto di utilizzare una ulteriore più specifica indicazione, ovvero prevedendo per chi, come le Cantine Marchesi di Barolo non produce, in prevalenza, nell’area Cannubi in senso stretto, di utilizzare una denominazione più generica (come “Collina dei Cannubi”).

14.1.- Inoltre, la possibilità di non utilizzare necessariamente una delle nuove indicazioni geografiche aggiuntive potrebbe essere limitata alle sole aziende che producono il loro vino nell’area individuata col nome Muscatel, per i quali si è posto uno specifico problema di confusione per i consumatori, che non sembra porsi per coloro che producono in altre aree della stessa collina alle quali sono stati assegnate le altre indicazioni geografiche tipiche prima richiamate.

15.- Non si ritiene abbia invece rilievo ai fini della soluzione della controversia la questione (che era stata pure sollevata) riguardante l’effettiva denominazione dei luoghi e la loro storicità che risulta comunque accertata, sia pure con qualche contrasto, dai competenti organismi all’esito di una complessa istruttoria.

16.- Per tutte le ragioni esposte, considerato che l’obiettivo primario delle suindicate disposizioni comunitarie e nazionali è quello di evitare confusione fra i consumatori e che lo scopo della contestata previsione del D.M. impugnato era proprio quello di evitare la confusione che si sarebbe potuta creare costringendo alcuni produttori, come le Cantine Marchesi di Barolo, ad utilizzare (necessariamente) nell’etichetta una indicazione geografica aggiuntiva (Muscatel), laddove avrebbe potuto alimentare confusione fra gli operatori e (soprattutto) nei consumatori, la Sezione ritiene che il D.M. impugnato non possa ritenersi emanato in carenza di istruttoria, come ritenuto dal T.A.R., né tantomeno possa ritenersi illogico.

17.- Né si ravvisano, nel procedimento seguito per l’emanazione del D.M. 30 settembre 2010, recante la modifica del disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata e garantita “Barolo” (né del successivo D.M. 26 novembre 2010, sul punto controverso meramente confermativo) i vizi procedimentali riproposti in appello dagli originari ricorrenti.

18.- In conclusione, l’appello deve essere accolto, con la conseguente riforma della appellata sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione II Ter, n. 5033 del 4 giugno 2012.

Deve essere invece respinto l’appello incidentale proposto dalla Cantina Mascarello e dagli altri proprietari dei terreni, conduttori e produttori di vino ricorrenti nel giudizio di primo grado.

Le spese di giudizio, considerata la particolarità della questione trattata, possono essere integralmente compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della appellata sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione II Ter, n. 5033 del 4 giugno 2012, respinge il ricorso di primo grado.

Dispone la compensazione integrale fra le parti delle spese e competenze di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2013

Vino dealcolizzato

Vino dealcolizzato: con la PAC post-2020 è stata autorizzata la sua produzione e commercializzazione nella UE.


Vino dealcolizzato: nel contesto della  riforma della PAC post-2020 (adottata a fine giugno 2021) si è deciso di autorizzare la  produzione e commercializzazione.

Senza aggiungere nuove categorie di prodotti vitivinicoli, è stata consentita la dealcolazione (totale o parziale) di alcune di esistenti, e cioè:

      • “vino”,
      • “vino spumante”,
      • “vino spumante di qualità”,
      • “vino spumante di qualità del tipo aromatico”,
      • “vino spumante gassificato”,
      • “vino frizzante”,
      • “vino frizzante gassificato”

Dispone in proposito il regolamento UE/2127/2021 (art.1, comma 74), che modifica nel seguente modo l’Allegato VII, parte II al regolamento UE/1308/2013

la parte II è così modificata:

i)

è aggiunta la frase introduttiva seguente:

«Le categorie di prodotti vitivinicoli sono quelle di cui ai punti da 1) a 17). Le categorie di prodotti vitivinicoli di cui al punto 1) e ai punti da 4) a 9) possono essere sottoposte a un trattamento di dealcolizzazione totale o parziale conformemente all’allegato VIII, parte I, sezione E, dopo aver raggiunto pienamente le rispettive caratteristiche descritte in tali punti.»;

