Un point c’est tout!

UN POINT C’EST TOUT! – Il lento deperimento dei vigneti e la decandenza dei terroir.


Un point c’est tout è un grido di allarme lanciato dal vivaista francese Lilian Bérillon.

I grandi vigneti stanno correndo il pericolo di ridursi drasticamente, non solo a causa del cambiamento climatico, ma anche per la carenza di un adeguato patrimonio genetico nelle viti piantate nei vigneti stessi, a causa dei metodi industriali (clonazione) con cui esse vengono prodotte.

Ciò si ripercuote sullo stesso terroir: viti siffatte non sono in grado di conferire adeguate qualità ai vini ottenuti con le loro uve, per cui viene meno uno degli elemento essenziali affinchè un terroir possa esprimere le sue potenzialità nei relativi vini.

La perdita di patrimonio genetico nelle viti prodotte tramite clonazione

 

Così viene presentato il documentario/denuncia (realizzato nell’anno 2023 e pubblicato nel febbraio 2024) sul sito del suo autore:

“Dans un monde viticole où, depuis des décennies, la qualité du végétal n’est parfois plus qu’un détail dans l’équation globale, montrer qu’une autre voie est possible relève du parcours du combattant.

Depuis les années 1970 en effet, le monde des pépiniéristes a mis en place un système très productiviste, permettant de proposer des plants bon marchés greffés de manière industrielle.

« Débourser 1€ ou 1,3€ pour un pied de vigne est devenu la norme » rappelle Lilian Bérillon. Pourtant, derrière ces prix très accessibles, se cache une réalité pour le moins préoccupante.

Les plants de vigne clonés fournis, outre leur absence de diversité génétique (et donc leur comportement identique face aux conditions climatiques) s’avèrent généralement plus sensibles aux différentes maladies du bois.

Une partie du vignoble français (la situation est exactement la même chez nos voisins italiens ou espagnols) dépérit ainsi rapidement.

« Les taux de mortalité observés sont très conséquents dès les premières années, notamment sur les sauvignons blancs et les cabernets, parfois de l’ordre de 2% ou 3% par an » explique Lilian.

« Après une vingtaine d’années, les vignerons préfèrent souvent arracher et replanter ».

Or, ce sont aussi les vieilles vignes qui permettent d’exprimer davantage de complexité ainsi qu’une vraie identité dans les vins.

Qu’adviendra-t-il donc demain quand les vignes anciennes, plantées avant les années 1970 et la généralisation du clonage des plants, mourront ?

Et quelle viticulture souhaite-t-on porter aujourd’hui ?

C’est là que le projet de Lilian Bérillon prend tout son sens”.

 

 

Le nuove tecniche genomiche (NGT ovvero le tecniche di evoluzione assistita)

In questo dibattito si inserisce anche la “nuova frontiera”, rappresentata dalla possibilità di utilizzare la cosiddetta «forbice molecolare» ideata da Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna (insignite del Premio Nobel per la chimica nell’anno 2020) nella produzione di nuove varietà vegetali, e quindi anche ibridi di vite.

Si tratta di un rivoluzionario metodo di editing del genoma (definito «Crispr/Cas9»), che consente di modificare il DNA di piante ed animali  in modo preciso e specifico.

Tuttavia, in base all’attuale legislazione dell’Unione Europea, i vegetali ottenuti tramite il metodo «Crispr/Cas9» sono equiparati agli OGM.

Per modificare l’attuale situazione, a livello europeo è attualmente in corso una procedura legislativa: se portata a termine,  le piante (ed i prodotti da loro derivati) NGT – che potrebbero essere presenti anche in natura o venire prodotte mediante tecniche di selezione convenzionali – riceverebbero un trattamento sostanzialmente analogo a quello per le piante convenzionali.

Resta da capire se ciò consentirà o meno di superare i problemi denunciati da Lilian Bérillon.

