riforma denominazioni origine indicazioni geografiche europa

Il Regolamento UE/1143/2024 porta la riforma delle norme UE sulla protezione delle indicazioni geografiche per il vino, le bevande spiritose e i prodotti agricoli (riforma denominazioni origine indicazioni geografiche europa)


La riforma (riforma denominazioni origine indicazioni geografiche europa) è ormai attuata con l’adozione del nuovo regolamento dell’Unione Europea in materia (Regolamento UE/1143/2024).


Nell’autunno del 2024 tratteremo il tema in un ciclo di webinar, realizzati in collaborazione con Ascheri Academy (partecipazione gratuita, previa iscrizione).

riforma denominazioni origine indicazioni geografiche europa - Ascheri Acedemy, ciclo di webinar, autunno 2024



I criteri ispiratori della riforma denominazioni origine indicazioni geografiche europa

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Due i criteri principali.

Il primo è che i prodotti di qualità rappresentano una delle maggiori risorse di cui dispone l’Unione, economiche e di identità culturale, al punto che essi sono considerati la rappresentazione più forte del «made in the UE», riconoscibile in tutto il mondo e generante crescita.

Vini, bevande spiritose e prodotti agricoli, compresi quelli alimentari, sono elevati al livello di un vero e proprio patrimonio europeo, che va ulteriormente rafforzato e protetto, fermo restando che la sua creazione è avvenuta grazie alle competenze e alla determinazione dei produttori dell’Unione, i quali hanno mantenuto vive le proprie tradizioni e la diversità delle rispettive identità culturali.

Il secondo è che le indicazioni geografiche hanno la potenzialità per svolgere un ruolo importante in termini di sostenibilità, anche nel contesto dell’economia circolare, così da contribuire – nel quadro delle politiche nazionali e regionali – a raggiungere gli obiettivi del Green Deal europeo.

In cosa consiste la disciplina del nuovo regolamento europeo?

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Uniformati gli aspetti procedurali in relazione al riconoscimento di nuove denominazioni di origine ed indicazioni geografiche per vini, alimenti e bevande spiritose nonché alla modificazione dei disciplinari di quelle già esistenti.

Introdotte inoltre significative innovazioni alla disciplina – parimenti unitaria, ma questo già in passato – sulle organizzazioni professionali ed inter-professionali dei produttori, le quali vedranno in buona sostanza accrescere i loro poteri.

Nuova linfa per l’azione dei consorzi di tutela:  attribuiti ulteriori poteri “erga omnes”, in relazione alla regolazione dell’offerta di prodotti agricoli DOP e IGP, cui si aggiungono quelli di concorrere al controllo del rispetto dei disciplinari di produzione.

Rafforzati infine gli strumenti per la protezione a livello internazionale di denominazioni ed indicazioni geografiche.

Da un canto, aumentano i poteri delle autorità di controllo per quanto concerne il commercio elettronico.

Dall’altro, migliorano le condizioni per la registrazione di DOP e IGP europee nel sistema WIPO (World Intellectual Property Organization) istituito con l’Accordo di Lisbona, come poi modificato dall’Atto di Ginevra.

A tale sistema, infatti, l’Unione Europea già partecipa da qualche anno (in base ai meccanismi indicati nel regolamento UE/1753/2019), ma sino ad ora in modo poco efficace.  Anche in questo campo, si rafforza l’azione dei consorzi.

Più nel dettaglio: cosa caratterizza la riforma denominazioni origine indicazioni geografiche europa?

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Ad ogni modo, non si è giunti ad un’unica definizione di indicazione geografica.

Continuano a sussistere – seppure con qualche modificazione – quelle oggi esistenti rispettivamente per:

      • prodotti agricoli ed alimenti (traslate però nel nuovo regolamento, insieme alla disciplina sugli altri relativi termini di qualità, quali le specialità tradizionali tipiche ed i prodotti della montagna, giacché verrà abrogato l’attuale regolamento 1151/2012/UE),
      • vini e liquori (lasciate nel regolamento 1308/2013/UE),
      • bevande spiritose (contenute nel regolamento 787/2019/UE )

Ciò in quanto la loro disciplina è diversa in sede WTO (e cioiè negli accordi TRIPS).

Analogamente vale per i disciplinari di produzione, la cui importanza viene però fortemente incrementata, giacché essi documentano – nell’interesse dei consumatori – in cosa oggettivamente consiste il valore e la qualità della corrispondente denominazione.

Attenzione: per effetto di precedenti interventi legislativi, adottati in occasione della PAC 2023-2027, i vini aromatizzati sono principalmente soggetti alla disciplina in materia di alimenti.

Fatte salve alcune specifiche regole loro dedicate (portate da quanto sopravvive del regolamento UE/251/2014, principalmente vertenti sulle relative definizioni di prodotto).

Se tale situazione potrebbe essere percepita come una sorta di anomalia, essa viene comunque meno per effetto dell’armonizzazione introdotta dal Regolamento 1143/202.

Poca attenzione alla sostenibilità.

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Quanto alla sostenibilità, nulla cambia con riferimento al ruolo dei disciplinari di produzione rispetto a quanto già introdotto con la riforma della PAC 2023-2027.

Permane infatti a livello di mera facoltà l’indicare come la singola denominazione possa contribuire a concorrere a tale obiettivo.

Sotto questo aspetto, l’attuale riforma manca purtroppo di coraggio.

Le decisioni che hanno portato alla riforma.

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Dopo avere concordato a livello politico il testo del futuro regolamento in questione (cosa avvenuta l’11 dicembre 2023, documento AGRI_LA(2023)012101_EN, recante il testo legislativo concordato), il 28 febbraio 2024 il Parlamento Europeo ha formalmente espresso la sua approvazione (documento P9_TA(2024)0101).

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L’approvazione da parte del Consiglio Europeo è intervenuta il 26/3/2024.

Si è giunti così all’adeozione del Regolamento (UE) 2024/1143 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 aprile 2024, relativo alle indicazioni geografiche dei vini, delle bevande spiritose e dei prodotti agricoli, nonché alle specialità tradizionali garantite e alle indicazioni facoltative di qualità per i prodotti agricoli.

Esso modifica i regolamenti (UE) n. 1308/2013, (UE) 2019/787 e (UE) 2019/1753 e abroga il regolamento (UE) n. 1151/2012.

Vino dealcolizzato

Vino dealcolizzato: con la PAC post-2020 è stata autorizzata la sua produzione e commercializzazione nella UE.


Vino dealcolizzato: nel contesto della  riforma della PAC post-2020 (adottata a fine giugno 2021) si è deciso di autorizzare la  produzione e commercializzazione.

