1. Introduction; 2. Oenological practices; 2.1 Free movement of wine inside the EU; 2.2 Non-tariff barriers in the trade with third countries; 2.2.1 WTO Agreements to overtake non-tariff barriers: SPS and TBT; 2.2.2 EU Agreements; 3. Protected designations of origin (PDOs) and protected geographical indications (PGIs); 3.1 Protection inside the EU; 3.2 Protection in third countries; 3.2.1 WTO Agreement: TRIPS; 3.3.2 EU Agreements; 3.3.3 EU adhesion to WIPO Agreement (the Lisbon System and the Geneva Act); 4. Final considerations.
Abstract. National rules on oenological practices respond to the need to protect human health and economic interests of consumers and producers. In international trade, however, such rules can turn into non-tariff barriers. The protection of DOs and GIs allows the safeguarding of an important economic and intangible heritage, at least from a European point of view. At an international level, however, this necessity clashes with antithetical economic interests, mainly attributable to the fact that in many non-European territories, various important European DOs and GIs have become common names that indicate certain types of foodstuffs or wines. In the WTO context, the mitigation of non-tariff barriers is entrusted to the SPS and TBT Agreements, while the protection of geographical indications to the TRIPS Agreement. However, their effectiveness has proven weak, especially TRIPS. Consequently, the European Union has concluded a series of international agreements with many third countries (both producers and consumers of wine) aimed at favouring trade in wine. In this way, on the one hand, a set of globally shared rules on oenological practices has been identified (thanks also to OIV action), and, on the other hand, numerous European DOs and GIs have obtained international recognition, thus allowing their concrete protection. EU international agreements have also contributed to increased awareness and consensus in the world on quality schemes related to the PDO and PGI systems. Unfortunately, in several cases, not all of the currently existing European geographical indications are recognised (only some of them), and this situation creates disparities.
Sostenibilità Vitivinicoltura Italia – Iniziative private e disciplinare MIPAAF
Iniziative private per la sostenibilità nel settore vitivinicolo
Progetto VIVA per la Sostenibilità Vitivinicoltura Italia, promosso dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con la collaborazione del:
Centro di Ricerca Opera per la sostenibilità in agricoltura dell’Università Cattolica del Sacro Cuore;
Centro di Competenza Agroinnova dell’Università di Torino (2011-2014).
Il disciplinare è composto dai documenti tecnici per l’analisi dei quattro indicatori da parte delle aziende – ARIA, ACQUA, TERRITORIO E VIGNETO – e dai relativi allegati, tra cui i documenti volti a disciplinare le procedure di verifica degli enti certificatori e l’uso dell’etichetta VIVA.
Gli obiettivi del progetto sono:
messa a punto di una metodologia di calcolo e valutazione della sostenibilità delle aziende vitivinicole e dei loro prodotti, dal campo al consumo, in grado di misurare la qualità ambientale della filiera vite-vino;
sviluppo, con riferimento alla metodologia realizzata, un disciplinare specifico per l’analisi e la certificazione dei 4 indicatori (aria, acqua, territorio e vigneto), periodicamente aggiornato sulla base dell’evoluzione delle normative europee ed internazionali in materia;
individuazione delle misure per migliorare delle prestazioni di sostenibilità in vigneto e in cantina anche attraverso la collaborazione con l’Unione Italiana Vini;
comunicazione trasparente verso il consumatore finale attraverso un’etichetta consultabile da smartphone o tablet , onde informarlo sui risultati e i miglioramenti, in termini di sostenibilità, raggiunti dai produttori che aderiscono al progetto;
formazione di tecnici aziendali e consulenti sull’applicazione degli indicatori VIVA, al fine di supportare le aziende a valutare e migliorare le proprie prestazioni di sostenibilità nel tempo;
creazione di strumenti informatici di facile utilizzo per l’analisi degli indicatori Vigneto, Acqua e Territorio;
collaborazione e dialogo con le associazioni nazionali ed internazionali e gli stakeholders per promuovere l’iniziativa a livello nazionale ed internazionale.
Quanto alla ricerca in materia di sostenibilità e resilienza, si segnala anche il progetto Uniseco dell’Unione Europea, a cui partecipa per l’Italia il distretto del Chianti.
Fondazione SOStain, attiva in Sicilia, la quale promuove a sua volta la Sostenibilità Vitivinicoltura Italia mediante il rispetto volontario di un disciplinare composto da 10 requisiti minimi che includono aspetti relativi a:
misurazione della water footprint e della carbon footprint
controllo del peso della bottiglia, conservazione della biodiversità floristica e faunistica
valorizzazione del capitale umano e territoriale, risparmio energetico
Tali procedure contemplano l’intervento di appositi organismi di certificazione, alcuni dei quali sono gli stessi che (secondo altre procedure) intervengono nei controlli sulla produzione dei vini DOP e IGP oppure quella dei prodotti biologici ovvero per gli standard volontari di sostenibilità (VIVA, EQUALITAS) ovvero di produzione integrata (SQPI).
Il DM 124900/2022 riconosce per validi anche gli attuali sistemi volontari di certificazione della sostenibilità vitivinicola (esistenti a livello nazionale alla data deldecreto ministeriale 23 giugno 2021 n. 288989, quali VIVA ed Equalitas ): seguendo le apposite procedure, chi li utilizza viene quindi autorizzato ad avvalersi del segno distintivo.
Tali standard volontari spesso risultano (quanto meno al momento) più rigorosi di quello ministeriale.
Si delinea così l’attuale sistama di Sostenibilità Vitivinicoltura Italia.