Quanto al trattamento di dealcolizzazione, il regolamento UE/2127/2021 (art.1, comma 74), modifica nel seguente modo l’Allegato VIII, al regolamento UE/1308/2013:

la parte I è così modificata:

i)

il titolo è sostituito dal seguente:

«Arricchimento, acidificazione e disacidificazione in alcune zone viticole e dealcolizzazione»;

ii)

nella sezione B, punto 7, la lettera b) è sostituita dalla seguente:

«b)

portare il titolo alcolometrico volumico totale dei prodotti di cui al punto 6 per la produzione di vini a denominazione d’origine protetta o a indicazione geografica protetta a un livello che essi determinano.»;

iii)

la sezione C è sostituita dalla seguente:

«C.   Acidificazione e disacidificazione

1.

Le uve fresche, il mosto di uve, il mosto di uve parzialmente fermentato, il vino nuovo ancora in fermentazione e il vino possono essere sottoposti ad acidificazione e a disacidificazione.

2.

L’acidificazione dei prodotti di cui al punto 1 può essere effettuata soltanto entro un limite massimo, espresso in acido tartarico, di 4 g/l, ossia di 53,3 milliequivalenti per litro.

3.

La disacidificazione dei vini può essere effettuata soltanto entro un limite massimo, espresso in acido tartarico, di 1 g/l, ossia di 13,3 milliequivalenti per litro.

4.

Il mosto di uve destinato alla concentrazione può essere sottoposto a disacidificazione parziale.

5.

L’acidificazione e l’arricchimento, salvo deroga decisa dalla Commissione mediante atti delegati a norma dell’articolo 75, paragrafo 2, e l’acidificazione e la disacidificazione di uno stesso prodotto, sono operazioni che si escludono a vicenda.»;

iv)

nella sezione D, il punto 3) è sostituito dal seguente:

«3.

L’acidificazione e la disacidificazione dei vini sono effettuate solo nella zona viticola in cui sono state raccolte le uve utilizzate per l’elaborazione del vino.»;

v)

è aggiunta la sezione seguente:

«E.   Processi di dealcolizzazione

È autorizzato ciascuno dei processi di dealcolizzazione sottoelencati, utilizzati singolarmente o congiuntamente con altri processi di dealcolizzazione elencati, per ridurre parzialmente o quasi totalmente il tenore di etanolo nei prodotti vitivinicoli di cui all’allegato VII, parte II, punto 1) e punti da 4) a 9):

a)

parziale evaporazione sotto vuoto;

b)

tecniche a membrana;

c)

distillazione.

I processi di dealcolizzazione utilizzati non danno luogo a difetti dal punto di vista organolettico nei prodotti vitivinicoli. L’eliminazione dell’etanolo nel prodotto vitivinicolo non deve essere effettuata in combinazione con un aumento del tenore di zuccheri nel mosto di uve.»;

Le pratiche enologiche così ammesse  per la dealcolazione sono quindi le stesse previste dal Codice OIV per i trattamenti enologici per la “dealcoholisation of wines“, che sono poi le stesse consentite anche per la “Correction of the alcohol content in wines” (il Codice enologico UE regola quest’ultima nell’appendice 8 del suo allegato I, dove non vengono specificatamente individuate le techiche utilizzabili, ma si dice solo che esse possono essere utilizzabili da sole o congiuntamente).

 

Per contro, non potranno essere delacolate le seguenti categorie di prodotti vitivinicoli:

      • “vino ottenuto da uve appassite”,
      • “vino di uve stramature”
      • “vino liquoroso”.

In precedenza non era lecito nè produrre nè commercializzare il vino delacolizzato nell’Unione Europea.

Ciò perché sino all’anno 2021 il vino dealcolizzato

Per quanto concerne la dealcolazione (parziale o totale) ora autorizzata, è neccessario che i prodotti  – prima di tale processo – abbiano integrato i requisiti previsti dalla rispettiva categoria di appartenenza.