Senza aggiungere nuove categorie di prodotti vitivinicoli, è stata consentita la dealcolazione (totale o parziale) di alcune di esistenti, e cioè:

      • “vino”,
      • “vino spumante”,
      • “vino spumante di qualità”,
      • “vino spumante di qualità del tipo aromatico”,
      • “vino spumante gassificato”,
      • “vino frizzante”,
      • “vino frizzante gassificato”

Dispone in proposito il regolamento UE/2127/2021 (art.1, comma 74), che modifica nel seguente modo l’Allegato VII, parte II al regolamento UE/1308/2013

la parte II è così modificata:

i)

è aggiunta la frase introduttiva seguente:

«Le categorie di prodotti vitivinicoli sono quelle di cui ai punti da 1) a 17). Le categorie di prodotti vitivinicoli di cui al punto 1) e ai punti da 4) a 9) possono essere sottoposte a un trattamento di dealcolizzazione totale o parziale conformemente all’allegato VIII, parte I, sezione E, dopo aver raggiunto pienamente le rispettive caratteristiche descritte in tali punti.»;

Quanto al trattamento di dealcolizzazione, il regolamento UE/2127/2021 (art.1, comma 74), modifica nel seguente modo l’Allegato VIII, al regolamento UE/1308/2013:

la parte I è così modificata:

i)

il titolo è sostituito dal seguente:

«Arricchimento, acidificazione e disacidificazione in alcune zone viticole e dealcolizzazione»;

ii)

nella sezione B, punto 7, la lettera b) è sostituita dalla seguente:

«b)

portare il titolo alcolometrico volumico totale dei prodotti di cui al punto 6 per la produzione di vini a denominazione d’origine protetta o a indicazione geografica protetta a un livello che essi determinano.»;

iii)

la sezione C è sostituita dalla seguente:

«C.   Acidificazione e disacidificazione

1.

Le uve fresche, il mosto di uve, il mosto di uve parzialmente fermentato, il vino nuovo ancora in fermentazione e il vino possono essere sottoposti ad acidificazione e a disacidificazione.

2.

L’acidificazione dei prodotti di cui al punto 1 può essere effettuata soltanto entro un limite massimo, espresso in acido tartarico, di 4 g/l, ossia di 53,3 milliequivalenti per litro.

3.

La disacidificazione dei vini può essere effettuata soltanto entro un limite massimo, espresso in acido tartarico, di 1 g/l, ossia di 13,3 milliequivalenti per litro.

4.

Il mosto di uve destinato alla concentrazione può essere sottoposto a disacidificazione parziale.

5.

L’acidificazione e l’arricchimento, salvo deroga decisa dalla Commissione mediante atti delegati a norma dell’articolo 75, paragrafo 2, e l’acidificazione e la disacidificazione di uno stesso prodotto, sono operazioni che si escludono a vicenda.»;

iv)

nella sezione D, il punto 3) è sostituito dal seguente:

«3.

L’acidificazione e la disacidificazione dei vini sono effettuate solo nella zona viticola in cui sono state raccolte le uve utilizzate per l’elaborazione del vino.»;

v)

è aggiunta la sezione seguente:

«E.   Processi di dealcolizzazione

È autorizzato ciascuno dei processi di dealcolizzazione sottoelencati, utilizzati singolarmente o congiuntamente con altri processi di dealcolizzazione elencati, per ridurre parzialmente o quasi totalmente il tenore di etanolo nei prodotti vitivinicoli di cui all’allegato VII, parte II, punto 1) e punti da 4) a 9):

a)

parziale evaporazione sotto vuoto;

b)

tecniche a membrana;

c)

distillazione.

I processi di dealcolizzazione utilizzati non danno luogo a difetti dal punto di vista organolettico nei prodotti vitivinicoli. L’eliminazione dell’etanolo nel prodotto vitivinicolo non deve essere effettuata in combinazione con un aumento del tenore di zuccheri nel mosto di uve.»;

Le pratiche enologiche così ammesse  per la dealcolazione sono quindi le stesse previste dal Codice OIV per i trattamenti enologici per la “dealcoholisation of wines“, che sono poi le stesse consentite anche per la “Correction of the alcohol content in wines” (il Codice enologico UE regola quest’ultima nell’appendice 8 del suo allegato I, dove non vengono specificatamente individuate le techiche utilizzabili, ma si dice solo che esse possono essere utilizzabili da sole o congiuntamente).

 

Per contro, non potranno essere delacolate le seguenti categorie di prodotti vitivinicoli:

      • “vino ottenuto da uve appassite”,
      • “vino di uve stramature”
      • “vino liquoroso”.

In precedenza non era lecito nè produrre nè commercializzare il vino delacolizzato nell’Unione Europea.

Ciò perché sino all’anno 2021 il vino dealcolizzato

Per quanto concerne la dealcolazione (parziale o totale) ora autorizzata, è neccessario che i prodotti  – prima di tale processo – abbiano integrato i requisiti previsti dalla rispettiva categoria di appartenenza.

Sul piano pratico, ci si domanda come sia possibile rispettare i requisiti suddetti per i vini spumanti (a prescindere dall’origine naturale o artificiale del gas che ne determina la pressione), qualora la dealcolazione debba avvenire sul prodotto che ha “pienamente” raggiunto i requisiti previsti per la propria categoria di prodotto, i quali prevedono sempre la presenza di una pressione minima, che andrebbe poi persa durante il processo di dealcolazione.

In effetti, il tema è allo studio del gruppo di esperti degli Stati membri.

Nel Vademecum per la campagna vendemmiale 2022 (pag.17/18), il MIPAAF evidenzia poi vari ostacoli che l’attuale normativa italiana pone alla produzione di vino dealcolato/dealcolizzato, derivanti dal fatto che essa è ancora strutturata in modo coerente a quanto disponeva in precedenza la legislazione UE, che non ammetteva tali tipologie di prodotti.

 

Si ricorda che  l’art.82 del medesimo regolamento (UE) 1308/2013 vieta la produzione e la commercializzazione dei prodotti non conformi agli standard previsti in dette definizioni.

Analogo discoso vale per i vini aromatizzati (disciplinati invece dal regolamento UE 251/2014), a sua volta modificato dai citato regolamento UE/2127/2021 (art.3 e seg).


 

Tale riforma appare peraltro coerente con i principi enunciati nella comunicazione della Commissione sulla strategia europea per la lotta contro il cancro, ove viene evidenziato come il consumo  nocivo di alcol può contribuire all’insorgere di tale malattia.

3.3.   Ridurre il consumo nocivo di alcol 

I danni derivanti dal consumo di alcol rappresentano un serio problema di salute pubblica nell’UE. Nel 2016 il cancro è stato la principale causa dei decessi attribuibili all’alcol, con una percentuale del 29 %, seguito da cirrosi epatica (20 %), malattie cardiovascolari (19 %) e traumi (18 %). La Commissione aumenterà il sostegno agli Stati membri e ai portatori di interessi affinché attuino le migliori pratiche e le attività di sviluppo delle capacità per ridurre il consumo nocivo di alcol, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Tra questi, il conseguimento di una riduzione relativa di almeno il 10 % dell’uso nocivo di alcol entro il 2025. Inoltre la Commissione riesaminerà la legislazione dell’UE sulla tassazione dell’alcol e sugli acquisti transfrontalieri di prodotti alcolici da parte di privati, assicurandosi che rimanga adatta allo scopo di bilanciare gli obiettivi in materia di entrate pubbliche e di protezione della salute.