Sempre nell’ottica di promuovere la sostenibilità è stata adotatta la legge 17 maggio 2022, n. 61, portante le norme per la valorizzazione e la promozione dei prodotti agricoli e alimentari a chilometro zero e di quelli provenienti da filiera corta.
A ben vedere, la sostenibilità nel settore agricolo e – più generalmente – nell’intero sistema produttivo/economico rappresenta un elemento indispensabile per orientare in senso più equo e responsabile la nostra stessa società.
A ciò si ispirano i criteri ESG, il cui scopo è quello di valutare la sostenibilità (sul piano ecologico, sociele e di governance) delle varie attività economiche e, conseguentemente, orientare anche gli investimenti finanziari.
LaCorporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) introduce a carico delle imprese obblighi di trasparenza più dettagliati circa il loro impatto sull’ambiente, sui diritti umani e sugli standard sociali.
L’obiettivo della Direttiva CSRD è garantire una maggiore trasparenza della comunicazione delle imprese in materia ambientale, sociale e di governance, rendendola oggetto di compliance normativa per le grandi imprese, in modo contrstare il fenomeno del greenwashing.
Pertanto la Direttiva CSRD introduce obblighi di comunicazione più dettagliati e garantisce che le grandi imprese e le PMI quotate siano tenute a comunicare al mercato precise informazioni in materia di sostenibilità, con specifico riferimento al modo in cui il loro modello aziendale incide sulla propria sostenibilità e su come fattori di sostenibilità esterni – quali i cambiamenti climatici – influenzano le relative attività.
Le nuove norme in materia di comunicazione sulla sostenibilità si applicheranno a tutte le grandi imprese e a tutte le società quotate in mercati regolamentati, a eccezione delle microimprese quotate. Queste imprese sono anche responsabili della valutazione delle informazioni applicabile alle imprese figlie.
Le norme si applicano anche alle PMI quotate, tenendo conto delle loro specificità. Per le PMI quotate sarà possibile una deroga (“opt-out”) durante un periodo transitorio, che le esenterà dall’applicazione della direttiva fino al 2028.
Le norme introdotte dalla Direttiva dovranno essere recepite dagli Stati membri entro 18 mesi dall’entrata in vigore della stessa, in modo tale che venga rispettata la seguente tempistica (basata su quattor fasi):
nel 2025, comunicazione sull’esercizio finanziario 2024 per le imprese già soggette alla direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario
nel 2026, comunicazione sull’esercizio finanziario 2025 per le grandi imprese attualmente non soggette alla direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario
nel 2027, comunicazione sull’esercizio finanziario 2026 per le PMI quotate (a eccezione delle microimprese), gli enti creditizi piccoli e non complessi e le imprese di assicurazione captive
nel 2029, comunicazione sull’esercizio finanziario 2028 per le imprese di paesi terzi che realizzano ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiori a 150 milioni di EUR nell’UE, se hanno almeno un’impresa figlia o una succursale nell’UE che supera determinate soglie
Tale direttiva intende proteggere i consumatori dal pericolo del “Greenwashing” (e cioè lo spacciare per prodotto sostenibile ciò che in realtà non lo è affatto oppure in modo poco rilevante).
Agli Stati è quindi fatto obbligo di impedire sostanzialmente due fenomeni a danno dei consumatori (ma, in realtà, ai danni anche dell’ambiente):
i messaggi ingannevoli sulla sostenibilità dei prodotti –> “Consumers are faced with the practice of making unclear or not well-substantiated environmental claims (‘greenwashing’)”;
la confusione derivante dalla circostanza che i molteplici disciplinari sulla sostenibilità, attualmente esistenti, prevedono in realtà livelli e campi di azione alquanto differenti fra loro –> “Consumers are faced with the use of sustainability labels that are not always transparent and credible”.
La gestione della risorsa idrica, vitale per affrontare il cambiamento climatico, è analizzata in questo interessante incontro di studio, organizzato dall’Accademia di Agricoltura di Torino.
Valutare impatto ambientale
Per capire l’impatto ambientale complessivo di un’attività economica e, quindi, la necessità di un’economia circolare nonché sostenibile:
Merita infine attenzione l’iniziativa promossa da Papa Francesco, per sensibilizzare al riguardo le giovani generazioni, nella speranza di portare cambiamenti sociali che riescano a spezzare l’ottica del mero profitto economico, foriera di ben noti disastri ambientali ed umanitari.
Nutrinform Battery è stata pensata come un’etichetta nutrizionale volontaria: come tale non va a sostituire l’etichettatura imposta dalle norme europee (che riporta le informazioni obbligatorie, quali quelle nutrizionali e l’elenco degli ingredienti), ma contiene indicazioni aggiuntive, che devono ovviamente essere coerenti.
L’etichetta proposta è strutturata sulla base di 5 box (stilizzanti una batteria) affiancati, ciascuno dei quali contiene l’indicazione quantitativa del contenuto di energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale della singola porzione.
Quanto al contenuto dell’etichetta nutrizionale, il citato regolamento UE sancisce quanto segue:
1. La dichiarazione nutrizionale obbligatoria reca le indicazioni seguenti:
a) il valore energetico; e
b) la quantità di grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale.
Una dicitura indicante che il contenuto di sale è dovuto esclusivamente al sodio naturalmente presente può figurare, ove opportuno, immediatamente accanto alla dichiarazione nutrizionale.
2. Il contenuto della dichiarazione nutrizionale obbligatoria di cui al paragrafo 1 può essere integrato con l’indicazione delle quantità di uno o più dei seguenti elementi:
a) acidi grassi monoinsaturi;
b) acidi grassi polinsaturi;
c) polioli;
d) amido;
e) fibre;
f) i sali minerali o le vitamine elencati all’allegato XIII, parte A, punto 1, e presenti in quantità significativa secondo quanto definito nella parte A, punto 2, di tale allegato.
