Agricoltore custode ambiente territorio

Riconosciuto il ruolo dell’agricoltore custode ambiente territorio per effetto della legge 24/2024 adottata dal Parlamento italiano


Il ruolo dell’agricoltore custode ambiente territorio era stato fortemente evidenziato dalle Istituzioni europee già  in occasione dell’adozione della riforma della  PAC per il periodo 2013-2020.

Già in tale contesto, infatti, si parlava di sostenibilità, focalizzando l’attenzione sulle prestazioni ambientali dell’agricoltura e considerando particolarmente rilevanti quelle utili a contrastare i cambiamenti climatici ed a mitigarne gli effetti (ad esempio, lo sviluppo di una maggiore resilienza del territorio ai disastri provocati da allagamenti, incendi e siccità).

All’agricoltore veniva così riconosciuto il suo naturale ruolo di “sentinella del territorio“.

In tale contesto si colloca adesso la legge 28 febbraio 2024, n.24, recante le Disposizioni per il riconoscimento della figura dell’agricoltore custode dell’ambiente e del territorio e per l’istituzione della Giornata nazionale dell’agricoltura.

Effetti della legge 24/2024.

Le Regioni e gli altri Enti pubblici territoriali avranno modo di promuovere la figura dell’agricoltore custode ambiente territorio nei seguenti modi:

    • attraverso progetti, accordi e protocolli d’intesa volti a valorizzare il ruolo sociale dell’agricoltore
    • realizzare opere finalizzate allo svolgimento delle attivita’ caratterizzanti detto ruolo dell’agricoltore (infra specificate) e per la protezione dei coltivi e degli allevamenti.
    • riconoscimento di specifici criteri di premialita’, inclusivi della riduzione dei
      tributi di rispettiva competenza, nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato.

Quali sono le attività agricole che consentono di beneficiare del riconoscimento?

Si tratta delle seguenti:

a) manutenzione del territorio attraverso attivita’ di sistemazione, di salvaguardia del paesaggio agrario, montano e forestale e di pulizia del sottobosco, nonche’ cura e mantenimento dell’assetto idraulico e idrogeologico e difesa del suolo e della vegetazione da avversita’ atmosferiche e incendi boschivi;

b) custodia della biodiversita’ rurale intesa come conservazione e valorizzazione delle varieta’ colturali locali;

c) allevamento di razze animali e coltivazione di varietà vegetali locali;

d) conservazione e tutela di formazioni vegetali e arboree monumentali;

e) contrasto all’abbandono delle attivita’ agricole, al dissesto idrogeologico e al consumo del suolo;

f) contrasto alla perdita di biodiversita’ attraverso la tutela dei prati polifiti, delle siepi, dei boschi, delle api e di altri insetti impollinatori e coltivazione di piante erbacee di varieta’ a comprovato potenziale nettarifero e pollinifero.

Quali soggetti possono ottenere il riconoscimento di Agricoltore custode ambiente territorio?

Beneficiari del riconoscimento sono gli imprenditori agricoli (singoli o associati), che esercitano l’attivita’ agricola ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile, nonche’ le societa’ cooperative del settore agricolo e forestale.

Dunque, tali soggetto possono vedere riconsciuto il loro ruolo sociale e beneficiare delle relative agevolazioni, a condizione che esercitino una o più delle attività appena citate.

 

 

 

impianti solari agrivoltaici

Impianti solari agrivoltaici: migliorare la sostenibilità del settore agricolo beneficiando degli incentivi del PNRR.

 

Il settore agricolo è uno dei principali settori produttivi del nostro sistema economico, indispensabile per l’alimentazione, nonché per la gestione e la conservazione del patrimonio naturale.

Purtroppo, però, esso si rende responsabile, in Europa, del dieci per cento delle emissioni di gas serra.

“Italia Domani”, il Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) – presentato dall’Italia nel contesto del programma Next Generation EU – prevede investimenti e un pacchetto di riforme, che si sviluppa intorno a tre assi strategici (digitalizzazione e innovazione, inclusione sociale e transizione ecologica) e mira anche a contrastare questo effetto collaterale.

Il principale obiettivo posto alla base del progetto, infatti, è quello di condurre l’Italia lungo un percorso di cambiamento a livello ecologico e ambientale che possa essere d’ausilio per assottigliare i divari territoriali, generazionali e di genere.

Uno degli strumenti su cui si vuole puntare, in particolare per migliorare l’impatto dell’agricoltura sull’ambiente, sono gli impianti solari agrivoltaici.

Cosa sono gli impianti solari agrivoltaici

Si tratta di un innovativo utilizzo del terreno che sta prendendo piede negli ultimi anni.

Il fondo, infatti, oltre ad essere sfruttato per la coltivazione di vegetali, viene destinato altresì alla produzione di energia fotovoltaica.

Gli impianti solari agrivoltaici concretizzano infatti un virtuoso trait d’union, che pone in relazione le fonti rinnovabili, la sostenibilità ambientale, la tutela della biodiversità con l’attività agricola, consentendo la convivenza e l’interazione tra la generazione dell’energia a partire dai raggi del sole e le pratiche di coltivazione del fondo.

Le Linee Guida in materia di impianti agrivoltaici – messe a punto dal Ministero della Transizione Ecologica, con il contributo di ENEA – forniscono delle puntuali definizioni.

L’impianto agrivoltaico (o agrovoltaico, o ancora agro-fotovoltaico) è, dunque, un impianto fotovoltaico, che consente di mantenere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale sul sito di installazione.

Per impianto agrivoltaico avanzato si intende un impianto agrivoltaico che (conformemente a quanto stabilito dall’articolo 65, comma 1-quater e 1-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, e successive modificazioni), non compromette la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale,  anche eventualmente consentendo l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione.

Ciò grazie al montaggio di moduli elevati da terra, i quali possono anche ruotare per “seguire il sole”.

Inoltre, gli impianti solari agrivoltaici devono prevedere la contestuale realizzazione di sistemi atti a monitorarel’impatto dell’installazione fotovoltaica sulle colture, il risparmio idrico, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture, la continuità delle attività delle aziende agricole interessate, il recupero della fertilità del suolo, il microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici”.

Benefici degli impianti solari agrivoltaici

Sono molteplici, tra cui:

    • la maggiore resa dei terreni (in relazione a specifiche colture);
    • il minore consumo di acqua per l’irrigazione, grazie ai moduli fotovoltaici che garantiscono un parziale ombreggiamento;
    • una fonte aggiuntiva di reddito che permette agli agricoltori di fare investimenti nella propria attività e guadagnarne in termini di competitività;
    • la collaborazione tra agronomi, imprese agricole e stakeholder del settore.

Quali colture per gli impianti solari agrivoltaici?

Il PNRR si occupa di questa tecnologia, con l’intenzione di rendere sempre più capillare la presenza di impianti agro-voltaici di medie e grandi dimensioni sul territorio nazionale.