Per ridurre l’esposizione dei giovani alla promozione commerciale di alcol, la Commissione controllerà attentamente gli effetti prodotti dall’attuazione della direttiva relativa ai servizi di media audiovisivi sulle comunicazioni commerciali delle bevande alcoliche, anche sulle piattaforme di condivisione di video online. A tal fine collaborerà con gli Stati membri e con il gruppo dei regolatori europei per i servizi di media audiovisivi (ERGA) e i portatori di interessi per incoraggiare iniziative di autoregolamentazione e coregolamentazione. La Commissione riesaminerà inoltre la sua politica di promozione delle bevande alcoliche e, in aggiunta, proporrà l’obbligo di indicare l’elenco degli ingredienti e la dichiarazione nutrizionale sulle etichette delle bevande alcoliche entro la fine del 2022, e le avvertenze sanitarie entro la fine del 2023. Sarà anche fornito sostegno agli Stati membri affinché realizzino interventi brevi sull’alcol, basati su dati concreti, presso le strutture di assistenza sanitaria di base, sul luogo di lavoro e presso i servizi sociali.


Chiarimenti della Commissione su vini delacolati - delacolizzati


 

Contraffazione indicazioni geografiche

In Italia la contraffazione indicazioni geografiche è punita dal codice penale, che la considera un reato.


L’art.517-quater c.p. sanziona così la contraffazione indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari e del vino:

Chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000.

Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte.

Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.

I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.

 

Una circostanza attenuante è poi prevista dal successivo art. 517-quinquies del codice penale, che così sancisce:

Le pene previste dagli articoli 517-ter e 517-quater sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti del colpevole che si adopera per aiutare concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nell’azione di contrasto dei delitti di cui ai predetti articoli 517-ter e 517-quater, nonché nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura dei concorrenti negli stessi, ovvero per la individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti.


La tutela penale delle indicazioni geografiche trova in Italia altro strumento nell’art.515 del codice penale, che punisce la frode in commercio.

In effetti, tale reato punisce alcune condotte che possono pregiudicare i prodotti recanti una indicazione geografica: ad esempio, l’immettere in commercio come prodotto DOP un vino vinificato senza rispettarne il relativo disciplinare (il che significa anche il vinificarlo al di fuori della zona di produzione prevista dal disciplinare stesso).

Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile [c.c. 812; c.p. 624], per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065


Attualmente è in discussione in Parlamento la riforma dei reati alimentari, che interesserà anche questa materia.

Disegno legge su riforma reati alimentari



MIPAAF - Lotta alla contraffazione

MIPAAF - Desk Anticontraffazione On-Line

Ufficio Brevetti Italiano - Lotta alla contraffazione



Modificazioni 2020 Testo Unico Vino

Modificazioni 2020 Testo Unico Vino


Il cosiddetto “Testo Unico Vino” (legge 238/2016, in appresso detta T.U.V.) ha subito alcune variazione, per effetto del Decreto legge “Semplificazioni” (76/2020, convertito con modificazioni dalla legge 120/2020) nonché dell’antecedente Decreto “Rilancio” (34/2020, convertito a sua volta con legge 77/2020) – Modificazioni 2020 Testo Unico Vino

Fermo restando che la disciplina portata dal “Testo Unico Vino” resta sostanzialmente ferma, vediamo le principali novità così introdotte.

Innanzitutto sono riformate le regole per il riconoscimento della DOCG (art.33, comma 1, del T.U.V.), che diventano più stringenti.

In primo luogo, possono adesso elevarsi alla DOCG solo le DOC “per intero”. Infatti, è stata abolita la previsione che consentiva il passaggio alla DOCG anche alle singole “zone espressamente delimitate o tipologie di una DOC”. Il che rende molto più difficile compiere operazioni simili a quelle avvenute per il Prosecco.

In secondo luogo, aumenta il requisito della rappresentatività minima dei richiedenti il passaggio di categoria.

Da un canto, esso passa dal 51% al 66% dei soggetti – sempre inteso come media – che conducono vigneti dichiarati allo schedario viticolo, i quali devono adesso costituire almeno il 66% (prima era solo il 51%) della superficie totale dei vigneti idonei alla rivendicazione della relativa denominazione.

Dall’altro, si aggiunge un nuovo requisito sull’imbottigliamento. Infatti è ora necessario che i vini della denominazione, candidata al passaggio a DOCG, negli ultimi cinque anni, siano stati certificati e imbottigliati dal 51% degli operatori autorizzati, che rappresentino almeno il 66% della produzione certificata di quella DOC.

Insomma, vendere vini DOC sfusi diviene penalizzante a livello collettivo, nel senso che chi imbottiglia tutta la propria produzione DOC e segue un attento percorso di qualità, con l’idea di puntare anche al passaggio alla DOCG, potrebbe poi vedere sfumare i propri sforzi, qualora altri produttori della stessa DOC vendano sfusi rilevanti quantitativi dello stesso vino.

Immutato invece il requisito della notorietà: il passaggio alla DOCG resta comunque riservato ai vini “già riconosciuti a DOC da almeno sette anni, che siano ritenuti di particolare pregio, per le caratteristiche qualitative intrinseche e per la rinomanza commerciale acquisita”. Tuttavia, continuano a non essere codificati i criteri per determinare in concreto la sussistenza di tale indispensabile notorietà.

Altra novità concerne la menzione “superiore”, che può ora essere abbinata a “riserva” (art.31, comma 5, T.U.V.).

L’inizio del periodo vendemmiale è anticipato al 15 luglio, così da seguire le implicazioni del cambiamento climatico (art.10, comma 1, T.U.V.).

Come specificato dal MIPAAF (comunicazione del 25/7/2020), nessuna modificazione indiscriminata è stata apportata al divieto di trasferire i mosti ed i vini atti a divenire vino IG e DO fuori dalla zona di produzione e all’obbligo di ivi imbottigliare, quest’ultimo quando previsto dal relativo disciplinare (commi 7 e 7 bis dell’art.38 T.U.V.). La riforma prevede solo che – in caso di caso di calamità naturali o condizioni meteorologiche sfavorevoli ovvero di adozione di misure sanitarie o fitosanitarie oppure altre cause di forza maggiore – l’Autorità competente possa concedere apposite deroghe, di carattere meramente temporaneo.

Agli agenti vigilatori dei consorzi, incaricati di effettuare i controlli erga-omnes sui prodotti vinicoli esclusivamente dopo l’avvenuta loro immissione in commercio, non è più automaticamente attribuita la qualifica di “agente di pubblica sicurezza”. Concerderla diviene invece una mera facoltà per la pubblica autorità competente. E’ inoltre cancellata l’autorizzazione di accedere al SIAN, di cui prima beneficiavano i consorzi per detta attività di controllo (art.41, comma 5, T.U.V.).