3. Quando l’etichettatura di un alimento preimballato contiene la dichiarazione nutrizionale obbligatoria di cui al paragrafo 1, vi possono essere ripetute le seguenti informazioni:
a) il valore energetico; oppure
b) il valore energetico accompagnato dalla quantità di grassi, acidi grassi saturi, zuccheri e sale.
4. In deroga all’articolo 36, paragrafo 1, quando l’etichettatura dei prodotti di cui all’articolo 16, paragrafo 4 (e cioè bevande con contenuto alcolico superiore all’1,2 % in volume), contiene una dichiarazione nutrizionale, il contenuto della dichiarazione può limitarsi al solo valore energetico.
5. Fatto salvo l’articolo 44 e in deroga all’articolo 36, paragrafo 1, quando l’etichettatura dei prodotti di cui all’articolo 44, paragrafo 1 (e cioè alimenti offerti in vendita al consumatore finale o alle collettività senza preimballaggio oppure siano imballati sui luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta), contiene una dichiarazione nutrizionale, il contenuto della dichiarazione può limitarsi:
a) al valore energetico; oppure
b) al valore energetico accompagnato dalla quantità di grassi, acidi grassi saturi, zuccheri e sale”.
Chi interessato, può inserire i dati nutrizionali del proprio prodotto, per generare gratuitamente la sua etichetta, che potrà poi essere scaricata in vari formati grafici.
Così come congeniata, la Nutrinform Battery solleva qualche perplessità, poiché potrebbe essere fonte di equivoci per il consumatore.
Supponiamo un alimento molto ricco di sale: il relativo box (fatto a forma di pila energetica) risulterebbe pressocché pieno.
Di conseguenza, un consumatore potrebbe essere erroneamente portato a pensare che tale alimento:
sia molto energetico (il sale, invece, non è fonte di energia)
non sia sconsigliabile (mentre un alimento ricco di sale verosimilmente lo è).
Diverso l’approccio del Nutriscore europeo (fatto a forma di semaforo), pensato per avvertire – con un messaggio visivo immediatamente qualificabile – se le carateristiche nutrizionali di un alimento sono positive o meno.
come viene elaborato l’algoritmo che determina per ogni singolo alimenti quale sia il proprio “valore” semaforico (A, B, …)
la valutazione fatta sulla base di una certa quantità di prodotto, che spesso non corrisponde a quanto viene abitualmente consumato durante un pasto (non si mangiano solitamente 100 gr. di Parmigiano)
mancanza di collegamento con la dieta alimentare complessivamente tenuta dal consumatore.
solo su alcuni aspetti specifici: l’individuazione di sostanze nutritive e componenti non nutritivi (per esempio energia, fibre alimentari) importanti per la salute pubblica delle popolazioni europee, le categorie di alimenti con incidenza rilevante nelle diete europee e i criteri che potrebbero orientare la scelta delle sostanze nutritive e dei componenti non nutritivi per i modelli di profilazione nutrizionale.
Di conseguenza EFSA ha precisato:
Non è stato chiesto all’EFSA: di stabilire se occorra definire profili nutrizionali in generale e/o per talune categorie alimentari, di esprimersi su un metodo di calcolo dei profili (con valori limite e sistemi di punteggio), sulla scelta della base/quantità di riferimento per detti profili nutrizionali (ad esempio per valore energetico, per unità di peso o volume del prodotto oppure per porzione), né di esprimersi in merito alla fattibilità e alla sperimentazione di modelli di profilazione nutrizionale. Tali aspetti sono stati trattati dall’EFSA nel 2008 relativamente alla definizione dei profili nutrizionali degli alimenti recanti indicazioni nutrizionali e sulla salute, ma nel 2022 non rientravano nell’ambito dell’incarico.
La rintracciabilita tracciabilita settore vitivinicolo è di per sè assicurata dal rispetto degli obblighi previsti dalla vigente legislazione del settore
Il Dipartimento delle politiche di mercato(Mipaaf) – DGPA – Divisione PAGR. IX – con note prot. n. F/2972 del 6 dicembre 2004 e n. F/349 del 3 febbraio 2005, indirizzate anche alle associazioni di categoria, ha rappresentato la posizione della Commissione UE in materia di rintracciabilità per i vini. Al riguardo la citata Commissione ha precisato che già l’Ocm vitivinicola (Regolamento CE n. 1493/99 e relativi regolamenti di applicazione) ha assicurato, nell’ambito della speciale disciplina, la rintracciabilità dei prodotti vitivinicoli. Pertanto, stante le puntuali disposizioni presenti nelle citate norme di riferimento comunitario, non sussiste una particolare necessità di prevedere ulteriori e specifici obblighi normativi in attuazione del regolamento CE n. 178/2002. Inoltre, anche il settore vitivinicolo è assoggettato al D.Lgs. n. 190/2006 (disciplina sanzionatoria per le violazioni del Reg. CE 178/2002), fatto salvo quanto disposto dall’art. 7, paragrafo 3 riguardo alla specifica disciplina del settore vitivinicolo.
Quanto alla legislazione dell’Unione Europea, le principali norme di riferimento attualmente vigenti – che costituiscono la “speciale disciplina” a cui fa riferimento il MIPAAF – sono i seguenti regolamenti della Commissione, attuativi della OCM Vino 2013:
Detta norma UNI fornisce i principi e specifica i requisiti di base per progettare ed attuare un sistema di rintracciabilità agroalimentare.