La misura di investimento nello specifico consiste, innanzitutto, nell’implementazione di sistemi ibridi agricoltura-produzione di energia che possano conciliare lo sfruttamento della luce solare con l’utilizzo dei terreni per fini agricoli, incrementando la sostenibilità ambientale ed economica delle imprese aderenti, anche avvantaggiandosi di bacini idrici presso i quali possono essere installate soluzioni galleggianti.

Mediante le citate  Linee Guida in materia di impianti agrivoltaici, le colture sono state suddivise in cinque categorie, individuate in base a come queste reagiscono alla fisiologica riduzione luminosa, appunto derivante dall’ombreggiamento creato dagli impianti fotovoltaici istallati sul fondo.

    • colture “molto adatte”, quelle sulle quali l’ombreggiatura produce effetti positivi sulle rese quantitative, tra cui possiamo citare spinaci e patate.
    • colture “adatte”, ossia quelle indifferenti all’ombreggiatura moderata, come le carote e i finocchi.
    • “mediamente adatte” vengono menzionate le cipolle e le zucchine.
    • “poco adatte” le barbabietole da zucchero e le barbabietole rosse.
    •  “non adatte” quelle che presentano un’importante necessità di esposizione alla luce, per le quali anche una sua pressoché insignificante diminuzione cagionerebbe una grave flessione della resa (alberi da frutto, del frumento e del mais, ad esempio).

Dove installare gli impianti solari agrivoltaici?

Per quanto concerne, invece, le aree su cui si possono andare a collocare gli impianti in questione, va considerato quanto disposto dall’art.20, comma 1, d. lgs. n. 199/2021, che rimette a livello ministeriale l’identificazione dei principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili.

Sono considerate aree idonee all’installazione di impianti solari agrivoltaici (ai sensi del successivo comma 8, lett. c), quater di detto d. lgs. 199/2021), “le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, né ricadono nella fascia di rispetto de i beni sottoposti a tutela ai sensi della parte seconda oppure dell’arti colo 136 del medesimo decreto legislativo.  …  la fascia di rispetto è determinata considerando una distanza dal perimetro di beni sottoposti a tutela di sette chilometri per gli impianti eolici e di un chilometro per gli impianti fotovoltaici”.

Quale procedura per installare gli impianti solari agrivoltaici?

Nei procedimenti di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili su aree idonee, ivi inclusi quelli per l’adozione del provvedimento di valutazione di impatto ambientale, l’autorità competente in materia paesaggistica si esprime con parere obbligatorio non vincolante. Decorso inutilmente il termine per l’espressione del parere non vincolante, l’amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione”.

Così stabilisce  l’art.22, comma 1, lettera a) di detto d. lgs. 199/2021.

In merito al rilascio dei provvedimenti autorizzatori, il TAR di Lecce (sentenza 1750/2022) ha di rendente sancito:

 

4.2. Non esiste, di per sé, un diritto assoluto e incondizionato all’installazione di impianti volti alla produzione di energia, sia pure “pulita” (o verde: green), nel senso di energia prodotta direttamente dal Sole, (e ciò anche nell’ipotesi in cui si tratti di impianti “agrivoltaici”, con insistenza in aree “agricole”), e non mediante il procedimento (assolutamente impattante sul Pianeta, e nel medio/lungo periodo non più sostenibile) di estrazione del carbon-fossile.

In senso opposto, tuttavia, non esiste neppure un generalizzato divieto – del pari assoluto e incondizionato – all’installazione di impianti siffatti, men che meno in caso di insistenza, in situ, di altri impianti analoghi.

4.3. Per dirla con le parole dell’Arbiter Constitutionis: “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca, e non è possibile individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri; … la tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro, giacché se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette” (Corte cost, n. 85/13).

Sotto questo profilo, non si vede come si possa decampare dal vero “fulcro” della questione, vale a dire la non qualificabilità dell’impianto in questione come “fotovoltaico”, ma come agrivoltaico”.

6.1. Quello dell’agrivoltaico è, infatti, un settore di recente attenzione. Esso non è ancora molto diffuso, ma sta assumendo (grazie anche alle spinte provenienti dal legislatore nazionale e sovranazionale; il punto verrà ripreso infra) forma e consistenza sconosciute appena dieci o cinque anni orsono.

6.2. Trattasi di un utilizzo “ibrido” di terreni agricoli, tra produzioni agricole e produzione di energia elettrica, attraverso l’installazione, sugli stessi terreni, di impianti fotovoltaici, che non impediscono tuttavia la produzione agricola classica.

6.3. In particolare, come più volte chiarito da questa Sezione (cfr. sentt. nn. 586/22 e 1267/22), mentre nel caso di impianti fotovoltaici tout court il suolo viene reso impermeabile, viene impedita la crescita della vegetazione, e il terreno agricolo perde quindi tutta la sua potenzialità produttiva, nell’agrivoltaico l’impianto è invece posizionato direttamente su pali più alti, e ben distanziati tra loro, in modo da consentire alle macchine da lavoro la coltivazione agricola sia al di sotto dei moduli fotovoltaici, e sia tra l’uno e l’altro modulo.

6.4. Per effetto di tale tecnica – sicuramente innovativa, in quanto praticamente assente sino a pochi anni fa – la superficie del terreno resta permeabile, come tale raggiungibile dal sole e dalla pioggia, e dunque pienamente utilizzabile per le normali esigenze della coltivazione agricola.

7. Definiti in tal modo i tratti caratteristici dell’agrivoltaico, e differenziali rispetto al fotovoltaico “puro”, non si comprende che valenza assumano, nel caso in esame, le statistiche offerte dalla Regione nell’atto impugnato, in ordine al numero e consistenza di impianti “fotovoltaici” sparsi sul territorio regionale, nonché su quello in esame. Trattasi, invero, di fenomeni non sovrapponibili tra di loro, per la semplice ed elementare considerazione che:

– nel fotovoltaico, le potenzialità agricole del fondo vengono azzerate, ora e per il futuro (essendo del tutto problematica la ripresa dell’attività agricola, dopo decenni di utilizzazione dei fondi per le esigenze della produzione di energia, sia pure green);

– nell’agrivoltaico, invece, le esigenze della produzione agricola restano intatte, e sono anzi spesso accresciute, in quanto il necessario “ibrido” tra le esigenze della coltivazione e quelle della produzione di energia pulita porta sovente a recuperare, da un punto di vista agronomico, fondi che versano in stato di abbandono.

8. Pertanto, a differenza di quanto adombrato dalla Regione, non di rapporto di genus ad species può parlarsi nel caso in esame, ma di progressiva gemmazione di un istituto “nuovo” (l’agrivoltaico), dalla sua casa madre (il fotovoltaico), con conseguente acquisto di una ragione sociale propria.