Le norme sui sistemi di chiusura (art.46 T.U.V.) sono state abrogate. Esse imponevano che sulle chiusure dei contenitori di volume inferiore a 60 litri fosse impresso – in modo indelebile e ben visibile dall’esterno – il nome, la ragione sociale o il marchio registrato dell’imbottigliatore o del produttore o, in alternativa, il numero di codice identificativo attribuito dall’ICQRF.

Il  D.L “Semplificazioni” non ha però portato all’abrogazione del contrassegno fiscale di Stato sulle confezioni destinate al mercato nazionale (previsione non contenuta nel T.U. Vino).

Viene ribadito che gli organismi di controllo privati, previsti dai disciplinari di produzione, devono rispettare l’apposita norma UNI, con obbligo di adeguarsi alla sua versione più recente. Eliminato invece ogni riferimento alle autorità pubbliche (art.64, comma 2, T.U.V.).

A decorrere dal 1 gennaio 2021, la resa massima di uva per ettaro viene sensibilmente ridotta, da 50 tonnellate a sole 30, con facoltà al MIPAAF di concedere deroghe sino a 40 tonnellate per specifiche zone, “tenendo conto dei dati degli ultimi cinque anni come risultanti dalle dichiarazioni di produzione” (art.8, commi 10 e 10 bis, T.U.V.).

Infine, resta fermo l’obbligo di comunicare preventivamente la produzione di mosto cotto, ma viene abolito lo specifico termine di cinque giorni (art.12, comma 2, T.U.V.). Lo stesso dicasi per la preparazione di mosti di uve fresche mutizzati con alcol, di vini liquorosi, di prodotti vitivinicoli aromatizzati e di vini spumanti nonché per la preparazione delle bevande spiritose, quando ciò sia eseguito in stabilimenti dai quali si estraggono mosti o vini nella cui preparazione non è ammesso l’impiego di saccarosio, dell’acquavite di vino, dell’alcol e di tutti i prodotti consentiti dal regolamento (UE) n. 251/2014 (art.14, comma 1, T.U.V.).

pegno rotativo prodotti agricoli alimentari DOP IGP

Pegno rotativo prodotti agricoli alimentari DOP IGP: adesso possibile, è un importante strumento per finanziamento imprese agricole e vitivinicole


Pegno rotativo prodotti agricoli alimentari DOP IGP: in data 23 luglio 2020 è stato emanato dal MIPAAF il relativo decreto (Decreto sulla “Costituzione del pegno rotativo sui prodotti agricoli e alimentari a denominazione d’origine protetta o a indicazione geografica protetta, inclusi i prodotti vitivinicoli e le bevande spiritose”).

Si tratta di una misura prevista dal decreto legge “Cura Italia” (art. 78 commi 2 – duodecies , 2 – terdecies e 2 – quaterdecies del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni in Legge 24 aprile 2020, n. 27).

Viene quindi ammessa la possibilità di costituire in pegno prodotti agricoli e alimentari a denominazione d’origine protetta o a indicazione geografica protetta, inclusi i prodotti vitivinicoli e le bevande spiritose.

Il decreto del Ministero prevede inoltre che i prodotti DOP e IGP, costituiti in pegno, possono altresì essere oggetto di patto di rotatività.

Ma che cos’è il pegno?

Il pegno è un diritto reale di garanzia che può essere iscritto su beni mobili, crediti o altri diritti. L’istituto del pegno è sostanzialmente un mezzo di tutela del credito ovvero un vincolo cui viene sottoposto un bene e la cui funzione di garanzia si manifesta attraverso la creazione di un vincolo reale sul bene che ne forma l’oggetto, per consentire al creditore pignoratizio di soddisfare la sua pretesa con preferenza rispetto ai terzi in ordine al bene vincolato. Sotto tale punto di vista, il pegno di beni mobili è costituito a garanzia dell’obbligazione dal debitore mediante la consegna della cosa o del documento che ne conferisce l’esclusiva disponibilità.

La nuova normativasul pegno rotativo prodotti agricoli alimentari DOP IGP permette adesso un più facile accesso al credito da parte di quei produttori che maggiormente hanno accusato il colpo e sono stati messi in ginocchio dall’emergenza epidemiologica da COVID-19.

Essa stabilisce (art.1, co.2) che i prodotti agricoli e alimentari, costituiti in pegno, possono essere oggetto di patto di rotatività. Il pegno rotativo è appunto una forma di garanzia che consente la sostituibilità e mutabilità nel tempo del suo oggetto senza comportare, ad ogni mutamento, la rinnovazione del compimento delle modalità richieste per la costituzione della garanzia

(Art. 1, co. 3: “Il pegno rotativo si realizza con la sostituzione delle unità di prodotto sottoposte a pegno, senza necessità di ulteriori stipulazioni, fermo restando il rispetto dei requisiti e le modalità previsti dal presente decreto”).

Sostanzialmente il patto di rotatività ammette la possibilità di sostituire, nel tempo, i beni oggetto di garanzia pignoratizia (si consideri, tra l’altro, anche la deteriorabilità di alcuni prodotti alimentari – non diretti all’invecchiamento – che, in assenza di rotativa, necessiterebbero di svariate pratiche per stipulare numerosi nuovi accordi di pegno su prodotti sempre consumabili e non deteriorati).

Strumento, quello del pegno, che sarà certamente utilizzato dai produttori alimentari e vitivinicoli in cambio di prestiti, al fine di ottenere liquidità pur mantenendo la proprietà e la disponibilità del prodotto impegnato.

Il decreto in commento precisa poi che la costituzione in pegno di un prodotto alimentare non può chiaramente avvenire in ogni momento ma solamente a decorrere dal giorno in cui le unità di prodotto sono collocate nei locali di produzione e/o stagionatura e/o immagazzinamento, a condizione che le stesse unità siano identificate con le modalità previste dal decreto in tema di registri (cartacei e telematici).

Ciò, ovviamente, per garantire l’esistenza e la disponibilità del prodotto che diviene oggetto di vincolo.

Il Decreto Ministeriale non tralascia, poi, gli aspetti puramente pratici e relativi alle modalità di registrazione delle operazioni di costituzione del pegno.

Per agevolare ed uniformare la documentazione, il Ministero ha offerto (allegato n.1 al Decreto) un modello fac-simile che o soggetti interessati potranno utilizzare per costituire ed indicare in maniera formale i beni concessi in pegno.

I dati da indicre sono i seguenti: Data di costituzione, Durata, Azienda, Unità, Elem. Identificativi Mese/anno produz., Varietà, Anno, Rif. Regione produz., Partita/Lotto, Codice identificativo.

Ad eccezione dei prodotti vitivinicoli (di cui al comma 4, art.2), contestualmente alle operazioni di costituzione in pegno, il creditore pignoratizio individua i prodotti DOP e IGP sottoposti a pegno. Dopodiché il produttore/concedente potrà procedere con l’annotazione sul registro cartaceo (registro che dovrà essere annualmente vidimato da un notaio, fatta sempre eccezione per l’ambito vitivinicolo).