Sul piano pratico, ci si domanda come sia possibile rispettare i requisiti suddetti per i vini spumanti (a prescindere dall’origine naturale o artificiale del gas che ne determina la pressione), qualora la dealcolazione debba avvenire sul prodotto che ha “pienamente” raggiunto i requisiti previsti per la propria categoria di prodotto, i quali prevedono sempre la presenza di una pressione minima, che andrebbe poi persa durante il processo di dealcolazione.

In effetti, il tema è allo studio del gruppo di esperti degli Stati membri.

Nel Vademecum per la campagna vendemmiale 2022 (pag.17/18), il MIPAAF evidenzia poi vari ostacoli che l’attuale normativa italiana pone alla produzione di vino dealcolato/dealcolizzato, derivanti dal fatto che essa è ancora strutturata in modo coerente a quanto disponeva in precedenza la legislazione UE, che non ammetteva tali tipologie di prodotti.

 

Si ricorda che  l’art.82 del medesimo regolamento (UE) 1308/2013 vieta la produzione e la commercializzazione dei prodotti non conformi agli standard previsti in dette definizioni.

Analogo discoso vale per i vini aromatizzati (disciplinati invece dal regolamento UE 251/2014), a sua volta modificato dai citato regolamento UE/2127/2021 (art.3 e seg).


 

Tale riforma appare peraltro coerente con i principi enunciati nella comunicazione della Commissione sulla strategia europea per la lotta contro il cancro, ove viene evidenziato come il consumo  nocivo di alcol può contribuire all’insorgere di tale malattia.

3.3.   Ridurre il consumo nocivo di alcol 

I danni derivanti dal consumo di alcol rappresentano un serio problema di salute pubblica nell’UE. Nel 2016 il cancro è stato la principale causa dei decessi attribuibili all’alcol, con una percentuale del 29 %, seguito da cirrosi epatica (20 %), malattie cardiovascolari (19 %) e traumi (18 %). La Commissione aumenterà il sostegno agli Stati membri e ai portatori di interessi affinché attuino le migliori pratiche e le attività di sviluppo delle capacità per ridurre il consumo nocivo di alcol, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Tra questi, il conseguimento di una riduzione relativa di almeno il 10 % dell’uso nocivo di alcol entro il 2025. Inoltre la Commissione riesaminerà la legislazione dell’UE sulla tassazione dell’alcol e sugli acquisti transfrontalieri di prodotti alcolici da parte di privati, assicurandosi che rimanga adatta allo scopo di bilanciare gli obiettivi in materia di entrate pubbliche e di protezione della salute.

Per ridurre l’esposizione dei giovani alla promozione commerciale di alcol, la Commissione controllerà attentamente gli effetti prodotti dall’attuazione della direttiva relativa ai servizi di media audiovisivi sulle comunicazioni commerciali delle bevande alcoliche, anche sulle piattaforme di condivisione di video online. A tal fine collaborerà con gli Stati membri e con il gruppo dei regolatori europei per i servizi di media audiovisivi (ERGA) e i portatori di interessi per incoraggiare iniziative di autoregolamentazione e coregolamentazione. La Commissione riesaminerà inoltre la sua politica di promozione delle bevande alcoliche e, in aggiunta, proporrà l’obbligo di indicare l’elenco degli ingredienti e la dichiarazione nutrizionale sulle etichette delle bevande alcoliche entro la fine del 2022, e le avvertenze sanitarie entro la fine del 2023. Sarà anche fornito sostegno agli Stati membri affinché realizzino interventi brevi sull’alcol, basati su dati concreti, presso le strutture di assistenza sanitaria di base, sul luogo di lavoro e presso i servizi sociali.

 

 

Vino dealcolato

Vino dealcolato: con la PAC post-2020 è stata autorizzata la sua produzione e commercializzazione nella UE.


Vino dealcolato: nel contesto della  riforma della PAC post-2020 (adottata a fine giugno 2021) si è deciso di autorizzare la  produzione e commercializzazione.