9. Pertanto, sarebbe sicuramente rilevante – nell’odierno giudizio – conoscere il numero e la consistenza di impianti agrivoltaici insistenti in ambito regionale, e nell’agro brindisino in particolare.

Senonché, la Regione non ha offerto contributo sul punto, limitandosi ad esporre il numero e la potenza degli impianti fotovoltaici classici, privi di ausilio ai fini in esame, in quanto fondati su una errata qualificazione – da genus ad species – del rapporto tra fotovoltaico e agrivoltaico; rapporto dal quale, per le ragioni prima dette, va operata un’affrancazione.

10. Detto in altri termini: non si comprende come un impianto che combina produzione di energia elettrica e coltivazione agricola (l’agrivolotaico), possa essere assimilato ad un impianto che produce unicamente energia elettrica (il fotovoltaico), ma che non contribuisce tuttavia – neppure in minima parte – alle ordinarie esigenze dell’agricoltura.

All’evidenza, non si tratta di rapporto di genus ad species, ma di fenomeni largamente diversi tra loro, nonostante la loro comune base di partenza (la produzione di energia elettrica da fonte pulita).

E in quanto situazioni non sovrapponibili, non possono essere assimilati quoad aeffectum.

….

11. E che l’agrivoltaico, in questi ultimi anni, abbia acquisito una dignità autonoma, emerge dalla legislazione eurounitaria e nazionale sviluppatasi negli ultimi anni sul tema delle energie rinnovabili.

13.2. Per tali ragioni, non si può sic et simpliciter ricondurre gli impianti agrivoltaici all’ambito del fotovoltaico puro, come invece la Regione pretende di fare, con un semplice e anacronistico rapporto (ripreso anche dalla sentenza di questo TAR n. 1376/22, sulla quale v. infra, punti nn. 27 e ss.) di genus ad species.

13.3. Forse quest’assimilazione poteva essere compiuta alcuni anni orsono.

Fondi del PNRR per impianti solari agrivoltaici

Il PNRR italiano si pone un obiettivo ambizioso: potenziare la competitività del settore agricolo, abbattendo i costi di approvvigionamento energetico, che attualmente si attestano a oltre il venti per cento dei costi variabili delle aziende agricole, apportando, unitamente, sensibili miglioramenti nelle prestazioni climatiche-ambientali.

In termini numerici, l’obiettivo del PNRR è quello di arrivare, a regime, ad una capacità produttiva degli impianti agro-voltaici di 1,04 GW, che produrrebbe circa 1.300 GWh annui, garantendo l’altro obiettivo, che è quello della riduzione delle emissioni di gas serra stimabile in circa 0,8 milioni di tonnellate di CO2.

PNRR - Sviluppo Agrivoltaico


 

impianti solari agrivoltaici

 

(a cura della dott.ssa Gerarda Monaco)

usi civici fondi agricoli

Gli usi civici sui fondi agricoli rappresentano limiti al diritto di proprietà sui fondi agricoli e vanno adeguatamente acceratati prima di procedere alla compravendita (usi civici fondi agricoli)


Cosa sono gli usi civici

Per uso civico si intende un diritto perpetuo attribuito ai membri di una determinata collettività (un comune o un’associazione), consistente nel godimento, in modo indiviso, di fondi appartenenti al demanio o, altresì, a un privato (usi civici fondi agricoli).

Il diritto di esercizio degli usi civici è imprescrittibile e, di conseguenza, non si può estinguere per usucapione. Solitamente trova il suo riconoscimento in una fonte – fatto, la quale si identifica con azioni e comportamenti che l’ordinamento ritiene idonei alla produzione di norme giuridiche.

Al fine di addentrarci più approfonditamente nel concetto di uso civico, è indispensabile qualche breve cenno storico. Innanzitutto, la sua origine può essere fatta risalire al Medioevo, quando il sovrano concedeva al feudatario l’amministrazione del feudo ed il solo godimento dei beni concessigli, restando esclusa, tuttavia, la disponibilità di tali beni; infatti, ad esempio, l’alienazione del feudo restava prerogativa del monarca. All’incirca verso la metà del XVII secolo, si assistette a un decadimento degli usi civici, tuttavia i beneficiari si spesero in aspre lotte per conservare i loro diritti, i quali, in effetti, hanno resistito al trascorrere dei secoli.

Gli usi civici oggi

Oggi, sebbene sia ormai ampiamente superata la concezione su cui un tempo l’uso civico si fondava, secondo cui si poteva provvedere al proprio sostentamento avvalendosi del diritto di cogliere del legname o di condurre al pascolo i propri animali sui fondi gravati da tale diritto, le destinazioni d’uso sono rimaste quelle previste dalla Legge 16 giugno 1927, n.1766.

L’art.11 di detta legge distingue in due tipologie i terreni oggetto di usi civici: i terreni convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente (categoria A); i terreni convenientemente utilizzabili per la coltura agraria (categoria B).

Seppur l’uso civico spetti ad una determinata collettività, l’assegnazione dei terreni gravati da tale diritto è operata effettuando un bilanciamento tra i bisogni della popolazione con quelli della conservazione del patrimonio boschivo e pascolivo ed è attuata, come prescritto dagli artt. 19 e 20, a titolo di enfiteusi, diritto reale secondo il quale il titolare gode del dominio utile sul fondo, assumendosi l’obbligo di apportare migliorie e di corrispondere un canone annuo al proprietario.

Il canone è definito sulla base del prezzo dell’unità fondiaria, “realizzabile in libera contrattazione, tenuto conto dei vincoli giuridici apposti all’assegnazione e del precedente diritto dell’assegnatario”.

La liquidazione degli usi civici è affidata, ai sensi dell’art.27 e seguenti, ai commissari regionali degli usi civici. Costoro, dotati di funzioni giurisdizionali e amministrative, sono nominati dal Consiglio superiore della magistratura fra i magistrati di grado non inferiore a consigliere di Corte d’appello.

Contro le loro decisioni è ammesso reclamo alla Corte d’appello di Roma.

I commissari sono chiamati a decidere su tutte le controversie circa l’esistenza, la natura e la estensione dei diritti suddetti. Infatti, “sussiste la giurisdizione del Commissario regionale per la liquidazione degli usi civici ogni volta in cui oggetto della domanda principale sia l’accertamento della demanialità civica del bene, e le altre domande connesse siano conseguenza di tale accertamento.”(Corte di Cassazione, ordinanza n. 15530 del 16/05/2022).

Guardando alla normativa meno risalente, con la Legge 431/1985 gli usi civici sono stati inseriti nell’elenco dei beni sottoposti a tutela ambientale.

Ciò si caratterizza per essere una situazione giuridica di sostanziale non modificabilità dei luoghi, la quale sfocia in una serie di limitazioni sulle facoltà dei proprietari, possessori e/o detentori di tali beni.