Per i prodotti vitivinicoli e per l’olio di oliva (ai sensi del menzionato comma n.4 dell’art.2) esistono apposite regole.

Più precisamente, il debitore può procedere all’annotazione del pegno nei registri telematici istituiti nell’ambito del Sistema Informativo Agricolo Nazionale (SIAN), provvedendo alla comunicazione, nei confronti del creditore, dell’effettuazione di detta operazione. Comunicazione che dovrà avvenire entro il giorno successivo alla registrazione. Il creditore può, a sua volta, chiedere ed ottenere in sede contrattuale la visibilità dei registri telematici.

Pare appena il caso ricordare che ogni operazione di cantina e/o ogni spostamento di prodotti che possa andare ad incidere sui beni oggetto di pegno, dovrà essere debitamente annotata nel registro telematico con accortezza, badando bene a dare comunicazione al creditore pignoratizio oltre che all’ente di controllo dell’operazione svolta (ovviamente sempre che si tratti di operazione cui è richiesta la comunicazione all’ente di controllo).

Anche l’estinzione del rapporto obbligatorio tra concedente e creditore pignoratizio necessità di annotazione sul registro. Invero, la constatazione dell’estinzione totale o parziale dell’operazione sui prodotti DOP e IGP costituiti in pegno dovrà avvenire mediante annotazione sul registro artaceo o telematico.

Consulenza aziende agricole vitivinicole

Specializzazione ed interdisciplinarità,  il nostro punto di forza per la consulenza aziende agricole vitivinicole.


Consulenza aziende agricole vitivinicole: sia sul diritto vitivincolo, sia sulle altre materia di loro interesse (diritto agrario, contratti commerciali, ….)

Assistiamo tutte le aziende che operano nel settore agricolo, qualsiasi forma esse rivestano (quindi anche le società commerciali).

Il diritto vitivinicolo è una materia molto complessa, che trova le sue fonti non solo in normative nazionali ma anche e soprattutto in regolamenti comunitari e nei trattati internazionali.  Il diritto vitivinicolo si occupa di ogni aspetto giuridico del settore vitivinicolo, dalla produzione e commercializzazione del vino sino ai protocolli produttivi ed alle etichettature. Si tratta, pertanto, di una materia multidisciplinare il cui studio necessità anche di competenze in ambito amministrativo, civile e penale.

Nostro lavoro è dare assistenza professionale, stragiudiziale e giudiziale, sul diritto vitivinicolo e gli altri temi importanti per le imprese del settore (consulenza aziende agricole vitivinicole). Nell’ambito di questa nostra attività, ci avvaliamo  della collaborazione di altri professionisti, che vantano esperienza pluriennale nel campo delle analisi, delle pratiche tecniche e quant’altro necessario per sostenere al meglio i nostri clienti.

Il nostro approccio al lavoro di consulenza aziende agricole vitivinicole è quello della specializzazione accompagnato dall’interdisciplinarietà.

Ci accomuna la passione per il vino.  Un prodotto che non è solo il frutto della terra, ma cultura, territorio e storia.

Abbiamo fra l’altro collaborato a questi due eventi formativi, organizzati presso l’Università di Torino, Dipartimento di Management:

Il nostro approccio professionale è quello di affontare ogno caso previa una sua discussione franca ed approfondita, prospettando – qualora si tratti di un conflutto – il negoziato come via preferenziale per risolvere la situazione, ogni volta che ciò sia concretamente possibile.

Disaminiamo insieme ai nostri clileti i rapporti costi/benefici, prima di accettare qualunque caso.


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Pratiche sleali settore agricolo

Pratiche sleali settore agricolo: la direttiva dell’Unione Europea e la sua  attuazione in Italia.


La direttiva europea sulle pratiche sleali nei rapporti tra imprese della filiera agricola ed alimentare (direttiva UE/633/2019, applicabile ovviamente anche al settore vitivinicolo), prevede come termine di  recepimento da parte degli Stati membri la data del 10 maggio 2021 (pratiche sleali settore agricolo).

La direttiva (suo art.9) consente tuttavia agli Stati, al fine di garantire un più alto livello di tutela, di   “mantenere o introdurre norme nazionali volte a contrastare le pratiche commerciali sleali più rigorose di quelle previste nella presente direttiva“.

Essa inoltre “lascia impregiudicate le norme nazionali finalizzate a contrastare le pratiche commerciali sleali che non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva“.

In entrambe i casi a condizione che le norme nazionali “siano compatibili con le norme relative al funzionamento del mercato interno”.


Per quanto concerne l’Italia, le pratiche sleali  nel settore agricolo erano già:

    • colpite dall’art.62 del decreto legge 24 gennaio 2012, n.1 (convertito), portante la Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari (ora abrogato dal  D. Lgs 8 novembre 2021, n.198, attuativo della Direttiva UE/633/2019, che ne riprende tuttavia il contenuto ampliandolo);
    • ulteriormente specificate (ai sensi del suo art. 11 bis) dal decreto ministeriale 19 ottobre 2012 e relativo allegato   (anche esso conseguentemente abrogato).

Necessariamente, la precedente normativa italiana (art.62 D.L. 1/2012 citato) concerneva solo le pratiche sleali relative a prodotti alimentari “la cui consegna avviene nel territorio della Repubblica italiana” (art.1 del menzionato decreto ministeriale).

Per contro, la direttiva colpisce le pratiche sleali “attuate da acquirenti che sono nello stesso Stato membro dell’acquirente o in uno Stato membro diverso da quello dell’acquirente, ma anche contro pratiche commerciali sleali attuate da acquirenti stabiliti al di fuori dell’Unione”  (considerando 12 ed articolo 1, comma 2).

La normativa italiana in questione resta quindi applicabile al settore agricolo, ma va adeguata (come specificamente dispone la legge comunitaria per gli anni 2019-2020) alle apposite disposizioni che la direttiva UE/633/2019 prevede per il settore agricolo.


La citata direttiva UE/633/2019  ha avuto una prima parziale attuazione in Italia, consistente nei provvedimenti adottati dal governo per fronteggiare le conseguenze economiche dell’epidemia Covid-19.

Mediante il decreto legge 9/2020 sono state comminate sanzioni a chi subordina l’ acquisto di prodotti agroalimentari a certificazioni non obbligatorie riferite al COVID-19, ne’ indicate in accordi di fornitura per la consegna dei prodotti su base regolare antecedenti agli accordi stessi.


Successivamente, per dare effettivamente completa attuazione alla direttiva stessa, mediante la legge comunitaria per l’anno 2019/2020  (art. 7 della legge 22 aprile 2021, n.53, adotatta con evidente ritardo, al punto che la Commissione ha aperto una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia), il Parlamento ha delegato il Governo a dettare le apposite norme in materia.