Senza aggiungere nuove categorie di prodotti vitivinicoli, è stata consentita la dealcolazione (totale o parziale) di alcune di esistenti, e cioè:

      • “vino”,
      • “vino spumante”,
      • “vino spumante di qualità”,
      • “vino spumante di qualità del tipo aromatico”,
      • “vino spumante gassificato”,
      • “vino frizzante”,
      • “vino frizzante gassificato”

Dispone in proposito il regolamento UE/2127/2021 (art.1, comma 74), che modifica nel seguente modo l’Allegato VII, parte II al regolamento UE/1308/2013

la parte II è così modificata:

i)

è aggiunta la frase introduttiva seguente:

«Le categorie di prodotti vitivinicoli sono quelle di cui ai punti da 1) a 17). Le categorie di prodotti vitivinicoli di cui al punto 1) e ai punti da 4) a 9) possono essere sottoposte a un trattamento di dealcolizzazione totale o parziale conformemente all’allegato VIII, parte I, sezione E, dopo aver raggiunto pienamente le rispettive caratteristiche descritte in tali punti.»;

Quanto al trattamento di dealcolizzazione, il regolamento UE/2127/2021 (art.1, comma 74), modifica nel seguente modo l’Allegato VIII, al regolamento UE/1308/2013:

la parte I è così modificata:

i)

il titolo è sostituito dal seguente:

«Arricchimento, acidificazione e disacidificazione in alcune zone viticole e dealcolizzazione»;

ii)

nella sezione B, punto 7, la lettera b) è sostituita dalla seguente:

«b)

portare il titolo alcolometrico volumico totale dei prodotti di cui al punto 6 per la produzione di vini a denominazione d’origine protetta o a indicazione geografica protetta a un livello che essi determinano.»;

iii)

la sezione C è sostituita dalla seguente:

«C.   Acidificazione e disacidificazione

1.

Le uve fresche, il mosto di uve, il mosto di uve parzialmente fermentato, il vino nuovo ancora in fermentazione e il vino possono essere sottoposti ad acidificazione e a disacidificazione.

2.

L’acidificazione dei prodotti di cui al punto 1 può essere effettuata soltanto entro un limite massimo, espresso in acido tartarico, di 4 g/l, ossia di 53,3 milliequivalenti per litro.

3.

La disacidificazione dei vini può essere effettuata soltanto entro un limite massimo, espresso in acido tartarico, di 1 g/l, ossia di 13,3 milliequivalenti per litro.

4.

Il mosto di uve destinato alla concentrazione può essere sottoposto a disacidificazione parziale.

5.

L’acidificazione e l’arricchimento, salvo deroga decisa dalla Commissione mediante atti delegati a norma dell’articolo 75, paragrafo 2, e l’acidificazione e la disacidificazione di uno stesso prodotto, sono operazioni che si escludono a vicenda.»;

iv)

nella sezione D, il punto 3) è sostituito dal seguente:

«3.

L’acidificazione e la disacidificazione dei vini sono effettuate solo nella zona viticola in cui sono state raccolte le uve utilizzate per l’elaborazione del vino.»;

v)

è aggiunta la sezione seguente:

«E.   Processi di dealcolizzazione

È autorizzato ciascuno dei processi di dealcolizzazione sottoelencati, utilizzati singolarmente o congiuntamente con altri processi di dealcolizzazione elencati, per ridurre parzialmente o quasi totalmente il tenore di etanolo nei prodotti vitivinicoli di cui all’allegato VII, parte II, punto 1) e punti da 4) a 9):

a)

parziale evaporazione sotto vuoto;

b)

tecniche a membrana;

c)

distillazione.

I processi di dealcolizzazione utilizzati non danno luogo a difetti dal punto di vista organolettico nei prodotti vitivinicoli. L’eliminazione dell’etanolo nel prodotto vitivinicolo non deve essere effettuata in combinazione con un aumento del tenore di zuccheri nel mosto di uve.»;

Le pratiche enologiche così ammesse  per la dealcolazione sono quindi le stesse previste dal Codice OIV per i trattamenti enologici per la “dealcoholisation of wines“, che sono poi le stesse consentite anche per la “Correction of the alcohol content in wines” (il Codice enologico UE regola quest’ultima nell’appendice 8 del suo allegato I, dove non vengono specificatamente individuate le techiche utilizzabili, ma si dice solo che esse possono essere utilizzabili da sole o congiuntamente).