 

denominazioni origine vini inadeguate

Secondo il presidente del Comitato vini DOC (Attilio Scienza), l’attuale disciplina sulle denominazioni di origine è inadeguata.


Denominazioni origine vini inadeguate?

Approccio attuale.

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Le fondamenta di tutto quanto sino ad oggi sostenuto in tema di denominazioni di origine (puntualmente supportato dall’intera disciplina del diritto vitivinicolo europeo ed italiano), è riconducibile all’idea che esse rappresentano una indicazione di qualità dei vini, espressa in termini oggettivi nel loro disciplinare, il quale ne individua la rispettiva tipicità

La critica.

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Invece, a parere di Attilio Scienza, attuale presidente del Comitato vini DOC (questi i punti a nosto parere maggiormente salieti del discorso, il cui riassunto più esteso è reperibile a questo link, da cui è tratto quanto qui riportiamo):

“La grande reputazione nell’antica Grecia del vino della Tracia, conosciuto come il vino di Dioniso non era legata alla vocazione per la viticoltura di quel territorio, peraltro freddo, ma ai commerci di ambra e stagno sicuramente più importanti del vino ed a un popolo di commercianti navigatori, i Focesi, che organizzavano anche la comunicazione di questo vino. … 

… In passato un vino non era famoso per le sue caratteristiche organolettiche interessanti, ma per la possibilità di essere venduto. Non a caso le grandi denominazioni nascono dove ci sono strade e porti, non per la bontà del suolo, del clima o per la capacità del produttore.

Questa è l’ambiguità del terroir di cui siamo ancora vittime – ha proseguito Scienza – nessuna denominazione attuale, né nostra né francese ha questi elementi ...

… Oggi una Doc è mito o realtà ?

Da qui dobbiamo partire per capire cosa significa oggi la vocazione.

La qualità si può fare dappertutto, è diventato un prerequisito. L’eccellenza, che vuol dire “spingere fuori”, è a latere della qualità data dal terroir e si sostanzia nei valori etici ed estetici, nel valore/onestà di chi produce e nella capacità di capirlo da parte di chi consuma.

Questo rappresenta il salto di qualità che dobbiamo dare ai contenuti di un terroir.

Le strategie per tornare ai valori orginari della vocazione del terroir sono l’autenticità, intesa come capacità di interpretare il territorio con un vino, e non è facile per nessuno.

In passato i terroir avevano un solo vino e così dovrebbe tornare ad essere: fare un solo vino e farlo bene. Oggi ci sono doc in cui si fanno 10-20 vini: solo uno è autentico gli altri servono ad allargare l’offerta per coprire tutte le occasioni di consumo. …

 

Qualche considerazione “a caldo”

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Quanto osserva Attilio Scienza rappresenta uno spunto di riflessione tanto  interessante quanto onesto , ma costituisce altresì un inquietante indizio che tutti i discorsi “filosofici” sulla tipicità dei vini e sulla loro qualità legata al territorio, che costituisce la loro denominazione protetta, siano oggi in realtà piuttosto vuoti nella loro sostanza.

Come dice Attilio Scienza, se la qualità “si può fare dappertutto” e se quella “data dal terroir si sostanzia nei valori etici ed estetici”, cosa differenzia allora un vino a denominazione (che rispetta tali criteri) con quello prodotto da una cantina che effettivamente osserva rigorosi parametri ESG (i quali non sono certo quelli attualmente previsti dal disciplinare italiano sulla sostenibilità, specie per quanto concerne gli aspetti sociali e di governance)?

Ancora: è allora più corretto l’approccio giuridico seguito negli Stati Uniti (modificato solo per effetto di un apposito accordo internazionale con l’Unione Europea), secondo cui le denominazioni vanno protette solo quando sia in concreto appurata la conoscenza della loro notorietà in capo ai consumatori?

In altre parole: se i consumatori non sono in grado di capire/percepire la qualità di un territorio, riconducibile ai criteri proposti da Attilio Scienza, che senso ha proteggerla da usurpazioni?

