Etichetta origine nazionale alimenti: sotto il vestito niente?
Etichetta origine nazionale alimenti, e cioè l’indicazione “prodotto italiano” ovvero “francese” ovvero “tedesco”: indicazione spesso allettante per i consumatori, ma qual’è la sua effettiva valenza?
La materia è essenzialmente regolata da normativa dell’Unione Europea, e precisamente dagli art. 9 e 26 comma 3 nonché art. 38 e 39 del Regolamento UE/1169/2011, oltre da altre norme applicabili a specifici alimenti (vedasi le slides che appariranno nel video infra proposto; per tutti i vini l’indicazione del paese di produzione è un elemento obbligatorio dell’etichetta, ai sensi dell’art.119 del Regolamento UE/1308/2013).
La giurisprudenza della Corte di Giustizia UE sulla etichetta origine nazionale alimenti.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza 1/10/2020, causa C-485/2018, Lactalis) definisce in modo alquanto restrittivo quando il legislatore nazionale ha facoltà di imporre l’obbligo di indicare in etichetta il paese di origine o il luogo di provenienza degli alimenti, rappresentando forse il “punto di svolta” in materia.
Fermo restando che la competenza degli Stati è esclusa per tutti gli aspetti dell’etichettatura che sono oggetto di armonizzazione a livello comunitario, la Corte ha innanzitutto chiarito che ciò vale anche quando l’obbligo in questione (peraltro già previsto dalla legislazione europea per molte tipologie di alimenti, pur “declinato” in vario modo) va imposto perché serve per proteggere il consumatore dal cadere in errore, così in sostanza sottraendo agli Stati la possibilità di valutare la sussistenza di siffatta situazione in base a criteri puramente nazionali.
Inoltre, la Corte ha ricondotto la competenza nazionale ai soli casi in cui lo Stato prova che l’indicazione obbligatoria dell’origine o provenienza è giustificata dall’esigenza di evidenziare oggettive qualità dell’alimento, effettivamente dipendenti dall’origine stessa del prodotto, escludendo tuttavia – e qui sta la limitazione più sensibile – qualsiasi valore alla mera percezione soggettiva di tali qualità da parte dei consumatori, talora rilevata forse in modo un poco “opportunistico” nelle indagini di mercato.
Per contro, secondo la Corte (sentenza 12/11/2019, causa C-363/2018, Organisation juive européenne) la corretta indicazione del luogo d’origine – definita in base a specifici criteri sanciti dal diritto internazionale – rappresenta uno strumento per consentire ai consumatori di determinarsi all’acquisto in base a personali scelte di natura etica.
Fermo tutto ciò, per molti alimenti l’indicazione del luogo di provenienza costituisce un elemento facoltativo dell’etichettaura, che può essere dunque espresso, purchè sia veritiero.
Sul piano però della qualità dell’alimento, tale indicazione nulla aggiunge!
In altre parole, il consumatore non è affatto garantito che il prodotto abbia qualità particolari o superiori rispetto ad un alimento analogo prodotto in un altro Stato.
L’unica garanzia è che l’alimento (non DOP o IGP) – a prescindere dal suo luogo di produzione, ma commericalizzato nell’Unione Europea – è conforme ai requisiti di sicurezza alimentare imposti dalla stessa Unione Europea (salve le frodi alimentari ed altri comportamenti illeciti).
E’ coerente tutto cio?
Sul piano della mera coerenza, forse, l’intero sistema normativo presenta qualche scricchiolio (esclusa la materia della sicurezza alimentare).
Da un canto, infatti, la mera indicazione del paese di provenienza (sulla cui veridicità i controlli sono alquanto labili) rischia di essere un poco vuota di contenuto: al di là dell’immaginario collettivo, cosa in sostanza differenzia oggettivamente il latte italiano dal latte francese?
Dall’altra, però, ai “campioni nazionali” – e cioè i prodotti alimentari DOP e IGP – è concesso dallo stesso diritto dell’Unione che la “materia prima” possa anche provenire da un paese diverso rispetto a quello ove l’alimento finale viene elaborato, purché essa risulti conforme a quando disposto dal relativo disciplinare di produzione (Reg. UE/1151/2012, art.5, comma 3, adesso sostituito dal Regolamento UE/1143/2024, art.49).
A ben vedere, però, è proprio il disciplinare a rappresentare la garanzia di un’oggettiva qualità degli alimenti DOP e IGP, alla cui definizione e presidio sta sì l’intero sistema territoriale di riferimento, che opera secondo precise regole, scrutinate attentamente (che però non valgono per i prodotti senza indicazione geografica, ma che semplicemente indicano in etichetta il nome di uno Stato, magari enfatizzando tale informazione).
Di conseguenza, con riferimento ai prodotti privi di indicazione geografica, i consumatori vengono tutelati non tanto spendendo in etichetta il “taumaturgico” nome di uno Stato (a meno che ciò consenta di valutare eticamente il prodotto che da lì proviene).
Serve più consentire ai consumatori di effettuare scelte basate su criteri realmente oggettivi e facilmente decodificabili, quali capire se trattasi di un alimento “sostenibile” o meno, quest’ultimo definito sulla base di appositi parametri pregni di concreto contenuto, il cui rispetto venga sottoposto ad effettiva sorveglianza.
In tal senso si sono (forse un poco troppo timidamente) orientati il disciplinare italiano sulla sostenibilità e – per effetto delle riforme introdotte con la PAC 2023-2027 – quelli dei prodotti DOP e IGP.
Approfondimento sulla etichetta origine nazionale alimenti.
Il tema è stato oggetto di un intervento (“Le informazioni sull’origine degli alimenti nella giurisprudenza più recente della Corte di giustizia UE“) fatto da Ermenegildo Mario Appiano al convegno “Le informazioni sugli alimenti ai consumatori a dieci anni dalla pubblicazione del regolamento (Ue) n.1169/2011”,tenutosi presso la Accademia dei Georgofili, Firenze, 21 aprile 2021.