È, dunque, possibile affermare che oggi l’uso civico si pone a difesa di un interesse generale di natura ambientale, il quale va oltre quello di sussistenza di una certa comunità che originariamente era riconosciuto. Si veda anche sul punto la pronuncia del T.A.R. Trento, (Trentino-Alto Adige) sez. I, con la sentenza 26/11/2021, n.187.

Trasferimenti della proprietà su fondi gravati da usi civici

Occupiamoci, ora, dell’alienazione di fondi su cui gravano degli usi civici. A tal proposito, è d’uopo distinguere tra terreni di proprietà privata e quelli che, diversamente, fanno parte del demanio civico.

Nel primo caso, il fondo può essere oggetto di compravendita, tuttavia questa non comporta l’estinzione dell’uso civico, il quale si mantiene.

Secondo il Procuratore Generale presso la Cassazione (Udienza del 3 aprile 2023, Ricorsi R.G. 18257/17 e 27601/17) a meno di specifiche ipotesi previste dalla legge, i diritti di uso civico gravanti su beni collettivi non possono essere posti nel nulla da un decreto di espropriazione per pubblica utilità.

La natura demaniale degli usi civici (o lato sensu demaniale) lo impedisce, imponendo un formale provvedimento di sdemanializzazione, la cui mancanza rende invalido il decreto di espropriazione per pubblica utilità che preveda l’estinzione di eventuali usi civici di questo tipo con trasferimento dei relativi diritti sull’indennità di espropriazione.

Si attende che la Suprema Corte si pronunci sul caso a Sezioni Unite.

Nondimeno, è ammesso che si liberi il terreno privato dall’uso civico prima di effettuare la vendita, mediante la procedura di affrancazione del fondo.

Questa consiste nella liquidazione monetaria dell’uso civico, operata la quale il fondo può essere alienato libero dal suddetto vincolo. Come si preannunciava, se questa, invece, non viene eseguita, il bene può essere trasferito, tuttavia resta gravato dall’uso civico secondo il principio “res transit cum onere suo” (il bene si trasferisce con il suo onere). Inoltre, la sua sussistenza deve essere precisata all’interno dell’atto notarile.

I fondi di proprietà collettiva (demanio civico) destinati a finalità agricole, come anticipato, sono sovente affidati a singoli membri della comunità esercente il diritto, i quali possono avvantaggiarsene a titolo di enfiteusi. In tal caso, i beneficiari hanno la possibilità di rendersi legittimi proprietari del terreno aderendo a particolari procedure che consentono loro di alienare e riscattare le quote enfiteutiche.

La legittimazione viene attestata avviando un procedimento che esordisce con una perizia istruttoria pubblicata, previo riscontro del Commissario per gli usi civici (di cui si è già detto più sopra), nell’albo del Comune. A seguito dell’emissione dell’ordinanza di legittimazione, il provvedimento necessita dell’approvazione del Ministero della Giustizia, sentita la Regione.

Una parte della giurisprudenza sostiene che il provvedimento di legittimazione sia idoneo a far decadere il vincolo di inalienabilità del terreno il quale, conseguentemente, diventa commerciabile.

Accertamento dell’esistenza di usi civici prima di trasferire la proprietà su fondi agricoli

Passando oltre, una menzione merita la competenza professionale del notaio in relazione agli usi civici. Essa consiste nel dovere di consiglio e di segnalazione alle parti delle ragioni che potrebbero incidere negativamente sugli effetti degli atti stipulati e sul risultato pratico perseguito dalle parti con detti atti, nell’ipotesi di immobili gravati da uso civico.

Pertanto, “viola il dovere di diligenza professionale, e incorre nella conseguente responsabilità, il notaio che, esercitando le proprie funzioni in zona che presenti potenziale rischio di sussistenza di vincoli pubblici, non abbia provveduto a svolgere indagini più approfondite rispetto a quelle ordinarie di consultazione dei registri immobiliari e catastali, onde accertare l’effettiva libertà degli immobili oggetto degli atti rogati da usi civici che ne determinano la sostanziale incommerciabilità” (Cassazione civile sez. III, 18/10/2022, n.30494).

Volgiamo, da ultimo, un ulteriore sguardo su alcune pronunce giurisprudenziali in materia di usi civici (usi civici fondi agricoli).

Ad esempio, ci si potrebbe domandare: il bene su cui verte un uso civico può essere oggetto di pignoramento?

La sentenza Cassazione civile sez. II, 23/11/2022, n.34476 ha chiarito che l’uso civico non sottrae il bene dal pignoramento se il debitore stesso utilizza il bene in modo incompatibile con l’esercizio collettivo. Il singolo, infatti, non può trincerarsi dietro la sussistenza di un uso civico per evitare il pignoramento su un bene che egli stesso utilizza in modo incompatibile con l’esercizio collettivo. Dunque, in quest’ultimo elemento si cristallizza la pignorabilità di detto bene.

Affitto fondi agricoli su cui gravano usi civici

Un altro quesito che potrebbe venire in rilievo: si possono concedere in affitto beni in uso civico?

La Cassazione civile sez. III, con la sentenza 21/10/2021, n.29344 ha risposto positivamente, a condizione che non ne sia alterata la qualità originaria.

Infatti, la concessione in godimento a privati attraverso un contratto di locazione di fondi interessati da un uso civico è ammissibile purché la destinazione concreta, impressa al bene, sia compatibile con l’esercizio del predetto uso e la stessa sia temporanea e tale da non comportare l’alterazione della qualità originaria del bene. In mancanza di tali requisiti il contratto di locazione è nullo per contrasto con la norma imperativa.

In conclusione, è possibile osservare come l’istituto degli usi civici, seppur derivante da una normativa risalente nel tempo ed apparentemente non più attuale, continua comunque oggi a mantenere una considerevole rilevanza applicativa, che comporta la necessità di un attento esame e di opportune indagini dirette ad accertarne la sussistenza, soprattutto ogni qualvolta si debba procedere con atti di alienazione.

(a cura della dott.ssa Gerarda Monaco)

Piano strategico Italia PAC 2023-2027

Secondo la Commissione UE, è inadeguato il Piano strategico Italia PAC 2023-2027


Piano strategico Italia  PAC 2023-2027: ecco il giudizio critico espresso dalla Commissione UE  – Ares(2022)2416762 – 31/03/2022

“Il piano, nella sua forma attuale, non è sufficiente.

La Commissione osserva che numerosi elementi del piano, descritti nelle sezioni successive, sono mancanti, incompleti o incoerenti; non è pertanto possibile effettuare una valutazione approfondita della coerenza tra l’analisi SWOT, le esigenze individuate e la strategia, né dell’ambizione e dell’accettabilità del piano. In particolare, in assenza di target finali quantificati per gli indicatori di risultato, non è possibile valutare l’adeguatezza e il livello di ambizione della logica di intervento proposta per ciascun obiettivo specifico.