Infine: la protezione per le denominazioni di origine va quindi riconosciuta solo ai territori che effettivamente rispettano rigorosi ciriteri etici, da un canto, e tutelano in modo scrupoloso il territorio, dall’altro?

Se fosse così, quale sorte va allora riservata ai territori ove la biodiversità è stata seriamente pregiudicata?

 

La riforma della disciplina europea su DOP e IGP

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In tale contesto, si inserisce l’attuale riforma delle regole europee in materia di riconoscimento e tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche per i prodotti alimentari, vini (compresi quelli aromatizzati) e le bevande spiritose.

Raggiunto nel dicembre 2023 l’accordo in materia tra le istituzioni europee, il nuovo regolamento verrà emanato il prossimo anno.

 

 

… il dibattito è aperto!

 

Distillazione crisi vino 2023

Attivata dal MASAF  la distillazione crisi del vino mediante il DM 0400039 del 28 luglio 2023 (distillazione crisi vino 2023).


Il citato Decreto Ministeriale MASAF del 28 luglio 2023 porta le disposizioni nazionali di attuazione del regolamento delegato (UE) n. 2023/1225 della Commissione, per quanto riguarda la misura della distillazione di crisi per la Campagna 2022/2023.

Secondo la Commissione Europea, ciò si giustifica poiché:

L’attuale situazione economica è caratterizzata da un costo della vita generalmente elevato, che incide sul consumo e sulle vendite di vino, e da un aumento dei costi dei fattori di produzione per la produzione agricola e la trasformazione del vino, che incidono sui prezzi del vino. Tali circostanze minacciano di perturbare notevolmente il mercato vitivinicolo dell’Unione in quanto colpiscono diversi importanti Stati membri produttori, aumentando le scorte di vino disponibili a livelli che rischiano di diventare insostenibili in vista della prossima stagione di vendemmia e produzione e causando difficoltà finanziarie e problemi di liquidità ai produttori di vino.

Quali vini concerne la distillazione di crisi?

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Sono ammessi alla misura i vini rossi o rosati (esclusi quindi i vini bianch),

      • aventi denominazione di origine
      • aventi indicazione geografica
      • senza denominazione di origine o indicazione geografica.

Requisiti per accedere alla distillazione di crisi

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Beneficiari i produttori di vino, in regola con la presentazione delle dichiarazioni vitivinicole.

Il vino da avviare alla distillazione deve essere detenuto alla data del 31 maggio 2023 e risultare dai registri di cantina alla stessa data.

L’alcool, derivante dalla distillazione, è utilizzato esclusivamente per uso industriale, in particolare per la produzione di disinfettanti e di farmaci, o per fini energetici: una triste fine per un vino DOC e per tutta la poesia che esso comporta!

Modalità operative

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Operazioni di distillazione: da eseguirsi entro il 15 ottobre 2023.

Importo dell’aiuto:

      • stabilito dalla Regione interessata, in base a criteri oggettivi e non discriminatori
      • non può essere superiore all’80% del prezzo medio mensile più basso rilevato nella campagna 2022/2023.
      • richiesta dell’aiuto:  entro il 10 agosto 2023 va presentata ad Agea OP, con modalità telematica, allegando il Contratto di distillazione non trasferibile.

Ogni produttore può stipulare al massimo due contratti di distillazione per i volumi di vino giacenti in cantina.

In base al contratto di distillazione, il distillatore deve trasformare il vino in alcool, avente almeno la gradazione di 92°, entro il 15 ottobre 2023.

A garanzia del corretto conferimento del vino da avviare alla distillazione, il produttore dovrà presentare apposita garanzia fidejussoria.

Che senso ha la distillazione crisi vino 2023?

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Forse va fatta una riflessione sincera e profonda, sopratutto se si considera che il problema delle eccedenze è ben più datato dell’aggressione russa all’Ucraina.