Un sistema di rintracciabilità è un’utile strumento per un’impresa operante nell’ambito della filiera agroalimentare.
Ciò serve per valorizzare particolari caratteristiche di prodotto (es. origine, caratteristiche peculiari degli ingredienti) e per soddisfare in modo efficace le aspettative del cliente, in particolare la Grande Distribuzione (GDO).
Detto sistema di certificazione – che comprende sia alimenti/bevande (quindi il vino) che mangimi – è applicabile sia ai sistemi di rintracciabilità delle filiere che a quelli delle singole aziende.
La progettazione di un sistema di rintracciabilità deve necessariamente definire i seguenti aspetti:
obiettivi del sistema di rintracciabilità
normativa e documenti applicabili al sistema di rintracciabilità
prodotti e ingredienti oggetto di rintracciabilità
posizione di ciascuna organizzazione nella catena alimentare, identificazione dei fornitori e dei clienti
Senza aggiungere nuove categorie di prodotti vitivinicoli, è stata consentita la dealcolazione (totale o parziale) di alcune di esistenti, e cioè:
“vino”,
“vino spumante”,
“vino spumante di qualità”,
“vino spumante di qualità del tipo aromatico”,
“vino spumante gassificato”,
“vino frizzante”,
“vino frizzante gassificato”
Dispone in proposito il regolamento UE/2127/2021 (art.1, comma 74), che modifica nel seguente modo l’Allegato VII, parte II al regolamento UE/1308/2013
la parte II è così modificata:
i)
è aggiunta la frase introduttiva seguente:
«Le categorie di prodotti vitivinicoli sono quelle di cui ai punti da 1) a 17). Le categorie di prodotti vitivinicoli di cui al punto 1) e ai punti da 4) a 9) possono essere sottoposte a un trattamento di dealcolizzazione totale o parziale conformemente all’allegato VIII, parte I, sezione E, dopo aver raggiunto pienamente le rispettive caratteristiche descritte in tali punti.»;
Quanto al trattamento di dealcolizzazione, il regolamento UE/2127/2021 (art.1, comma 74), modifica nel seguente modo l’Allegato VIII, al regolamento UE/1308/2013:
la parte I è così modificata:
i)
il titolo è sostituito dal seguente:
«Arricchimento, acidificazione e disacidificazione in alcune zone viticole e dealcolizzazione»;
ii)
nella sezione B, punto 7, la lettera b) è sostituita dalla seguente:
«b)
portare il titolo alcolometrico volumico totale dei prodotti di cui al punto 6 per la produzione di vini a denominazione d’origine protetta o a indicazione geografica protetta a un livello che essi determinano.»;
iii)
la sezione C è sostituita dalla seguente:
«C. Acidificazione e disacidificazione
1.
Le uve fresche, il mosto di uve, il mosto di uve parzialmente fermentato, il vino nuovo ancora in fermentazione e il vino possono essere sottoposti ad acidificazione e a disacidificazione.
2.
L’acidificazione dei prodotti di cui al punto 1 può essere effettuata soltanto entro un limite massimo, espresso in acido tartarico, di 4 g/l, ossia di 53,3 milliequivalenti per litro.
3.
La disacidificazione dei vini può essere effettuata soltanto entro un limite massimo, espresso in acido tartarico, di 1 g/l, ossia di 13,3 milliequivalenti per litro.
4.
Il mosto di uve destinato alla concentrazione può essere sottoposto a disacidificazione parziale.
5.
L’acidificazione e l’arricchimento, salvo deroga decisa dalla Commissione mediante atti delegati a norma dell’articolo 75, paragrafo 2, e l’acidificazione e la disacidificazione di uno stesso prodotto, sono operazioni che si escludono a vicenda.»;
iv)
nella sezione D, il punto 3) è sostituito dal seguente:
«3.
L’acidificazione e la disacidificazione dei vini sono effettuate solo nella zona viticola in cui sono state raccolte le uve utilizzate per l’elaborazione del vino.»;
v)
è aggiunta la sezione seguente:
«E. Processi di dealcolizzazione
È autorizzato ciascuno dei processi di dealcolizzazione sottoelencati, utilizzati singolarmente o congiuntamente con altri processi di dealcolizzazione elencati, per ridurre parzialmente o quasi totalmente il tenore di etanolo nei prodotti vitivinicoli di cui all’allegato VII, parte II, punto 1) e punti da 4) a 9):
a)
parziale evaporazione sotto vuoto;
b)
tecniche a membrana;
c)
distillazione.
I processi di dealcolizzazione utilizzati non danno luogo a difetti dal punto di vista organolettico nei prodotti vitivinicoli. L’eliminazione dell’etanolo nel prodotto vitivinicolo non deve essere effettuata in combinazione con un aumento del tenore di zuccheri nel mosto di uve.»;
Le pratiche enologiche così ammesse per la dealcolazione sono quindi le stesse previste dal Codice OIV per i trattamenti enologici per la “dealcoholisation of wines“, che sono poi le stesse consentite anche per la “Correction of the alcohol content in wines” (il Codice enologico UE regola quest’ultima nell’appendice 8 del suo allegato I, dove non vengono specificatamente individuate le techiche utilizzabili, ma si dice solo che esse possono essere utilizzabili da sole o congiuntamente).
Per contro, non potranno essere delacolate le seguenti categorie di prodotti vitivinicoli:
“vino ottenuto da uve appassite”,
“vino di uve stramature”
“vino liquoroso”.
In precedenza non era lecito nè produrre nè commercializzare il vino delacolizzato nell’Unione Europea.
Ciò perché sino all’anno 2021 il vino dealcolizzato
tutte le categorie di prodotti in questione prevedevano la presenza di un certo tenore alcolico.