I criteri di delega, fissati per attuare la direttiva UE/633/2019, sono i seguenti:

a) adottare le occorrenti modificazioni e integrazioni alla normativa vigente in merito alla commercializzazione dei prodotti agricoli e alimentari, in particolare con riferimento all’articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e all’articolo 78, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge 17 marzo 2020, n.18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, razionalizzando e rafforzando il quadro giuridico esistente nella direzione di una maggiore tutela degli operatori delle filiere agricole e alimentari rispetto alla problematica delle pratiche sleali, ferma restando l’applicazione della disciplina a tutte le cessioni di prodotti agricoli e agroalimentari, indipendentemente dal fatturato aziendale;
b) mantenere e ulteriormente definire i principi generali di buone pratiche commerciali di trasparenza, buona fede, correttezza, proporzionalita’ e reciproca corrispettivita’ delle prestazioni a cui gli acquirenti di prodotti agricoli e alimentari debbano attenersi prima, durante e dopo l’instaurazione della relazione commerciale;
c) coordinare la normativa vigente in materia di termini di pagamento del corrispettivo, di cui all’articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, con le previsioni relative alla fatturazione elettronica;
d) prevedere che i contratti di cessione dei prodotti agricoli e alimentari, ad eccezione di quelli conclusi con il consumatore e delle cessioni con contestuale consegna e pagamento del prezzo pattuito, siano stipulati obbligatoriamente in forma scritta e prima della consegna;
e) salvaguardare la specificita’ dei rapporti intercorrenti tra imprenditore agricolo e cooperativa agricola di cui e’ socio per il prodotto conferito, avuto riguardo sia alla materia dei termini di pagamento sia alla forma scritta del contratto;
f) confermare che i principi della direttiva (UE) 2019/633, compreso il divieto previsto con riferimento ai termini di pagamento per i prodotti deperibili dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della medesima direttiva, si applicano anche alle pubbliche amministrazioni e che, in ogni caso, alle amministrazioni del settore scolastico e sanitario, quando debitrici in una transazione commerciale, seppur escluse dall’applicazione del citato articolo 3, paragrafo 1, lettera a), si applica quanto previsto dall’articolo 4, comma 4, del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, ai sensi del quale nelle transazioni commerciali in cui il debitore e’ una pubblica amministrazione le parti possono pattuire, purche’ in modo espresso, un termine per il pagamento non superiore a sessanta giorni;
g) confermare che l’obbligo della forma scritta dei contratti di cessione dei prodotti agricoli e alimentari non possa essere assolto esclusivamente mediante forme equipollenti secondo le disposizioni vigenti, definendo in modo puntuale le condizioni di applicazione;
h) prevedere, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2019/633, tra le pratiche commerciali sleali vietate le vendite dei prodotti agricoli e alimentari attraverso il ricorso a gare e aste elettroniche a doppio ribasso, nonche’ la vendita di prodotti agricoli e alimentari realizzata ad un livello tale che determini condizioni contrattuali eccessivamente gravose, ivi compresa quella di vendere a prezzi palesemente al di sotto dei costi di produzione, definendo in modo puntuale condizioni e ambiti di applicazione, nonche’ i limiti di utilizzabilita’ del commercio elettronico;
i) garantire la tutela dell’anonimato delle denunce relative alle pratiche sleali, che possono provenire da singoli operatori, da singole imprese o da associazioni e organismi di rappresentanza delle imprese della filiera agroalimentare;
l) prevedere la possibilita’ di ricorrere a meccanismi di  mediazione o di risoluzione alternativa delle controversie tra le parti, al fine di facilitare la risoluzione delle controversie senza dover forzatamente ricorrere ad una denuncia, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 7 della direttiva (UE) 2019/633;
m) introdurre sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva (UE) 2019/633, entro il limite massimo del 10 per cento del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio precedente all’accertamento;
n) valorizzare il ruolo delle organizzazioni di rappresentanza nella presentazione delle denunce come previsto dall’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva (UE) 2019/633, estendendolo alle organizzazioni di imprese rilevanti a livello nazionale;
o) adottare con rigore il principio della riservatezza nella denuncia all’autorita’ nazionale di un’eventuale pratica sleale, previsto dall’articolo 5 della direttiva (UE) 2019/633;
p) adottare le occorrenti modificazioni e integrazioni all’articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, al fine di designare l’Ispettorato centrale della tutela della qualita’ e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) quale autorita’ nazionale di contrasto deputata all’attivita’ di vigilanza sull’applicazione delle disposizioni che disciplinano le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e alimentari, all’applicazione dei divieti stabiliti dalla direttiva (UE) 2019/633 e all’applicazione delle relative sanzioni, nel rispetto delle procedure di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689. A tal fine, l’Ispettorato puo’ avvalersi dell’Arma dei carabinieri, e in particolare del Comando per la tutela agroalimentare, oltre che della Guardia di finanza, fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall’articolo 13 della citata legge n. 689 del 1981;
q) prevedere che la mancanza di almeno una delle condizioni richieste dall’articolo 168, paragrafo 4, del regolamento (UE) n.1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, costituisca in ogni caso una pratica commerciale sleale e, nel caso in cui sia fissato dall’acquirente un prezzo del 15 per cento inferiore ai costi medi di produzione risultanti dall’elaborazione dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare – ISMEA, questo sia considerato quale parametro di controllo per la sussistenza della pratica commerciale sleale;
r) prevedere la revisione del regolamento recante disciplina delle vendite sottocosto, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 aprile 2001, n. 218, al fine di consentire che la vendita sottocosto dei prodotti alimentari freschi e deperibili sia ammessa solo nel caso in cui si registri del prodotto invenduto a rischio di deperibilita’ o nel caso di operazioni commerciali programmate e concordate con il fornitore in forma scritta, salvo comunque il divieto di imporre unilateralmente al fornitore, in modo diretto o indiretto, la perdita o il costo della vendita sottocosto;
s) prevedere che siano fatte salve le condizioni contrattuali, comprese quelle relative ai prezzi, che siano definite nell’ambito di accordi quadro nazionali aventi ad oggetto la fornitura dei prodotti agricoli e alimentari stipulati dalle organizzazioni professionali maggiormente rappresentative a livello nazionale;
t) prevedere che all‘accertamento delle violazioni delle disposizioni in materia di pratiche commerciali sleali al di fuori delle previsioni di cui alla direttiva (UE) 2019/633 l’Autorita’ garante della concorrenza e del mercato provveda d’ufficio o su segnalazione delle organizzazioni professionali maggiormente rappresentative a livello nazionale, assicurando, in ogni caso, la legittimazione delle organizzazioni professionali ad agire in giudizio per la tutela degli interessi delle imprese rappresentate qualora siano state lese da pratiche commerciali sleali;
u) prevedere l’applicabilita’ della normativa risultante dall’esercizio della delega di cui al presente articolo a favore di tutti i fornitori di prodotti agricoli e alimentari operanti in Italia indipendentemente dal fatturato.

Il 30 luglio 2021 il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema per il decreto sulle pratiche sleali in agricoltura, poi tradottosi nel decreto legislativo 8 novembre 2021, n.198.