La distillazione di crisi del vino era la regola nella seconda metà del secolo scorso, che si sperava di non vedere più per effetto delle profonde trasformazioni apportate alla PAC (Politica Agricola Comune) nell’anno 2008, quando si passò da un sistema di aiuti al reddito degli agricoltori agli quello degli aiuti alla commercializzazione dei prodotti.

Distillare vino (ancor più se DOC) è assurdo per molteplici ragioni.

Sul piano morale, è orrendo vedere distruggere il cibo.

Sul piano politico ed economico, ė inaccettabile usare il denaro dei contribuenti per operazioni la cui finalità è mantenere alto il prezzo dei prodotti che i contribuenti stessi, in qualità consumatori, cercano poi di acquistare (cosa preclusa si poveri, cui resta l’aceto).

Sinceramente, ciò pare ancora più incomprensibile, in un momento storico in cui si lotta contro l’inflazione (alzando i tassi di interesse, con tutto ciò che consegue di negativo), in Europa e nel mondo:  il prezzo del vino rientra nel calcolo dell’inflazione!!!.

 

Distillazione di crisi: un assurdo nell’ottica della sostenibilità.

 

Passiamo ad una critica in ottica “più moderna”.

E’ sostenibile sul piano sociale un vino, il cui prezzo viene artificialmente mantenuto alto?

Sul piano della sostenibilità ambientale, è ridicolo promuovere il vino sostenibile, se il sistema accetta (ed anzi richiede) che venga distrutto quanto in precedenza prodotto, esercitando un impatto sull’ambiente!

Infatti, quanta C02 é stata riversata nell’aria per coltivare l’uva e poi trasformarla nel vino che, per essendo buono, verrà distrutto?

Quanti fitofarmaci sono stati dispersi nelle vigne?

Nel frattempo, la superficie agricola destinata a produrre vino aumenta (seguendo le regole sull’autorizzazione a nuovo impienti vitati – ai sensi degli art. 62 e seguenti del Regolamento UE/1308/2013 – che erano state decise nel momento in cui si pensò fosse teminato il periodo della distillazione di crisi).

Tutto ciò, per cosa?

Ad ogni modo, l’Italia non è sola, poiché anche la Francia affronta la stessa situazione: 200 milioni di euro sono appena stati stanziati per la distillazione di crisi di vino francese.

Però, in questo caso, non vale il detto “mal comune mezzo gaudio”, ma il contrario: il problema ha purtroppo dimensione ancora maggiore.

Nel frattempo, il nostro pieneta non attende più un rinsavimento …

 

distillazione crisi vino 2023

 

Insomma: vogliamo favorire il riscaldamento globale, producendo vino che poi getteremo nella spazzatura (producendo altra CO2 per farlo)?

 

 

 

Ibridi incroci varietali vinificazione

Limiti legali all’uso di incroci / ibridi varietali nella vinificazione (ibridi incroci varietali vinificazione)


Secondo la legislazione europea (art.81 del Regolamento UE/1308/2013), compete agli Stati membri determinare quali sono le varietà di uve da vino (e cioè i vitigni le cui cui bacche sono ammesse alla vinificazione a fini commerciali), a condizione però che esse appartengano alla specie Vitis vinifera o provengano da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis (ibridi incroci varietali vinificazione), fermo poi il divieto all’uso delle varietà Noah, Othello, Isabelle, Jacquez, Clinton e Herbemont.

Con la riforma della PAC 2023/2027 è stato peraltro rimosso il divieto di utilizzare i suddetti incroci per la produzione dei vini DOP e IGP (art.93 di detto regolamento UE), che in precedenza consentiva invece l’impiego delle sole varietà del genere Vitis vinifera.

In Italia la competenza in questione spetta alle Regioni, alla luce dell’accordo concluso tra le medesime e lo Stato il 25 luglio 2002. Di conseguenza, ciascuna Regione procede ad individuare quali sono le varietà di uve da vino coltivabili sul proprio territorio, nel rispetto dei limiti unionali sopra indicati.