Per quanto concerne la dealcolazione(parziale o totale) ora autorizzata, è neccessario che i prodotti – prima di tale processo – abbiano integrato i requisiti previsti dalla rispettiva categoria di appartenenza.
Sul piano pratico, ci si domanda come sia possibile rispettare i requisiti suddetti per i vini spumanti (a prescindere dall’origine naturale o artificiale del gas che ne determina la pressione), qualora la dealcolazione debba avvenire sul prodotto che ha “pienamente” raggiunto i requisiti previsti per la propria categoria di prodotto, i quali prevedono sempre la presenza di una pressione minima, che andrebbe poi persa durante il processo di dealcolazione.
In effetti, il tema è allo studio del gruppo di esperti degli Stati membri.
Nel Vademecum per la campagna vendemmiale 2022 (pag.17/18), il MIPAAF evidenzia poi vari ostacoli che l’attuale normativa italiana pone alla produzione di vino dealcolato/dealcolizzato, derivanti dal fatto che essa è ancora strutturata in modo coerente a quanto disponeva in precedenza la legislazione UE, che non ammetteva tali tipologie di prodotti.
Analogo discoso vale per i vini aromatizzati (disciplinati invece dal regolamento UE 251/2014), a sua volta modificato dai citato regolamento UE/2127/2021 (art.3 e seg).
I danni derivanti dal consumo di alcol rappresentano un serio problema di salute pubblica nell’UE. Nel 2016 il cancro è stato la principale causa dei decessi attribuibili all’alcol, con una percentuale del 29 %, seguito da cirrosi epatica (20 %), malattie cardiovascolari (19 %) e traumi (18 %). La Commissione aumenterà il sostegno agli Stati membri e ai portatori di interessi affinché attuino le migliori pratiche e le attività di sviluppo delle capacità per ridurre il consumo nocivo di alcol, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Tra questi, il conseguimento di una riduzione relativa di almeno il 10 % dell’uso nocivo di alcol entro il 2025. Inoltre la Commissione riesaminerà la legislazione dell’UE sulla tassazione dell’alcol e sugli acquisti transfrontalieri di prodotti alcolici da parte di privati, assicurandosi che rimanga adatta allo scopo di bilanciare gli obiettivi in materia di entrate pubbliche e di protezione della salute.
Per ridurre l’esposizione dei giovani alla promozione commerciale di alcol, la Commissione controllerà attentamente gli effetti prodotti dall’attuazione della direttiva relativa ai servizi di media audiovisivi sulle comunicazioni commerciali delle bevande alcoliche, anche sulle piattaforme di condivisione di video online. A tal fine collaborerà con gli Stati membri e con il gruppo dei regolatori europei per i servizi di media audiovisivi (ERGA) e i portatori di interessi per incoraggiare iniziative di autoregolamentazione e coregolamentazione. La Commissione riesaminerà inoltre la sua politica di promozione delle bevande alcoliche e, in aggiunta, proporrà l’obbligo di indicare l’elenco degli ingredienti e la dichiarazione nutrizionale sulle etichette delle bevande alcoliche entro la fine del 2022, e le avvertenze sanitarie entro la fine del 2023. Sarà anche fornito sostegno agli Stati membri affinché realizzino interventi brevi sull’alcol, basati su dati concreti, presso le strutture di assistenza sanitaria di base, sul luogo di lavoro e presso i servizi sociali.
Senza aggiungere nuove categorie di prodotti vitivinicoli, è stata consentita la dealcolazione (totale o parziale) di alcune di esistenti, e cioè:
“vino”,
“vino spumante”,
“vino spumante di qualità”,
“vino spumante di qualità del tipo aromatico”,
“vino spumante gassificato”,
“vino frizzante”,
“vino frizzante gassificato”
Dispone in proposito il regolamento UE/2127/2021 (art.1, comma 74), che modifica nel seguente modo l’Allegato VII, parte II al regolamento UE/1308/2013
la parte II è così modificata:
i)
è aggiunta la frase introduttiva seguente:
«Le categorie di prodotti vitivinicoli sono quelle di cui ai punti da 1) a 17). Le categorie di prodotti vitivinicoli di cui al punto 1) e ai punti da 4) a 9) possono essere sottoposte a un trattamento di dealcolizzazione totale o parziale conformemente all’allegato VIII, parte I, sezione E, dopo aver raggiunto pienamente le rispettive caratteristiche descritte in tali punti.»;
Quanto al trattamento di dealcolizzazione, il regolamento UE/2127/2021 (art.1, comma 74), modifica nel seguente modo l’Allegato VIII, al regolamento UE/1308/2013:
la parte I è così modificata:
i)
il titolo è sostituito dal seguente:
«Arricchimento, acidificazione e disacidificazione in alcune zone viticole e dealcolizzazione»;
ii)
nella sezione B, punto 7, la lettera b) è sostituita dalla seguente:
«b)
portare il titolo alcolometrico volumico totale dei prodotti di cui al punto 6 per la produzione di vini a denominazione d’origine protetta o a indicazione geografica protetta a un livello che essi determinano.»;
iii)
la sezione C è sostituita dalla seguente:
«C. Acidificazione e disacidificazione
1.
Le uve fresche, il mosto di uve, il mosto di uve parzialmente fermentato, il vino nuovo ancora in fermentazione e il vino possono essere sottoposti ad acidificazione e a disacidificazione.
2.
L’acidificazione dei prodotti di cui al punto 1 può essere effettuata soltanto entro un limite massimo, espresso in acido tartarico, di 4 g/l, ossia di 53,3 milliequivalenti per litro.
3.