Per contro, non potranno essere delacolate le seguenti categorie di prodotti vitivinicoli:

      • “vino ottenuto da uve appassite”,
      • “vino di uve stramature”
      • “vino liquoroso”.

In precedenza non era lecito nè produrre nè commercializzare il vino delacolato nell’Unione Europea.

Ciò perché sino all’anno 2021 il vino dealcolato:

Per quanto concerne la dealcolazione (parziale o totale) ora autorizzata, è neccessario che i prodotti  – prima di tale processo – abbiano integrato i requisiti previsti dalla rispettiva categoria di appartenenza.

Sul piano pratico, ci si domanda come sia possibile rispettare i requisiti suddetti per i vini spumanti (a prescindere dall’origine naturale o artificiale del gas che ne determina la pressione), qualora la dealcolazione debba avvenire sul prodotto che ha “pienamente” raggiunto i requisiti previsti per la propria categoria di prodotto, i quali prevedono sempre la presenza di una pressione minima, che andrebbe poi persa durante il processo di dealcolazione.

In effetti, il tema è allo studio del gruppo di esperti degli Stati membri.

Nel Vademecum per la campagna vendemmiale 2022 (pag.17/18), il MIPAAF evidenzia poi vari ostacoli che l’attuale normativa italiana pone attualmente alla produzione di vino dealcolato/dealcolizzato, derivanti dal fatto che essa è ancora strutturata in modo coerente a quanto disponeva in precedenza la legislazione UE, che non ammetteva tali tipologie di prodotti.

Si ricorda che  l’art.82 del medesimo regolamento (UE) 1308/2013 vieta la produzione e la commercializzazione dei prodotti non conformi agli standard previsti in dette definizioni.

Analogo discoso vale per i vini aromatizzati (disciplinati invece dal regolamento UE 251/2014), a sua volta modificato dai citato regolamento UE/2127/2021 (art.3 e seg).


 

Tale riforma appare peraltro coerente con i principi enunciati nella comunicazione della Commissione sulla strategia europea per la lotta contro il cancro, ove viene evidenziato come il consumo  nocivo di alcol può contribuire all’insorgere di tale malattia.

3.3.   Ridurre il consumo nocivo di alcol 

I danni derivanti dal consumo di alcol rappresentano un serio problema di salute pubblica nell’UE. Nel 2016 il cancro è stato la principale causa dei decessi attribuibili all’alcol, con una percentuale del 29 %, seguito da cirrosi epatica (20 %), malattie cardiovascolari (19 %) e traumi (18 %). La Commissione aumenterà il sostegno agli Stati membri e ai portatori di interessi affinché attuino le migliori pratiche e le attività di sviluppo delle capacità per ridurre il consumo nocivo di alcol, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Tra questi, il conseguimento di una riduzione relativa di almeno il 10 % dell’uso nocivo di alcol entro il 2025. Inoltre la Commissione riesaminerà la legislazione dell’UE sulla tassazione dell’alcol e sugli acquisti transfrontalieri di prodotti alcolici da parte di privati, assicurandosi che rimanga adatta allo scopo di bilanciare gli obiettivi in materia di entrate pubbliche e di protezione della salute.

Per ridurre l’esposizione dei giovani alla promozione commerciale di alcol, la Commissione controllerà attentamente gli effetti prodotti dall’attuazione della direttiva relativa ai servizi di media audiovisivi sulle comunicazioni commerciali delle bevande alcoliche, anche sulle piattaforme di condivisione di video online. A tal fine collaborerà con gli Stati membri e con il gruppo dei regolatori europei per i servizi di media audiovisivi (ERGA) e i portatori di interessi per incoraggiare iniziative di autoregolamentazione e coregolamentazione. La Commissione riesaminerà inoltre la sua politica di promozione delle bevande alcoliche e, in aggiunta, proporrà l’obbligo di indicare l’elenco degli ingredienti e la dichiarazione nutrizionale sulle etichette delle bevande alcoliche entro la fine del 2022, e le avvertenze sanitarie entro la fine del 2023. Sarà anche fornito sostegno agli Stati membri affinché realizzino interventi brevi sull’alcol, basati su dati concreti, presso le strutture di assistenza sanitaria di base, sul luogo di lavoro e presso i servizi sociali.