Ovviamente, per quanto riguarda le singole denominazioni di origine e indicazioni geografiche, è alla fine il relativo disciplinare a determinare la specifica base ampelografica dei rispettivi vini, purché nell’ambito dei limiti unionali e regionali.

Breeding: tecniche genetiche per realizzare incroci – ibridi e disciplina degli OGM

In tale contesto normativo, vi è dunque ampio spazio per il ricorso agli incroci (“breeding”), i quali possono presentare qualità di resistenza – sia agli agenti patogeni che alle avversità climatiche, prima fra tutte la siccità – superiori rispetto alle qualità da cui derivano e, se adeguatamente selezionati, produrre frutti con valide caratteristiche qualitative.

Il modo tradizionale per ottenere gli incroci è quello discendente dalla ibridazione naturale, e cioè attraverso tecniche botaniche che – usando i sistemi riproduttivi esistenti in natura – consentono di ottenere un nuovo vegetale, ove alcune caratteristiche genetiche sono variate rispetto a quelle delle piante da cui esso è originato.

Esempi famosi sono il Bianco Manzoni (incrocio tra il Riesling renano e Pinot bianco) e il Muller Thurgau (incrocio tra Riesling renano e Madeleine Royale). I tempi medi di realizzazione variano tra i 15 ed i 25 anni.

L’ibridazione naturale ha così condotto alla creazione dei cosiddetti PIWI, il quale  è un acronimo che viene dal tedesco “pilzwiderstandfähig”, significante  “viti resistenti ai funghi”.

La scienza moderna ha però capito come ottenere mutamenti genetici nelle piante anche mediante altre metodologie (ibridi incroci varietali vinificazione) .

Negli anni ‘90 si è iniziato a parlare di OGM (organismi genericamente modificati), ove particolari tecniche permettono di creare nuovi individui (piante o animali) con un patrimonio genetico variato, frutto dell’inserzione – tendenzialmente casuale quanto alla sua “localizzazione” nel genoma – di elementi esogeni nel loro DNA, cosa non possibile in natura.

Al contrario degli Stati Uniti, nel disciplinare la loro introduzione in natura, l’Unione Europea ha assunto un atteggiamento ispirato al criterio di precauzione, secondo cui ciò può avvenire solo dopo un’attenta ed approfondita valutazione dei rischi possibili per l’ambiente e la salute (Direttiva CE/18/2001, art.4).

In particolare, detta direttiva definisce in modo molto ampio un OGM, intendendo per tale “un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale”.

Inoltre, è completamente vietato l’uso di OGM nella produzione biologica (Regolamento UE/848/2018, art.5).

Le varietà vegetali ottenute con le tecniche Crispr/Cas9 sono considerate OGM.

A parte le guerre commerciali con gli Stati Uniti, nei venti anni successivi sono sostanzialmente avvenute due cose.

In primo luogo, la crisi climatica è purtroppo divenuta a tutti notoria ed ha accelerato il suo corso.

In secondo luogo, ad opera di Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna (insignite del Premio Nobel per la chimica nell’anno 2020) è stata scoperta la cosiddetta “forbice molecolare”, un rivoluzionario metodo di editing del genoma (Crispr/Cas9), che consente di modificare il DNA di piante ed animali in modo preciso e specifico.

In buona sostanza, il ricorso alla tecnica Crispr/Cas9 porta a risultati alquanto analoghi a quanto avviene in natura (ma in tempi molto più brevi, circa 3 anni attualmente), nel momento in cui nel genoma di una pianta si inserisce quello di una specie affine, ottenendo così un fenomeno di cisgenesi e non di trangenesi.

Vista però la definizione molto ampia di OGM adottata nel 2001 dalla legislazione comunitaria, la Corte di Giustizia ha correttamente ritenuto (sentenza del 25 luglio 2018, causa C-528/2016) che sono da considerarsi tali anche gli ibridi di vite ottenuti tramite il ricorso alla tecnica Crispr/Cas9. Di conseguenza, il loro inserimento in natura è soggetto alle medesime cautele che a suo tempo sono state volute per il mais trasgenetico.