La disacidificazione dei vini può essere effettuata soltanto entro un limite massimo, espresso in acido tartarico, di 1 g/l, ossia di 13,3 milliequivalenti per litro.
4.
Il mosto di uve destinato alla concentrazione può essere sottoposto a disacidificazione parziale.
5.
L’acidificazione e l’arricchimento, salvo deroga decisa dalla Commissione mediante atti delegati a norma dell’articolo 75, paragrafo 2, e l’acidificazione e la disacidificazione di uno stesso prodotto, sono operazioni che si escludono a vicenda.»;
iv)
nella sezione D, il punto 3) è sostituito dal seguente:
«3.
L’acidificazione e la disacidificazione dei vini sono effettuate solo nella zona viticola in cui sono state raccolte le uve utilizzate per l’elaborazione del vino.»;
v)
è aggiunta la sezione seguente:
«E. Processi di dealcolizzazione
È autorizzato ciascuno dei processi di dealcolizzazione sottoelencati, utilizzati singolarmente o congiuntamente con altri processi di dealcolizzazione elencati, per ridurre parzialmente o quasi totalmente il tenore di etanolo nei prodotti vitivinicoli di cui all’allegato VII, parte II, punto 1) e punti da 4) a 9):
a)
parziale evaporazione sotto vuoto;
b)
tecniche a membrana;
c)
distillazione.
I processi di dealcolizzazione utilizzati non danno luogo a difetti dal punto di vista organolettico nei prodotti vitivinicoli. L’eliminazione dell’etanolo nel prodotto vitivinicolo non deve essere effettuata in combinazione con un aumento del tenore di zuccheri nel mosto di uve.»;
Le pratiche enologiche così ammesse per la dealcolazione sono quindi le stesse previste dal Codice OIV per i trattamenti enologici per la “dealcoholisation of wines“, che sono poi le stesse consentite anche per la “Correction of the alcohol content in wines” (il Codice enologico UE regola quest’ultima nell’appendice 8 del suo allegato I, dove non vengono specificatamente individuate le techiche utilizzabili, ma si dice solo che esse possono essere utilizzabili da sole o congiuntamente).
Per contro, non potranno essere delacolate le seguenti categorie di prodotti vitivinicoli:
“vino ottenuto da uve appassite”,
“vino di uve stramature”
“vino liquoroso”.
In precedenza non era lecito nè produrre nè commercializzare il vino delacolato nell’Unione Europea.
tutte le categorie di prodotti in questione prevedevano la presenza di un certo tenore alcolico
Per quanto concerne la dealcolazione (parziale o totale) ora autorizzata, è neccessario che i prodotti – prima di tale processo – abbiano integrato i requisiti previsti dalla rispettiva categoria di appartenenza.
Sul piano pratico, ci si domanda come sia possibile rispettare i requisiti suddetti per i vini spumanti (a prescindere dall’origine naturale o artificiale del gas che ne determina la pressione), qualora la dealcolazione debba avvenire sul prodotto che ha “pienamente” raggiunto i requisiti previsti per la propria categoria di prodotto, i quali prevedono sempre la presenza di una pressione minima, che andrebbe poi persa durante il processo di dealcolazione.
In effetti, il tema è allo studio del gruppo di esperti degli Stati membri.
Nel Vademecum per la campagna vendemmiale 2022 (pag.17/18), il MIPAAF evidenzia poi vari ostacoli che l’attuale normativa italiana pone attualmente alla produzione di vino dealcolato/dealcolizzato, derivanti dal fatto che essa è ancora strutturata in modo coerente a quanto disponeva in precedenza la legislazione UE, che non ammetteva tali tipologie di prodotti.
Analogo discoso vale per i vini aromatizzati (disciplinati invece dal regolamento UE 251/2014), a sua volta modificato dai citato regolamento UE/2127/2021 (art.3 e seg).
I danni derivanti dal consumo di alcol rappresentano un serio problema di salute pubblica nell’UE. Nel 2016 il cancro è stato la principale causa dei decessi attribuibili all’alcol, con una percentuale del 29 %, seguito da cirrosi epatica (20 %), malattie cardiovascolari (19 %) e traumi (18 %). La Commissione aumenterà il sostegno agli Stati membri e ai portatori di interessi affinché attuino le migliori pratiche e le attività di sviluppo delle capacità per ridurre il consumo nocivo di alcol, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Tra questi, il conseguimento di una riduzione relativa di almeno il 10 % dell’uso nocivo di alcol entro il 2025. Inoltre la Commissione riesaminerà la legislazione dell’UE sulla tassazione dell’alcol e sugli acquisti transfrontalieri di prodotti alcolici da parte di privati, assicurandosi che rimanga adatta allo scopo di bilanciare gli obiettivi in materia di entrate pubbliche e di protezione della salute.
Per ridurre l’esposizione dei giovani alla promozione commerciale di alcol, la Commissione controllerà attentamente gli effetti prodotti dall’attuazione della direttiva relativa ai servizi di media audiovisivi sulle comunicazioni commerciali delle bevande alcoliche, anche sulle piattaforme di condivisione di video online. A tal fine collaborerà con gli Stati membri e con il gruppo dei regolatori europei per i servizi di media audiovisivi (ERGA) e i portatori di interessi per incoraggiare iniziative di autoregolamentazione e coregolamentazione. La Commissione riesaminerà inoltre la sua politica di promozione delle bevande alcoliche e, in aggiunta, proporrà l’obbligo di indicare l’elenco degli ingredienti e la dichiarazione nutrizionale sulle etichette delle bevande alcoliche entro la fine del 2022, e le avvertenze sanitarie entro la fine del 2023. Sarà anche fornito sostegno agli Stati membri affinché realizzino interventi brevi sull’alcol, basati su dati concreti, presso le strutture di assistenza sanitaria di base, sul luogo di lavoro e presso i servizi sociali.