La Commissione sottolinea l’importanza dei target finali fissati per gli indicatori di risultato quale strumento chiave per valutare l’ambizione del piano e monitorarne i progressi.

Tali target finali devono essere precisi, tenere conto di tutti gli interventi pertinenti e definire un livello di ambizione adeguato in linea con le esigenze individuate.

Analogamente, le incoerenze nelle informazioni finanziarie (descrizione degli interventi e tabelle finanziarie) rendono particolarmente difficile valutare il rispetto dei massimali e delle dotazioni. L’Italia è invitata a compilare adeguatamente tutte le sezioni e gli elementi del piano vuoti o incompleti.

Le osservazioni che seguono si basano esclusivamente sul contenuto parziale disponibile”

Più nello specifico.

“La Commissione prende atto della decisione dell’Italia di trasferire il 2,8 % dei fondi per i pagamenti diretti allo sviluppo rurale e accoglie con favore gli sforzi tesi ad armonizzare gli interventi in tale ambito proponendo solo interventi nazionali, la maggior parte dei quali sarà attuata dalle regioni italiane tenendo conto delle specificità territoriali.

In diversi casi, tuttavia, il piano indica che gli elementi regionali relativi a tali interventi (comprese le condizioni di ammissibilità e gli impegni) saranno definiti dalle regioni, senza descrivere tali elementi. L’Italia è invitata a fornire tali informazioni, come specificato nelle sezioni successive del presente allegato.

Tenuto conto della diversità dell’agricoltura e delle zone rurali in Italia, del numero di potenziali beneficiari e delle limitate risorse finanziarie disponibili, l’Italia è invitata a migliorare la strategia proposta e la descrizione degli interventi garantendo una concentrazione e un targeting chiari e decisi del sostegno verso i territori, i beneficiari e i settori più bisognosi, sulla base dell’analisi SWOT e delle specifiche esigenze territoriali

Ecco il testo integrale del parere espresso dalla Commissione

Giudizio Commissione UE su piano strategico Italia per PAC 2023-2027

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Parimenti critico il giudizio espresso in proposito da numerose associazioni ambientaliste.

usucapione fondo agricolo coltivazione

Usucapione del fondo agricolo: per maturarla non basta che il possessore si limiti alla mera coltivazione (usucapione fondo agricolo coltivazione)


Con l’ordinanza n.1796 del 20 gennaio 2022, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema dell’usucapione del fondo rustico (usucapione fondo agricolo coltivazione).

Più precisamente, con la predetta pronuncia la Suprema Corte ha rimarcato il principio secondo cui non è sufficiente, ai fini della prova del possesso utile ad usucapionem, la mera coltivazione del fondo.

L’istituto dell’usucapione fonda le sue origini nel diritto romano e costituisce uno dei modi di acquisto della proprietà o di un diritto reale di godimento (ad esempio della servitù di passaggio) su beni mobili o immobili. L’acquisizione del diritto si perfeziona con il decorso del tempo.

In tema di proprietà immobiliare, l’art.1158 c.c. sancisce che “La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni”.

Il successivo art.1159 c.c. riduce il tempo del possesso c.d. “ad usucapionem” a dieci anni in favore di colui che abbia acquistato in buona fede, da chi non è proprietario un immobile, in forza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà che sia stato debitamente trascritto.

In entrambi i casi si parla di possesso, ma non ogni tipo di possesso può definirsi come utile a perfezionare l’usucapione. Invero, ai fini dell’usucapione, il possesso deve avere determinate caratteristiche: deve essere stato assunto in modo pacifico (e cioè non attraverso uno spoglio violento o clandestino) e deve mantenersi nella sfera del possessore in modo ininterrotto e non equivoco. Si parla di possesso “uti dominus”, che sta sostanzialmente ad indicare l’elemento soggettivo del possesso, ossia che il soggetto che lo esercita si comporta come se fosse il proprietario.

Precisati tali elementi identificativi della fattispecie, ritorniamo ad esaminare la suddetta Ordinanza, la quale ha affrontato il tema degli effetti della coltivazione del fondo nell’ambito del riconoscimento del diritto di usucapione. Secondo detta pronuncia, la coltivazione

«…non esprime in modo inequivocabile l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus; costituisce, pertanto, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, l’intero complesso dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare l’attività di chi si pretende possessore, ma considerando anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento concretamente esercitato del proprietario” (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 6123 del 05/03/2020, Rv. 657277; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18215 del 29/07/2013, Rv. 627301). La coltivazione deve quindi essere accompagnata da “univoci indizi , i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus; l’interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso».

Sotto questo profilo, poiché la connotazione principale del diritto di proprietà è la facoltà di escludere i terzi dal godimento del bene che ne costituisce oggetto (cd. “ius excludendi alios”), il giudice di merito deve accertare, in concreto, se il possessore abbia dimostrato non soltanto di avere utilizzato il bene immobile su cui egli reclama l’usucapione, ma di averne anche precluso ai terzi la fruizione.

Con specifico riferimento ai fondi agricoli, che – per loro stessa natura – sono destinati allo sfruttamento agricolo, si pone il problema della modalità con la quale, in concreto, lo “ius excludendi alios” possa, o debba, essere manifestato. Al riguardo, va considerato che la più eclatante espressione del diritto di proprietà è rappresentata dalla facoltà di chiudere il fondo, ai sensi dell’art. 841 c.c.. La recinzione materiale del fondo agricolo, quindi, costituisce la più importante espressione dello “ius excludendi alios” Ciò non implica che venga impedito di dare in altro modo la prova del comportamento idoneo ad escludere i terzi dal godimento del bene.

Tuttavia, è certo che la recinzione materiale del terreno costituisce una univoca e chiara manifestazione della volontà del possessore di escludere i terzi da qualsiasi relazione con il fondo stesso. Pertanto, colui che si trovi nella detenzione di un fondo agricolo, del quale intenda usucapire la piena proprietà, è onerato di dimostrare di aver compiuto tutti gli atti idonei ad esprimere, in concreto, il suo diritto di proprietà su detto cespite, e dunque di aver escluso i terzi dal relativo godimento.

Si può quindi concludere che, poiché l’attività di coltivazione è pienamente compatibile con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale (un accordo, un contratto o anche sulla mera tolleranza del proprietario), non esprime un’attività di per sé idonea a realizzare l’esclusione dei terzi dal godimento del bene, poiché solo l’escludere i terzi costituisce l’espressione tipica del diritto di proprietà.