Il che conseguentemente implica forti limiti all’uso degli ibridi di vite – ottenuti tramite il ricorso alla tecnica Crispr/Cas9 – per la vinificazione, quand’anche gli Stati membri intendessero inserirli nell’elenco delle uve da vino consentite.

Così infatti ha sancito la Corte:

51   … l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/18, in combinato disposto con l’allegato I B, punto 1, a quest’ultima, non può essere interpretato nel senso di escludere dall’ambito di applicazione di tale direttiva organismi ottenuti mediante nuove tecniche o nuovi metodi di mutagenesi, che sono emersi o si sono principalmente sviluppati dopo l’adozione della direttiva in parola. Infatti, un’interpretazione del genere porterebbe a disconoscere l’intenzione del legislatore dell’Unione, riflessa nel considerando 17 di tale direttiva, di escludere dal suo ambito di applicazione solo organismi ottenuti tramite tecniche o metodi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza

52   Tale conclusione è rafforzata dall’obiettivo della direttiva 2001/18 che, come emerge dall’articolo 1 di quest’ultima, mira, conformemente al principio di precauzione, alla tutela della salute umana e dell’ambiente, da un lato, quando si immettono deliberatamente nell’ambiente OGM per uno scopo diverso dall’immissione in commercio all’interno dell’Unione e, dall’altro, quando si immettono in commercio all’interno dell’Unione OGM come prodotti o all’interno di prodotti.

53  Infatti, come previsto dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2001/18 spetta agli Stati membri, nel rispetto del principio di precauzione, provvedere affinché siano adottate tutte le misure atte ad evitare effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente che potrebbero derivare dall’emissione deliberata o dall’immissione in commercio di OGM. Ciò implica in particolare che una siffatta emissione deliberata o immissione sul mercato può avvenire solo al termine di procedure di valutazione dei rischi individuate rispettivamente nella parte B e nella parte C di tale direttiva. Orbene, com’è stato indicato al punto 48 della presente sentenza, i rischi per l’ambiente o la salute umana legati all’impiego di nuove tecniche o nuovi metodi di mutagenesi, ai quali fa riferimento il giudice del rinvio, potrebbero essere simili a quelli risultanti dalla produzione e dalla diffusione di OGM tramite transgenesi. Ne consegue che un’interpretazione della deroga contenuta all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/18, in combinato disposto con l’allegato I B, punto 1, a quest’ultima, che escludesse dall’ambito di applicazione di tale direttiva gli organismi ottenuti mediante tecniche o metodi di mutagenesi, senza alcuna distinzione, pregiudicherebbe l’obiettivo di tutela perseguito dalla direttiva in parola e violerebbe il principio di precauzione che essa mira ad attuare.

La Corte ha poi precisato che analoghi limiti si pongono per inserire gli ibridi varietali ottenuti con la tecnica Crispr/Cas9 nel “catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole“, di cui alla direttiva CE/53/2002:

“67 Ne consegue che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2002/53, e degli obblighi in materia di tutela della salute e dell’ambiente che tale disposizione impone ai fini dell’ammissione delle varietà nel catalogo comune, le varietà geneticamente modificate ottenute mediante tecniche o metodi di mutagenesi come quelli di cui al procedimento principale, fatta eccezione per le varietà ottenute con tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza.

68  Tenuto conto di tutto quanto precede, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2002/53 deve essere interpretato nel senso che sono esentate dagli obblighi previsti da tale disposizione le varietà geneticamente modificate ottenute con tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza”.

Insomma, in base a detta sentenza,  gli ibridi varietali ottenuti con la tecnica Crispr/Cas9 non vengono equiparati alle varietà geneticamente modificate ottenute con tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmente con una lunga tradizione di sicurezza.