 

 

Atlante parentele vitigni italiani

L’atlante parentele vitigni italiani costuituisce  il risultato di un’estesa indagine genetica sul germoplasma viticolo italiano.


Frutto di uno studio che ha coinvolto vari istituiti universitari, l’atlante parentele vitigni italiani è stato pubblicato nel 2021 su sito “Frontiers in plant science.

Il lavoro rappresenta il risultato di uno studio che ha esplorato i profili genetici di centinaia di varietà delle specie Vitis vinifera subsp. sativa and Vitis hybrids.

Come si legge nella presentazione di detto studio, la rete di parentela risultante ha suggerito che il germoplasma della vite italiano tradizionale proviene in gran parte da poche varietà centrali geograficamente distribuite in diverse aree di influenza genetica: “Strinto porcino” e la sua prole “Sangiovese”, “Mantonico bianco” e “Aglianico” principalmente come varietà fondatrici dell’Italia sudoccidentale (IT-SW); Riviera Adriatica Italiana (IT-AC); e Centro Italia con la maggior parte delle varietà discendenti di “Visparola”, “Garganega” e “Bombino bianco”; “Termarina (Sciaccarello)” “Orsolina” e “Uva Tosca” come le principali varietà dell’Italia nord-occidentale (IT-NW) e dell’Italia centrale.

La ricostruzione genealogica attraverso rapporti tra fratello e sorella di secondo grado ha evidenziato il ruolo chiave di alcune cultivar e, in particolare, è apparsa chiara la centralità della “Visparola” nell’origine del germoplasma italiano. Si potrebbe ipotizzare un’ipotetica migrazione di questa varietà all’interno della Penisola Italiana da Sud a Nord lungo il versante orientale, così come del “Sangiovese” dal Sud al Centro Italia lungo il versante occidentale. Inoltre, è stato anche evidenziato che, tra i principali fondatori di varietà di moscato, il “Moscato bianco” e lo “Zibibbo (Moscato d’Alessandria)” si sono diffusi in tutta Italia, con un alto contributo da parte dei primi al germoplasma del Nord-Ovest della penisola.


Parentage Atlas of Italian Grapevine Varieties


Uno studio sul genoma di 204 specie di Vitis vinifera rivela invece l’origine dei vitigni europei.


 

Contraffazione indicazioni geografiche

In Italia la contraffazione indicazioni geografiche è punita dal codice penale, che la considera un reato.


L’art.517-quater c.p. sanziona così la contraffazione indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari e del vino:

Chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000.

Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte.

Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.

I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.

 

Una circostanza attenuante è poi prevista dal successivo art. 517-quinquies del codice penale, che così sancisce:

Le pene previste dagli articoli 517-ter e 517-quater sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti del colpevole che si adopera per aiutare concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nell’azione di contrasto dei delitti di cui ai predetti articoli 517-ter e 517-quater, nonché nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura dei concorrenti negli stessi, ovvero per la individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti.


La tutela penale delle indicazioni geografiche trova in Italia altro strumento nell’art.515 del codice penale, che punisce la frode in commercio.

In effetti, tale reato punisce alcune condotte che possono pregiudicare i prodotti recanti una indicazione geografica: ad esempio, l’immettere in commercio come prodotto DOP un vino vinificato senza rispettarne il relativo disciplinare (il che significa anche il vinificarlo al di fuori della zona di produzione prevista dal disciplinare stesso).

Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile [c.c. 812; c.p. 624], per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065


Attualmente è in discussione in Parlamento la riforma dei reati alimentari, che interesserà anche questa materia.

Disegno legge su riforma reati alimentari



MIPAAF - Lotta alla contraffazione

MIPAAF - Desk Anticontraffazione On-Line

Ufficio Brevetti Italiano - Lotta alla contraffazione