Dovrà quindi il soggetto coltivatore (ad esempio chi originariamente era affittuario del terreno e, scaduto il contratto, ha continuato a coltivare il fondo senza più corrispondere il canone e senza che il proprietario intervenisse per ottenere la riconsegna del terreno) deve attuare ulteriori comportamenti che – in modo inequivoco – evidenzino il possesso “uti dominus”.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

sul ricorso 6682/2017 proposto da:

S.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI n. 146, presso lo studio dell’avvocato EZIO SPAZIANI TESTA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DIEGO CORNACCHIA;

– ricorrente –

contro

M.T., G.M., e GR.MO., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA G. P. DA PALESTRINA n. 63, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA CONTALDI, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato FAUSTO MARELLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 384/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 31/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/12/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Svolgimento del processo

 

Con atto di citazione notificato nel giugno 2003 M.T., G.M. e Gr.Mo. evocavano in giudizio S.C. innanzi il Tribunale di Busto Arsizio, invocando l’accertamento dell’intervenuta usucapione, in loro favore, della piena proprietà di un fondo sito nel territorio del Comune di (OMISSIS). Nella resistenza della convenuta, il Tribunale, con sentenza n. 455/2016, rigettava la domanda, ritenendo insufficiente, ai fini della prova del possesso ad usucapionem, la mera coltivazione del fondo.

Interponevano appello avverso detta decisione le originarie attrici e la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, n. 384/2017, resa nella resistenza della S., riformava la decisione di prime cure, accogliendo la domanda di usucapione.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione S.C., affidandosi ad un unico motivo, articolato in diversi profili.

Resistono con controricorso M.T., G.M. e Gr.Mo..

La parte controricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Motivi della decisione

 

Con il l’unico motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141, 114, 1158, 1159, 1165 c.c., artt. 184, 346, 115, 116, 246 e 346 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo. La censura, in realtà, si articola in sei distinti profili.

In primo luogo, la S. contesta l’affermazione secondo cui il teste D., che aveva curato i suoi interessi in passato, aveva un potenziale interesse alla causa e fosse dunque inattendibile. In secondo luogo, la ricorrente si duole della mancata considerazione, da parte della Corte distrettuale, che l’occupazione del terreno da parte degli odierni controricorrenti, e prima di essi del loro dante causa, era dovuta a mera tolleranza della S., come – tra l’altro – confermato proprio dalla testimonianza D.. In terzo luogo, la S. lamenta l’erronea valorizzazione, da parte del giudice di seconda istanza, della semplice coltivazione del fondo, che di per sè non costituirebbe elemento sufficiente ai fini della prova del possesso utile ad usucapionem. In quarto luogo, la ricorrente si duole dell’erronea valutazione delle dichiarazioni da lei rese in sede di interrogatorio. In quinto luogo, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia erroneamente configurato l’usucapione del terreno ai sensi dell’art. 1159 c.c., senza considerare che la coltivazione del fondo non rileva ai fini della prova del possesso utile ad usucapire. Infine, la S. contesta la ricostruzione operata dal Giudice di merito, poichè gli odierni controricorrenti potevano al massimo essere ritenuti meri detentori dell’immobile, ma non possessori.

Il terzo, quinto e sesto profilo dell’unica articolata doglianza in esame, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

Va, sul punto, ribadito il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui non è sufficiente la mera coltivazione del fondo, ai fini della prova del possesso utile ad usucapionem, perchè essa “…non esprime in modo inequivocabile l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus; costituisce, pertanto, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, l’intero complesso dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare l’attività di chi si pretende possessore, ma considerando anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento concretamente esercitato del proprietario” (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 6123 del 05/03/2020, Rv. 657277; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18215 del 29/07/2013, Rv. 627301).

La coltivazione deve quindi essere accompagnata da “univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus; l’interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17376 del 03/07/2018, Rv.649349; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4404 del 28/02/2006, Rv. 587753, secondo cui “L’accertamento, in concreto, degli estremi dell’interversione del possesso integra un’indagine di fatto, rimessa al giudice di merito, sicchè nel giudizio di legittimità non può chiedersi alla Corte di Cassazione di prendere direttamente in esame la condotta della parte, per trarne elementi di convincimento, ma si può solo censurare, per omissione o difetto di motivazione, la decisione di merito che abbia del tutto trascurato o insufficientemente esaminato la questione di fatto della interversione”).

Nel caso di specie, la Corte di Appello non ha condotto alcuna valutazione ulteriore rispetto alla verifica del mero fatto che i controricorrenti avessero coltivato il terreno, ed ha erroneamente ritenuto questo elemento sufficiente ai fini della prova del possesso utile ad usucapionem. Merita di essere precisato, in proposito, che il possesso utile ai fini della configurazione dell’acquisto del diritto di proprietà a titolo originario per usucapione non si risolve nella mera utilizzazione del fondo, ma deve concretarsi in atti idonei ad esprimere, in concreto, l’esercizio della signoria uti dominus sul bene. Sotto questo profilo, poichè la connotazione principale del diritto di proprietà è la facoltà di escludere i terzi dal godimento del bene che ne costituisce oggetto (cd. ius excludendi alios), il giudice di merito deve accertare, in concreto, se il soggetto che si trova in relazione materiale con la res abbia dimostrato non soltanto di averlo utilizzato, ma di averne, per l’appunto, precluso ai terzi la fruizione.

Con specifico riferimento ai fondi agricoli, che – per loro stessa natura – sono destinati allo sfruttamento agricolo, si pone il problema della modalità con la quale, in concreto, lo ius excludendi alios possa, o debba, essere manifestato. Al riguardo, va considerato che la più eclatante espressione del diritto di proprietà è rappresentata dalla facoltà di chiudere il fondo, ai sensi dell’art. 841 c.c.. La recinzione materiale del fondo agricolo, quindi, costituisce la più importante espressione dello ius excludendi alios. Ciò non esclude, naturalmente, che la prova del comportamento idoneo ad escludere i terzi dal godimento del bene possa essere conseguita aliunde; tuttavia, è certo che la recinzione materiale del terreno costituisca una manifestazione non equivoca della volontà del soggetto che si trovi in relazione materiale con il bene di escludere i terzi da qualsiasi relazione con esso. Pertanto, colui che si trovi nella detenzione di un fondo agricolo, del quale intenda usucapire la piena proprietà, è onerato di dimostrare di aver compiuto tutti gli atti idonei ad esprimere, in concreto, il suo diritto di proprietà su detto cespite, e dunque di aver escluso i terzi dal relativo godimento; esclusione che trova la sua primaria espressione, come già detto, nella recinzione del fondo.

In conclusione, può essere affermato il seguente principio di diritto: “In relazione alla domanda di accertamento dell’intervenuta usucapione della proprietà di un fondo destinato ad uso agricolo, non è sufficiente, ai fini della prova del possesso “uti dominus” del bene, la sua mera coltivazione, poichè tale attività è pienamente compatibile con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale, o sulla mera tolleranza del proprietario, e non esprime comunque un’attività idonea a realizzare l’esclusione dei terzi dal godimento del bene, che costituisce l’espressione tipica del diritto di proprietà. A tal fine, pur essendo possibile, in astratto, per colui che invochi l’accertamento dell’intervenuta usucapione del fondo agricolo, conseguire senza limiti la prova dell’esercizio del possesso “uti dominus” del bene, la prova dell’intervenuta recinzione del fondo costituisce, in concreto, la più rilevante dimostrazione dell’intenzione del possessore di esercitare, sul bene immobile, una relazione materiale configurabile in termini di ius excludendi alios, e dunque di possederlo come proprietario, escludendo i terzi da qualsiasi relazione di godimento con il cespite predetto”.