Decreto legislativo 8 novembre 2021, n.198

La nuova disciplina italiana (D. Lgs. 198/2021, art.1, comma 2) si applica a forniture effettuate da fornitori stabiliti in Italia, indipendentemente dal fatturato dei fornitori e degli acquirenti e qualunque sia la legge applicabile al contratto di cessione di prodotti agroalimentari.


Come denunciare a MIPAAF una pratica sleale


Tale disciplina va altresì coordinata con:




Accordo UE-Cina tutela DOP IGP

Gli accordi della UE con Cina e Giappone per la tutela di alcune DOP(Accordo UE-Cina tutela DOP IGP)


Nell’anno 2019 l’Unione Europea ha concluso due accordi internazionali – uno con la Cina (Accordo UE-Cina tutela DOP IGP) e l’altro con il Giappone (Accordo UE-Giappone tutela DOP IGP) – che aggiungono nuovi nodi ad una rete di appositi trattati internazionali, pazientemente tessuta al fine di salvaguardare nel mondo le nostre DOP e IGP.

Cerchiamo innanzitutto di capire perché tali accordi sono indispensabili.

I nomi geografici, costituenti DOP ovvero IGP, sono protetti – quando ciò avviene, ma non è cosa scontata nel mondo! – per effetto di norme giuridiche, le quali esplicano però effetto unicamente sul territorio dell’ordinamento che le prevede. Va da sé che, più è ampio il territorio dell’ordinamento giuridico in questione, maggiore è l’estensione geografica delle zone ove vige siffatta tutela.

In buone sostanza, i confini nazionali rappresentano un grave ostacolo alla tutela in questione.

In Europa, tale problema è stato risolto – con notevole efficacia! – proprio grazie alle norme comunitarie: facendo discendere da esse la protezione di DOP e IGP, i confini nazionali all’interno dell’Unione non ledono minimamente la loro tutela. In altre parole, in virtù del diritto comunitario, una denominazione italiana è protetta nello stesso modo tanto in Italia, quanto in Francia, quanto in Germania, e così via in tutti gli altri Paesi dell’Unione.

La protezione, peraltro, è molto estesa, siccome essa vieta (art.103 del Regolamento 1308/2013/UE) – fra l’altro – di ledere le DOP e le IGP con «qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto o servizio è indicata o se il nome protetto è una traduzione, una trascrizione o una traslitterazione o è accompagnato da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, “gusto”, “come” o espressioni simili».

Superando i confini dell’Unione Europea, ciò viene meno.

L’unica possibilità, per mantenere una certa tutela, è che anche gli Stati non facenti parte dell’Unione riconoscano sul loro territorio una qualche protezione a DOP e IGP comunitarie.

E’ vero che gli Accordi TRIPS, conclusi in sede dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, comportano l’obbligo per tutti gli Stati aderenti di proteggere le denominazioni di origine (ma non le indicazioni geografiche!), ma è parimenti vero che detti accordi sono assai poco efficaci.

Per rimediare, non restava che stringere appositi trattati con i singoli paesi.

Per farlo è tuttavia necessario disporre di molto potere negoziale: forza che l’Italia – da sola – avrebbe in misura alquanto limitata.

A partire dagli anni ‘90, dunque, l’Unione Europea ha gradatamente concluso molteplici accordi in materia con molti altri Stati – fra cui: U.S.A., Canada, Sud Africa, Cile, Australia, … – per vedere protette sul loro territorio le nostre DOP e IGP, così intessendo una vera e propria “rete” in loro difesa.

In buona sostanza: è grazie all’Unione Europea che le nostre DOP e IGP vengono tutelate in gran parte del mondo con una certa effettività.

Siffatta “rete” presentava però due preoccupanti buchi, adesso in qualche modo tappati: mancavano infatti la Cina ed il Giappone.

Il tema era particolarmente cruciale per i produttori europei, giacché per noi le denominazioni di origine rappresentano un patrimonio economico assolutamente significativo. Tuttavia, negli ultimi anni anche la Cina – volendo entrare sempre più nel mondo del commercio internazionale – ha iniziato a riconoscere alcune denominazioni di origine del proprio territorio (la prima riguarda le lingue d’oca).

E’ però errato pensare che tale complesso sistema di protezione sia omogeneo.

Ad esempio, l’Accordo tra UE ed USA verte esclusivamente sul commercio del vino: esso pertanto tutela in modo abbastanza esteso le DOP europee relative a tale settore, ma esclude quelle dei prodotti alimentari. Lo stesso dicasi per i trattati con l’Australia, la Repubblica Sudafricana ed il Cile.

Per contro, il recente Accordo con la Cina concerne anche le DOP alimentari. Tuttavia, le DOP europee che ne beneficiano – vedendo così riservata sia la loro espressione in caratteri latini che la loro traslitterazione in ideogrammi cinesi – sono al momento relativamente poche, e cioè solo un centinaio, di cui ben 26 italiane.

Ecco quali sono queste ultime: Aceto Balsamico di Modena, Asti, Barbaresco, Bardolino Superiore, Barolo, Brachetto d’Acqui, Brunello di Montalcino, Chianti, Conegliano-Valdobbiadene Prosecco, Dolcetto d’Alba, Franciacorta, Montepulciano d’Abruzzo, Soave, Toscano/Toscana, Vino Nobile di Montepulciano (per quanto concerne i vini); Grappa (in relazione ai liquori); Asiago, Bresaola della Valtellina, Gorgonzola, Grana Padano, Mozzarella di Bufala Campana, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Prosciutto di Parma, Prosciutto San Daniele, Taleggio (DOP alimentari).

Di certo, dette DOP sono tra le nostre più significative, il che è un gran successo. Però il loro numero è comunque modesto, per cui è da augurarsi che l’attuale accordo con la Cina rappresenti un primo passo per una tutela numericamente più diffusa. In effetti, nell’Unione Europea sono tutelate ben 573 DOP e 248 IGP italiane (di cui, rispettivamente, 167 e 130 agroalimentari nonché 406 e 118 per i vini)!

Anche il recente ampio accordo commerciale tra Unione Europea e Giappone, che tra le sue molteplici pattuizioni prevede pure la protezione delle rispettive DOP, non rappresenta una misura di loro generale salvaguardia, essendo limitato il numero delle denominazioni di origine che ne beneficiano.

Per quanto concerne le DOP italiane, il Giappone ha accettato di proteggere sul proprio territorio – oltre a tutte quelle oggetto dell’accordo tra UE e Cina – anche i seguenti ulteriori nomi geografici o di prodotti: Sicilia, Soave, Valpolicella, Vernaccia di San Gimignano, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Gasparossa di Castelvetro, Marsala, Montepulciano di Abruzzo, Campania, Bolgheri / Bolgheri Sassicaia, Bardolino / Bardolino Superiore (con riferimento ai vini); Fontina, Mela Alto Adige / Südtiroler Apfel, Mortadella Bologna, Pecorino Toscano, Prosciutto Toscano, Provolone Valpadana, Taleggio, Zampone Modena.