Gli ibridi – incroci ottenuti mediante mutagenesi in vitro possono – a determinate condizioni – non essere considerati OGM

Pende attualmente un nuovo ricorso in materia dinanzi alla Corte UE  (causa C-688/2021) – vertente sul regime giuridico degli ibridi ottenuti mediante mutazione casuale in vitro – ove il 27 ottobre 2022 l’Avvocato Generale M. Szpunar ha presentato le sue conclusioni, secondo cui:

“L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, in combinato disposto con l’allegato I B, punto 1, di tale direttiva e alla luce del considerando 17 della stessa, deve essere interpretato nel senso che  la mutagenesi casuale applicata in vitro rientra nell’allegato I B, punto 1, di detta direttiva”.

Per l’Avvocato Generale, quindi, gli ibridi ottenuti mediante mutazione casuale in vitro sarebbero da considerarsi tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmentecon una lunga tradizione di sicurezza:

“64.      Dall’altra, conformemente alla sentenza Confédération paysanne e a., rientrano nell’allegato I B, punto 1, della direttiva 2001/18 gli organismi ottenuti mediante tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni, con una lunga tradizione di sicurezza, contrariamente alle tecniche che sono emerse o che si sono principalmente sviluppate successivamente all’adozione di detta direttiva.

65.      Orbene, in particolare dal parere del CS emerge che la mutagenesi casuale, tanto in vivo quanto in vitro, era utilizzata nella selezione di varietà vegetali ben prima del 2001 e il legislatore dell’Unione non poteva ignorarlo all’atto dell’adozione della direttiva 2001/18 (40). Inoltre, posto che i meccanismi e le tipologie di modificazioni genetiche indotte dalla mutagenesi casuale tanto in vivo quanto in vitro coincidono, queste due modalità di applicazione di detta tecnica non presentano alcuna differenza sotto il profilo della loro sicurezza, che ha una lunga tradizione, ai sensi della sentenza Confédération paysanne e a.”

Pronunciandosi su detto caso (C-688/2021), nella sentenza del 7 febbraio 2023 la Corte di Giustizia ha effettuato una limitata apertura in favore delle mutagenesi mediante culture in vitro (che, quando rispecchiamo le caratteristiche indicate dalla Corte, non rappresentano allora un OGM, la cui immissione nell’ambiete è soggetta alle procedure previste dalla relativa direttiva 2001/81/CE), sancendo:

l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/18, in combinato disposto con l’allegato I B, punto 1, della medesima direttiva e alla luce del considerando 17 della stessa, deve essere interpretato nel senso che gli organismi ottenuti mediante l’applicazione di una tecnica o di un metodo di mutagenesi fondati su modalità di modificazione, da parte dell’agente mutageno, del materiale genetico dell’organismo interessato che siano le stesse di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza, ma che differiscono da tali seconda tecnica o secondo metodo di mutagenesi per altre caratteristiche, sono, in linea di principio, esclusi dalla deroga di cui alla disposizione in questione, a condizione che sia accertato che dette caratteristiche possono comportare modificazioni del materiale genetico dell’organismo di cui trattasi diverse, per la loro natura o per il ritmo con cui si verificano, da quelle risultanti dall’applicazione della suddetta seconda tecnica o del suddetto secondo metodo di mutagenesi. Tuttavia, gli effetti inerenti alle colture in vitro non giustificano, in quanto tali, che da tale deroga siano esclusi gli organismi ottenuti mediante l’applicazione in vitro di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni in vivo con una lunga tradizione di sicurezza relativa a tali applicazioni.

La futura disciplina dell’Unione Europea sulle varietà vegetali ottenute mediante nuove tecnologie genetiche

Attualmente, in relazione alle nuove tecniche genomiche, è allo studio un nuovo quadro giuridico da parte della Commissione UE, specificamente rivolto per le piante ottenute mediante mutagenesi e cisgenesi mirate e per gli alimenti e i mangimi da esse ottenuti.

 


La regolamentazione degli OGM nella UE


CREA - Consiglio per la Ricerca in Agricoltura