L’accoglimento, nei termini indicati, del terzo, quinto e sesto profilo dell’unico motivo di ricorso, implica l’assorbimento dei restanti profili. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Milano, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità. Il giudice del rinvio si conformerà al principio di diritto espresso in motivazione.

P.Q.M.

 

la Corte accoglie il terzo, quinto e sesto profilo dell’unico motivo di ricorso, dichiarando assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa alla Corte di Appello di Milano, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

Avv. Andrea Ferrari


Avv. Andrea Ferrari

Avvocato, iscritto presso l’Ordine di Asti.


Dopo una breve esperienza presso l’Ufficio del Personale di Ferrero S.p.A., Direzione Operations, compresi che la vita aziendale non mi apparteneva e la mia vera vocazione era la professione forense.

Sin dal periodo di pratica professionale, incentrai i miei studi nell’ambito del diritto civile. Successivamente, appassionato per il comparto agroalimentare e fortemente presente nel territorio, decisi di focalizzare maggiormente la mia attenzione allo studio del diritto agrario.

Non pago della formazione, decisi di implementare le mie conoscenze in materia agraria, per cui frequentai due Master: il primo in diritto agroalimentare ed il secondo in diritto vitivinicolo.

Oggi esercito – con dedizione ed a tempo pieno – la professione forense.

Membro del Comitato scientifico del Centro Studi sul Diritto e le Scienze dell’Agricoltura, alimentazione e ambiente (CEDISA)

Coordinatore per la Regione Piemonte dell’Osservatorio del Diritto Agroalimentare e Vitivinicolo

Membro della Commissione scientifica in materia di diritto agrario alimentare e vitivinicolo, costituita presso il Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Asti (di cui sono promotore e referente).

Consulente della Confederazione Italiana Agricoltori della Provincia di Cuneo, Asti ed Alessandria (dal 2013).

Mediatore e responsabile della sede di Alba dell’Organismo di Mediazione INMEDIAR (dal 2019).


Materie ed ambiti di attività

Diritto Agrario, Alimentare e Vitivinicolo
Modelli organizzativi ex D.lgs 231/01
Proprietà e diritti reali in genere
Successioni e Divisioni
Contrattualistica
Recupero del credito ed Esecuzioni Civili
Responsabilità Civile in genere e Azioni Risarcitorie
Separazioni e Divorzi
Diritto del Consumatore


FORMAZIONE

Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare –UNIUPO – CAFLA 2018
Master breve in Diritto Vitivinicolo (Euroconference) – Torino
Corso di Diritto Alimentare Comparato – Dipartimento di ESOMAS presso Università di Torino
Master breve in Diritto Agroalimentare (Altalex) – Parma
Istituto di Studi Giuridici di Cuneo – Corso di formazione forense post-universitaria
Università degli Studi di Torino – Facoltà di Giurisprudenza (votazione 110/110)

 


DOCENZE AVV. ANDREA FERRARI

Relatore al Corso di Alta Formazione in Legislazione Alimentare tenutosi presso Università del Piemonte Orientale (UniUPO) coordinato dal Prof. Avv. Vito Rubino – Intervento sul tema della cambiale agraria e pegno rotativo (anno 2020).

Relatore al Seminario Jean Monnet di Diritto Comparato dei Consumi Alimentari, tenutosi dal 04/04/2018 al 16/06/2018 presso l’Università degli Studi di Torino, Dip. di ESOMAS (Coordinatore del Seminario Prof. Avv. Oreste Calliano)

APRO Formazione Professionale ALBA-BAROLO
(docente a contratto di diritto civile e pubblico, educazione civica, legislazione turistica)


CONFERENZE AVV. ANDREA FERRARI

Webinar sul vino naturale, con il patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di Chiedi e del Consorzio Vini d’Abruzzo, 26 febbraio 2021.

Fondamenti di diritto alimentare e vitivinicolo, webinar organizzato da Ascheri Academy, febbraio 2021.

Profili civilistici nel passaggio generazionale delle strutture agricole, relazione al convegno organizzato da UGIVI e tenutosi presso l’Enoteca Regionale Piemontese Cavour del Castello di Grinzane Cavour su: “Il passaggio generazionale nelle aziende vitivinicole: strumenti, rischi e opportunità tra gestione delle struttura agricola, pianificazione successoria e tutela degli assetti proprietari“, 2019.

Testo unico della Vite e del Vino, convegno organizzato dalla Confederazione Italiana Agricoltori di Alba, 2017.


Partnership con Ascheri Academy


RUCI Registro Unico Controlli Ispettivi

Mediante il decreto MIPAAF del 22 luglio 2015 è stato istituito il RUCI Registro Unico  Controlli Ispettivi, per rendere più efficiente e meno invasiva l’attività ispettiva presso le imprese agricole, consentendo alle autorità competenti di condividere i dati a loro disposizione.


Scopo del RUCI Registro Unico Controlli Ispettivi è evitare evitare la duplicazione dei controlli nelle aziende, mettendo a disposizione di tutte le autorità competenti gli esiti delle verifiche già eseguite da una di loro.

Il RUCI è un archivio informatico, operante a due livelli (regionale e nazionale) che dialogano tra loro.

Grazie a tale nuovo strumento, gli organismi di controllo saranno in grado di programmare le ispezioni e le verifiche di loro rispettiva competenza in modo più razionale, senza pregiudicare l’esecuzione dei controlli straordinari ed urgenti.

Per ogni tipo di controllo eseguito in azienda, nel RUCI vengono annotati i seguenti dati:

      • data;
      • anno di riferimento;
      • ente competente;
      • ente esecutore;
      • nominativo del controllore;
      • impresa agricola controllata;
      • settore;
      • tipologia;
      • documentazione controllata o riproduzione elettronica dei verbali;
      • esiti;
      • estremi dei verbali o riproduzione elettronica dei verbali.

Nel RUCI confluiranno quindi i dati relativi ai controlli operati da:

      • organi di polizia,
      • organi di vigilanza,
      • organismi pagatori,
      • organismi privati autorizzati allo svolgimento di controlli a carico delle imprese agricole.

Qualunque funzionario, prima di effettuare una nuova ispezione, avarà quindi modo di verificare attraverso il RUCI gli esiti dei controlli precedentemente svolti da altri organismi o autorità nella stessa azienda, in modo da evitare sovrapposizioni, cosa che consentirà maggiore efficenza nonché di limitare gli ostacoli all’attività di impresa.