Inoltre, sia l’accordo con la Cina sia quello con il Giappone – al pari di molti altri accordi internazionali – esplicano i loro effetti solo in favore dei citati nomi geografici, lasciando invece scoperte le relative sotto-zone ed indicazioni geografiche aggiuntive, che nemmeno sono tutelate (proprio perché sono cosa diversa dalle denominazioni), ma semplicemente consentite dalla legislazione dell’Unione Europea sull’organizzazione comune dei mercati e che trovano il loro fondamento nel Testo Unico Vino del nostro paese (il che implica una protezione molto più limitata e flebile).

Pure le menzioni tradizionali connesse alle denominazioni coperte dai nuovi accordi con Cina e Giappone non trovano protezione, ma ciò vale anche per molti altri accordi internazionali sul commercio del vino conclusi dalla UE (fanno eccezione quelli con l’Australia ed il Cile), mentre all’interno della Unione esse sono salvaguardate. Anzi, il relativo livello di protezione è aumentato con l’adozione del regolamento della Commissione 33/2019, che ha sostanzialmente assimilato la portata della protezione per le menzioni a quella per le dominazioni (fatta salva la differenza che le prime sono tutelate solo nella versione linguistica con cui sono registrate, mentre per le seconde la tutela copre anche la loro espressione nelle altre lingue dell’Unione).

Insomma, questi due nuovi accordi internazionali – che vanno sicuramente apprezzati e ben accolti! – iniziano forse a connotare una sorta di differenziazione all’interno delle stesse DOP e IGP, sostanzialmente ricollegabile al peso economico delle rispettive produzioni.

Chi realizza quelle attualmente escluse dalla protezione, dovrà quindi prestare attenzione all’evoluzione della situazione, per capire se in futuro essa si consoliderà alle restrittive attuali condizioni ovvero si assisterà ad una graduale estensione del campo di operatività della tutela di DOP e IGP europee in Cina e Giappone. La questione appare particolarmente delicata per quei produttori che puntano a vedere proprio su tali importanti mercati.


Circolare Agenzia dogane su accordo UE - Giappone


Sempre a fine dell’anno 2019, l’Unione Europea ha compiuto ulteriori passi per perfezionare la propria adesione al cosiddetto “Accordo di Lisbona” (così come modificato da quello successivo di Ginevra), che – in sede WIPO (World Intellectual Property Organization) – ha come obiettivo la tutela sia delle denominazioni di origine, sia delle indicazioni geografiche.

Ciò consente di rafforzare la tutela di DOP e IGP dell’Unione Europea nei seguenti paesi, magari meno rilevanti sul piano dell’export dei nostri vini, ma che – in assenza di tale trattato – avrebbero potuto costituire un “porto sicuro” per eventuali operazioni di contraffazione: Albania, Algeria, Bosnia ed Herzegovina, Burkina Faso, Congo, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana, Korea del Nord, Repubblica Dominicana, Gabon, Georgia, Haiti, Iran, Israele, Mexico, Montenegro, Nicaragua, Macedonia del Nord, Peru, Moldavia, Togo e Tunisia.


Normativa acqueviti e liquori

Adottato dall’Unione Europea il nuovo regolamento UE/787/2019 sulle bevande spiritose (normativa acqueviti e liquori).


Le norme dell’Unione Europea applicabili alle bevande spiritose (normativa acqueviti e liquori) si prefiggono di:

Normativa acqueviti e liquori

  • contribuire al raggiungimento di un livello elevato di protezione dei consumatori
  • eliminare le asimmetrie informative
  • prevenire le pratiche ingannevoli
  • rendere trasparente il mercato e consentire eque condizioni di concorrenza.

Il nuovo regolamento sulle bevande spiritose si propone di salvaguardare la loro reputazione sul mercato nonchè garantire un certo equlibrio tra il rispetto dei metodi tradizionali di produzione e l’innovazione tecnologica.

L’Unione riconosce che le bevande spiritose rappresentano uno sbocco importante per il proprio settore agricolo, cui sono strettamente legate.

Il nuovo regolamento abroga quello precedente (regolamento UE/2008/110), si applicherà però dal 25/5/2021, fatte salve le disposizioni sulle denominazioni che entrano subito in vigore.

Il regolamento UE/787/2019 sulle bevande spiritose contiene le regole applicabili al tale settore per la tutela delle denominazioni di origine e sulle regole di produzione (si ricorda che per i vini tali materie sono invece disciplinate dal regolamento UE/1308/2013 sulla OCM Unica).


Modificando le pertinenti disposizioni del nuovo regolamento UE/787/2019 sulle bevande spiritose (normativa acqueviti e liquori), mediante il successivo regolamento delegato (UE) 2021/1096 la Comissione del 21 aprile 2021 ha stabilito nuove regole in materia di etichettatura delle “bevande assemblate“.

Successivamente, sempre in tema di etichettatura delle “bevande spiritose” (e cioè degli alcolici), sono stati adottati due ulteriori regolamenti, anche essi modificativi dei citato regolamento UE/787/2019 (suoi art.11 e 12):

      • il regolamento delegato UE n. 2021/1334, concernente le allusioni a denominazioni legali  di bevande spiritose o loro indicazioni geografiche nella designazione, nella presentazione e nell’etichettatura di altre bevande spiritosee
      • il regolamento delegato UE n. 2021/1335, relativo  all’etichettatura delle bevande spiritose risultanti dalla combinazione di una bevanda spiritosa con uno o più prodotti alimentari.

Linee-guida UE su etichettatura bevande spiritose


Schema controlli su distillati

Linee guida su piano controlli per i distillati


I consorzi di tutela delle bevande spiritose recanti una indicazione geografica sono disciplinati dal D.M. 29 agosto 2023, n. 244.

Alcune caratteristiche della nuova regolamentazione sui consorzi di tutela per le bevande spiritose:

    • soggetti partecipanti (volontariamente) possono appartenere alle seguenti categorie:

a) conferitori di materia prima;
b) distillatori;
c) elaboratori;
d) imbottigliatori

    • Il voto di ciascun consorziato e’ determinato dal valore ponderale rapportato alla quantita’ di prodotto conferito, distillato, elaborato, imbottigliato nell’anno solare immediatamente precedente la data dell’assemblea
    • qualora il consorziato svolga contemporaneamente due o piu’ attivita’ produttive, il voto è cumulativo delle attivita’ svolte
    • lo Statuto consortile deve fra l’altro determinare le norme relative alle modalita’ di voto e rappresentanza delle diverse categorie della filiera all’interno del Consorzio che assicurino l’espressione del voto a ciascun consorziato;
    • criteri minimi di rappresentatività:
      • almeno il 66 per cento della quantita’ in litri anidri prodotta (intesa come media, negli ultimi due anni precedenti la data di presentazione della domanda)
      • e almeno il 30 per cento dei distillatori o degli elaboratori (riferiti
        agli ultimi due anni precedenti la data di presentazione della
        domanda, ed inseriti nel sistema di controllo della IG in questione),
        anche se non aderenti al Consorzio di tutela.