In Italia la contraffazione indicazioni geografiche è punita dal codice penale, che la considera un reato.
L’art.517-quater c.p. sanziona così la contraffazione indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari e del vino:
Chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000.
Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte.
Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
Una circostanza attenuante è poi prevista dal successivo art. 517-quinquies del codice penale, che così sancisce:
Le pene previste dagli articoli 517-ter e 517-quater sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti del colpevole che si adopera per aiutare concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nell’azione di contrasto dei delitti di cui ai predetti articoli 517-ter e 517-quater, nonché nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura dei concorrenti negli stessi, ovvero per la individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti.
La tutela penale delle indicazioni geografiche trova in Italia altro strumento nell’art.515 del codice penale, che punisce la frode in commercio.
In effetti, tale reato punisce alcune condotte che possono pregiudicare i prodotti recanti una indicazione geografica: ad esempio, l’immettere in commercio come prodotto DOP un vino vinificato senza rispettarne il relativo disciplinare (il che significa anche il vinificarlo al di fuori della zona di produzione prevista dal disciplinare stesso).
Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile [c.c. 812; c.p. 624], per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065
Attualmente è in discussione in Parlamento la riforma dei reati alimentari, che interesserà anche questa materia.
Nel dicembre 2023 è stato raggiunto l’accordo interistituzionale per una completa revisione regime UE indicazioni geografiche.
L’accordo interistituzionale dell’11 dicembre 2023.
.
In base all’accordo tra le istituzioni europee, la revisione regime UE indicazioni geografiche avverrà mediante un nuovo regolamento, che modificherà quello sulla OCM Unica (ove sono attualmente contenute le norme sulle DOP Vini) ed abrogherà quello sulle DOP alimentari e per i vini aromatizzati.
Per contro, la definizione delle DOP e IGP per i vini resterà quella contenuta nella OCM Unica (regolamento UE/1308/2013, sebbene con le modificazione che verranno introdotte per effetto della riforma in questione.
Il futuro regolamento unitario rappresenta il punto di arrivo della proposta di riforma a suo tempo formulata dalla Commissione UE, la quale valorizzava fra l’altro i profili di sostenibilità delle filiere per i prodotti a denominazione di origine.
UE) n. 1308/2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli,
UE) n. 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari,
(UE) n. 251/2014 concernente la definizione, la designazione, la presentazione, l’etichettatura e la protezione delle indicazioni geografiche dei prodotti vitivinicoli aromatizzati
(UE) n. 228/2013 recante misure specifiche nel settore dell’agricoltura a favore delle regioni ultraperiferiche dell’Unione
Per quanto concerne la revisione regime UE indicazioni geografiche nel settore vitivinicolo, rilevano i commi 20 e 21 dell’art.1 di detto regolamento UE/2117/2021, che così modificano le pertinenti norme del regolamento UE/1308/2013 sulla OCM Unica
l’articolo 93 è così modificato:
a)
al paragrafo 1, le lettere a) e b) sono sostituite dalle seguenti:
«a)
“denominazione d’origine”, un nome, compreso un nome usato tradizionalmente, che serve a designare un prodotto di cui all’articolo 92, paragrafo 1:
i)
la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente geografico e ai suoi fattori naturali e umani;
ii)
originario di un luogo, di una regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati;
iii)
ottenuto da uve che provengono esclusivamente da tale zona geografica;
iv)
la cui produzione avviene in detta zona geografica; e
v)
ottenuto da varietà di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera o da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis.
b)
“indicazione geografica”, un nome, compreso un nome usato tradizionalmente, che identifica un prodotto:
i)
le cui qualità, notorietà o altre caratteristiche specifiche sono attribuibili alla sua origine geografica;
ii)
originario di un determinato luogo, regione o, in casi eccezionali, paese;
iii)
ottenuto con uve che provengono per almeno l’85 % esclusivamente da tale zona geografica;
iv)
la cui produzione avviene in detta zona geografica; e
v)
ottenuto da varietà di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera o da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis.»;
b)
il paragrafo 2 è soppresso;
c)
il paragrafo 4 è sostituito dal seguente:
«4. La produzione di cui al paragrafo 1, lettera a), punto iv), e lettera b), punto iv), comprende tutte le operazioni eseguite, dalla vendemmia dell’uva fino al completamento del processo di vinificazione, ad eccezione della vendemmia dell’uva non proveniente dalla zona geografica interessata di cui al paragrafo 1, lettera b), punto iii), e dei processi successivi alla produzione.»;
21)
l’articolo 94 è così modificato:
a)
al paragrafo 1, la frase introduttiva è sostituita dalla seguente:
«Le domande di protezione di nomi in quanto denominazioni d’origine o indicazioni geografiche comprendono:»;
b)
il paragrafo 2 è così modificato:
i)
la lettera g) è sostituita dalla seguente:
«g)
gli elementi che evidenziano il legame di cui all’articolo 93, paragrafo 1, lettera a), punto i), oppure, secondo i casi, alla lettera b), punto i):
i)
per quanto riguarda una denominazione d’origine protetta, il legame fra la qualità o le caratteristiche del prodotto e l’ambiente geografico di cui all’articolo 93, paragrafo 1, lettera a), punto i), sebbene i dettagli riguardanti i fattori umani dell’ambiente geografico possono, se del caso, limitarsi a una descrizione del suolo, del materiale vegetale e della gestione del paesaggio, delle pratiche di coltivazione o di qualunque altro contributo umano volto al mantenimento dei fattori naturali dell’ambiente geografico di cui al tale punto;
ii)
per quanto riguarda un’indicazione geografica protetta, il legame fra una specifica qualità, la notorietà o un’altra caratteristica del prodotto e l’origine geografica di cui all’articolo 93, paragrafo 1, lettera b), punto i);»;
ii)
sono aggiunti i commi seguenti:
«Il disciplinare può contenere una descrizione del contributo della denominazione d’origine o dell’indicazione geografica allo sviluppo sostenibile.