Nel RUCI verranno inseriti anche tutti i controlli sulle imprese vitivinicole, anche qualora non si tratti di imprese agricole: ciò per effetto dell’art.63 del Testo Unico Vino.


Nonostante le previsioni normative, però, sembra che sul piano operativo il RUCI Registro Unico Controlli Ispettivi stenti a decollare.

Ciò si ripercuote negativamente:

      • sulle imprese vitivinicole, poiché non riescono a liberarsi di tanta inutile burocrazia, costituita dalla conseguente ripetitività di controlli;
      • sulla Pubblica Amministrazione, poiché si moltiplicano i costi per controlli in realtà inutili.

Purtroppo, in senso negativo e sempre con riferimento ai controlli (in questo caso per i vini a denominazione geografica), va altresì notato che nemmeno è stato ancora attuato il cosidetto “controllore unico”, il quale rappresentava uno degli elementi di forte novità del Testo Unico Vino.


Strumento funzionale ai controlli è ovviamente il registro di carico e scarico dei prodotti vitivinicoli.

A decorrere dal 1 genneaio 2017, salve alcune eccezioni, è obbligatorio tenere in forma elettronica i registri nel settore vitivinicolo.

Menzioni geografiche aggiuntive

Menzioni geografiche aggiuntive vs. sotto-zone: quale differenza?


Le unità geografiche aggiuntive (che, indicate in etichetta, costituiscono le cosiddette menzioni geografiche aggiuntive) corrispondono a porzioni più delimitate del territorio di una denominazione di origine.

Lo stesso vale per le sue sotto-zone.

Sancisce al riguardo il Testo Unico Vino (art.29):

2. Solo le denominazioni di origine possono prevedere al loro interno l’indicazione di zone espressamente delimitate, comunemente denominate sottozone, che devono avere peculiarita’ ambientali o tradizionalmente note, essere designate con uno specifico nome geografico, storico-geografico o amministrativo, essere espressamente previste nel disciplinare di produzione ed essere disciplinate piu’ rigidamente.

3. I nomi geografici che definiscono le indicazioni geografiche tipiche devono essere utilizzati per contraddistinguere i vini derivanti da zone di produzione, anche comprendenti le aree a DOCG o DOC, designate con il nome geografico relativo o comunque indicativo della zona, in conformita’ della normativa nazionale e dell’Unione europea sui vini a IGP.

4. Per i vini a DOP e’ consentito il riferimento a unita’ geografiche aggiuntive, piu’ piccole della zona di produzione della denominazione, localizzate all’interno della stessa zona di produzione ed elencate in una lista, a condizione che il prodotto sia vinificato separatamente e appositamente rivendicato nella denuncia annuale di produzione delle uve prevista dall’articolo 37. Tali unita’ geografiche devono essere espressamente delimitate e possono corrispondere a comuni, frazioni o zone amministrative ovvero ad aree geografiche locali definite. La lista delle unita’ geografiche aggiuntive e la relativa delimitazione devono essere indicate in allegato ai disciplinari di produzione in un apposito elenco.

Come sancito dal Consiglio di Stato (sentenza 23395/2016 nel caso “Barolo – Cannubi”), la principale differenza tra unità geografiche aggiuntive e sotto-zone consiste nella circostanza che l’introduzione di ulteriori restrizioni al disciplinare di produzione è richiesto solo per i vini realizzati all’interno delle seconde (e cioè per i vini portanti in etichetta anche il nome di una sotto-zona, oltre quello della denominazione).

Inoltre, al contrario delle unità geografiche aggiuntive, le sotto-zone di una DOP possono divenire DOP o DOCG autonome, in base a quanto dispone sempre il Testo Unico Vino (art.29):

5. Le zone espressamente delimitate o sottozone delle DOC possono essere riconosciute come DOC autonome, alle condizioni di cui all’articolo 33, comma 2, e possono essere promosse a DOCG separatamente o congiuntamente alla DOC principale.


Per quanto concerne l’indicazione della “vigna”, così dispone il Testo Unico Vino (art.34):

10. La menzione «vigna» o i suoi sinonimi, seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale, puo’ essere utilizzata solo nella presentazione o nella designazione dei vini a DO ottenuti dalla superficie vitata che corrisponde al toponimo o al nome tradizionale, purche’ sia rivendicata nella denuncia annuale di produzione delle uve prevista dall’articolo 37 e a condizione che la vinificazione delle uve corrispondenti avvenga separatamente e che sia previsto un apposito elenco tenuto e aggiornato dalle regioni mediante procedura che ne comporta la pubblicazione. La gestione dell’elenco puo’ essere delegata ai consorzi di tutela riconosciuti ai sensi dell’articolo 41, comma 4.

Menzioni "Vigna" della Regione Piemonte

Atlante parentele vitigni italiani

L’atlante parentele vitigni italiani costuituisce  il risultato di un’estesa indagine genetica sul germoplasma viticolo italiano.


Frutto di uno studio che ha coinvolto vari istituiti universitari, l’atlante parentele vitigni italiani è stato pubblicato nel 2021 su sito “Frontiers in plant science.

Il lavoro rappresenta il risultato di uno studio che ha esplorato i profili genetici di centinaia di varietà delle specie Vitis vinifera subsp. sativa and Vitis hybrids.

Come si legge nella presentazione di detto studio, la rete di parentela risultante ha suggerito che il germoplasma della vite italiano tradizionale proviene in gran parte da poche varietà centrali geograficamente distribuite in diverse aree di influenza genetica: “Strinto porcino” e la sua prole “Sangiovese”, “Mantonico bianco” e “Aglianico” principalmente come varietà fondatrici dell’Italia sudoccidentale (IT-SW); Riviera Adriatica Italiana (IT-AC); e Centro Italia con la maggior parte delle varietà discendenti di “Visparola”, “Garganega” e “Bombino bianco”; “Termarina (Sciaccarello)” “Orsolina” e “Uva Tosca” come le principali varietà dell’Italia nord-occidentale (IT-NW) e dell’Italia centrale.

La ricostruzione genealogica attraverso rapporti tra fratello e sorella di secondo grado ha evidenziato il ruolo chiave di alcune cultivar e, in particolare, è apparsa chiara la centralità della “Visparola” nell’origine del germoplasma italiano. Si potrebbe ipotizzare un’ipotetica migrazione di questa varietà all’interno della Penisola Italiana da Sud a Nord lungo il versante orientale, così come del “Sangiovese” dal Sud al Centro Italia lungo il versante occidentale. Inoltre, è stato anche evidenziato che, tra i principali fondatori di varietà di moscato, il “Moscato bianco” e lo “Zibibbo (Moscato d’Alessandria)” si sono diffusi in tutta Italia, con un alto contributo da parte dei primi al germoplasma del Nord-Ovest della penisola.


Parentage Atlas of Italian Grapevine Varieties


Uno studio sul genoma di 204 specie di Vitis vinifera rivela invece l’origine dei vitigni europei.