Se il vino o i vini possono essere parzialmente dealcolizzati, il disciplinare contiene anche una descrizione del vino o dei vini parzialmente dealcolizzati conformemente al secondo comma, lettera b), mutatis mutandis e, se del caso, le pratiche enologiche specifiche utilizzate per produrre il vino o i vini parzialmente dealcolizzati, nonché le relative restrizioni applicabili a detta produzione.»;
La revisione regime UE indicazioni geografiche era stata preannunciata dalla Commissione Europea come un’azione rientrante nella sua nuova strategia “from farm to fork” (“dal produttore al consumatore”), ispirata al più ampio orientamento del cosiddetto “green deal”.
L’idea di fondo è valorizzare i principi ambientali favorendo l’economica circolare e creando un regime alimentare sostenibile, che dovrebbe dunque divenire il fulcro dell’intero sistema
La Commissione si proponeva infatti di promuovere una riforma che:
migliori la produzione sostenibile nell’ambito dei regimi di qualità (DOP e IGP);
perfezioni l’applicazione della normativa
conferisca potere alle associazioni di produttori
riduca i furti via Internet
adatti meglio i regimi di qualità ai produttori in tutte le regioni dell’UE
riveda le modalità per promuovere e proteggere gli alimenti tradizionali dell’UE
acceleri le procedure di registrazione.
Conseguentemente, la Commissione UE ha adesso presentato una proposta per la riforma della disciplina in materia di IGP (Indicazioni Geografiche Protette), la quale presenta tra l’altro la caratteristica di concernere:
Quanto alla ricerca in materia di sostenibilità e resilienza, si segnala il progetto Uniseco dell’Unione Europea, a cui partecipa per l’Italia il distretto del Chianti.
Nel frattempo, l’Italia ha già intrapreso una propria strada per quanto concerne la sostenibilità, intesa in senso più esteso, poiché non legata ai disciplinari dei vini FDOP e IGP.
Infatti, al fine di migliorare la sostenibilità delle varie fasi del processo produttivo nel settore vitivinicolo, mediante l’art.224-ter della legge del 18 luglio 2020 n°77 (Sostenibilita’ delle produzioni agricole) è stato istituito il sistema di certificazione della sostenibilità della filiera vitivinicola, inteso come l’insieme delle regole produttive e di buone pratiche definite con uno specifico disciplinare di produzione.
La valutazione dell’apposito disciplinare è damandata ad un sistema di sistema di monitoraggio della sostenibilità delle aziende della filiera vitivinicola italiana.
Compete al MIPAAF (sentito il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare) stabilire le norme attuative, compito adempiuto mediante il decreto 23/06/2021 n.288989, il quale dispone sulle seguenti materie:
A) Sistema di certificazione della filiera vitivinicola:
Il sistema di certificazione della filiera vitivinicola utilizza le modalità e la procedura del Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata
B) Compiti del Comitato della sostenibilità vitivinicola (CosVi):
definizione del disciplinare della sostenibilità vitivinicola;
definizione del sistema di monitoraggio della sostenibilità della filiera vitivinicola;
individuazione degli indicatori necessari alle valutazioni della sostenibilità della filiera vitivinicola;
supporto al MIPAAF nella fase di confronto e discussione del partenariato economico e sociale sui contenuti del disciplinare.
C) Composizione del Comitato:
coordinato dal Direttore della direzione generale delle politiche internazionali e dell’Unione Europea, il comitato è composto da:
due rappresentanti del MIPAAF;
quattro rappresentanti delle Regioni e Provincie autonome;
due esperti del CREA;
un rappresentante di Accredia;
a titolo consecutivo, un rappresentante per ciascuno dei sistemi di valutazione della sostenibilità facenti parte del Gruppo di lavoro per la sostenibilità in viticoltura esistenti a livello nazionale alla data di entrata in vigore del decreto.
D) Disciplinare della sostenibilità vitivinicola
contiene l’insieme delle regole produttive e di buone pratiche finalizzate a garantire il rispetto dell’ambiente, la qualità e la sicurezza alimentare, la tutela dei lavoratori e dei cittadini, un adeguato reddito agricolo.
è sottoposto a verifica ed eventuale aggiornamento con cadenza almeno annuale. In sede di prima applicazione, il disciplinare fa riferimento alle linee guida di produzione integrata per la filiera vitivinicola.
E) Adesione al Sistema di certificazione della sostenibilità vitivinicola
volontaria
può avvenire da parte di aziende singole o associate.
modalità di adesione: quelle già in uso per il Sistema di qualità nazionale della produzione integrata (SQNPI).
F) Indicatori
individuati dal CosVi
successivamente approvati con decreto del MIPAAF, sentito il ministero della Transizione Ecologica (istituito in sostituzione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare).
Per completare il sistema di certificazione del Vino sostenibile seguiranno altri due provvedimento, costituita da:
pubblicazione del disciplinare di produzione per il vino sostenibile (ove verranno indicate le modalità di produzione ed i requisiti del prodotto);
individuazione degli indicatori di monitoraggio (necessari per valutare i risultati raggiunti).
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