sanzioni produzione commercio vino

Il sistema sanzionatorio nel Testo Unico Vino (sanzioni produzione commercio vino).


In caso di illeciti nella produzione e nel commercio del vino, le sanzioni sono stabilite nel Testo Unico Vino (sanzioni produzione commercio vino), e precisamente nel suo Titolo VII.

Quale tipo di sanzioni prevede il Testo Unico Vino?

Trattasi di sanzioni aventi natura amministrativa.

Attenzione: il Testo Univo Vino non esaurisce tutte le norme sanzionatorie applicabili a tale materia, poiché si deve quanto meno tenere anche conto delle norme penali applicabili a tale settore.

Le norme penali non sono contenute nel Testo Unico Vino

Pertanto, per avere un’idea più completa del sistema sanzionatorio che presidia la produzione ed il commercio del vino, si deve fra l’altro considerare:

    • le regole penali connesse alla disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande (le norme “sopravvissute” della legge 283/1962, come in ultimo disposto dalla legge 71/2021, in particolare artt. 5, 8 e 9)

Il nostro webinar.

Come si intuirà da quanto appena detto, il quadro sanzionatorio è dunque molto complesso, articolandosi tra sanzioni penali e sanzioni amministrative.

Come si coordina tutto quanto?

E’ possibile appellarsi al principio di ne bis in idem, qualora la medesima condotta venga sanzionata sul piano amministrativo e su quello penale?

In cosa consiste l’istitituto della diffida e quello del ravvedimento operoso?

Come difendersi?

Ecco i temi che trattiamo nel nostro seminario.


 

 

 

WOJCIECHOWSKI etichettatura vino QRCode

La lettera di Janusz Wojciechowski sul QR Code in etichetta vini: nulla di nuovo sotto il sole! (Wojciechowski etichettatura vino QRCode)


Il 12 marzo 2024 Janusz Wojciechowski (membro della Direzione Agricoltura della Commissione UE), rispondendo ad alcune sollecitazioni  al riguardo, ha fornito alcuni ulteriori chiarimenti circa le diciture che devono essere affiancate al QR Code, apponibile sulle etichette dei vini per fornire in via elettronica i dati nutrizionali e quelli sugli ingredienti (Wojciechowski etichettatura vino QRCode).

Perché un QR Code?

Per i vini prodotti dopo l’8 dicembre 2023, in etichetta devono essere indicati:

      • i valori nutrizionali
      • ed i composti enologici utilizzati nella vinificazione che, secondo il Codice enologico europeo, costituiscono “ingredienti“: di conseguenza, non sussiste l’obbligo di indicare i “coadiuvanti tecnologici“.

A chi imbottiglia è concessa la scelta tra due opzioni:

 

Perché l’intervento di Wojciechowski etichettatura vino QRCode?

Verosimilmente senza avere una visione d’insieme sul quadro giuridico della normativa europea sull’etichettura degli alimenti (i cui principi si applicano anche ai vini), molti produttori hanno predisposto e stampato le loro etichette cartacee apponendo sì il QR Code, ma senza affiancarlo da alcuna dicitura capace di far capire ai consumatori a cosa esso serve.

Il caso è scoppiato quando a fine novembre 2023 la Commissione Europea ha pubblicato una Comunicazione, portante le Linee Guida sull’etichettatura nutizionale e su quella degli ingredienti del vino, le quali stabiliscono (punto 38 nel finale):

“La presentazione di un codice QR dovrebbe pertanto essere chiara per i consumatori per quanto riguarda il suo contenuto, ossia le informazioni obbligatorie presentate per via elettronica. Termini o simboli generici (come una «i») non sono sufficienti per soddisfare gli obblighi di questa disposizione. Se le informazioni fornite per via elettronica (identificate, ad esempio, da un codice QR) riguardano l’elenco degli ingredienti, è necessario utilizzare un’intestazione di cui all’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento FIC, come avviene attualmente per le etichette cartacee utilizzate per altri alimenti (ossia contenenti la parola «ingredienti»).
Per i termini utilizzati, il loro regime linguistico è soggetto alle stesse norme delle altre indicazioni obbligatorie di cui all’articolo 119 del regolamento OCM, vale a dire le norme definite lex specialis all’articolo 121 del regolamento OCM”.

Linee Guida Commissione UE etichettatura vino

Di conseguenza, le etichette recanti un QR Code “muto” non sono legali, non assolvendo adeguatamente all’obbligo di portare a conoscenza i consumatori su dati nutrizionali ed ingredienti,

Da qui la richiesta di chiarimenti, nel tentativo di salvare le etichette in questione.

Salvataggio che avrebbe però pregiudicato i diritti dei consumatori.

 

In cosa consiste la risposta di Wojciechowski?

Sono stati ribaditi i principi illustrati in precedenza.

Viene infatti detto:

“The simple appearance on a label of an unidentified QR code is not sufficient; in all cases, consumers must be able to understand what type of information can be found “behind” QR codes or other electronic means”.

E’ dunque necessario che il QR Code sia affiancato da una dicitura, che spiega a cosa esso serve, e cioè che utilizzandolo è possibile accedere al supporto elettornico, ove sono pubblicati i dati nutrizionali e quelli sugli ingredienti.

Non è sufficiente una sigla ovvero una abbreviazione.

A questo punto, la questione diventa: tale dicitura in quale lingua va espressa?

Ecco la risposta:

“… the language rules applicable to this term is the same as the one currently applied to the other particulars, which should appear on the labels in one or more official languages of the Union (as stated in point 38 of the Notice). For bottles of wine exported outside the EU, labels including their language may have to be adjusted to the national law of the importing third countries”.

In buona sostanza, la dicitura è soggetta al medesimo regime linguistico applicabile agli altri dati obbligatori che devono apparire in etichetta (come disposto dall’art.121 del regolamento UE/1308/2013), fermo restando che per gli allergeni vanno usate le espressioni indicate nell’allegato I al regolamento UE/33/2019 (le quali variano invece a seconda della lingua usata nello Stato ove viene commercializzato il vino) .

… quindi niente di nuovo sotto il sole (al contrario di quanto ritenuto da altri commentatori)!

Linee Guida Commissione UE Etichettatura vini

Linee Guida Commissione UE etichettatura vini: come etichettare correttamente i dati nutrizionali e gli ingredienti dei vini


Mediante un‘apposita comunicazione, pubblicata a fine novembre 2023, sono state fornite le Linee Guida Commissione UE etichettatura vini.

A cosa servono

Le Linee Guida forniscono alcuni importanti chiarimenti sulle principali questioni relative ai nuovi requisiti previsti dalla legislazione dell’Unione Europea.

Esse  impongono di integrare le etichette esistenti (per le quali restano ferme tutte le previsioni sin’ora esistenti) con le indicaizoni relative ai dati nutirzionali e quelli sugli ingredienti.

Quali sono i vini interessati dai nuovi requisiti.

Tutti i vini prodotti dopo l’8 dicembre 2023.

Su come individuarli, le stesse Linee guida forniscono importanti indicazioni.

Le nuove  indicazioni sono obbligatorie?

Si, rientrano tra quelle che devono obbligatoriamente comparire sulle etichettte, in loro mancanza i prodotti non possono essere commercializzati.

Quale valore hanno le Linee guida?

Rappresentano un’interpretazione autentica della normativa unionale emanata dalla Commissione in materia di etichettatura dei vini (regolamento UE/33/2019).

Le Linee guida trattano l’etichettatura elettronica?

Certamente, è un tema centrale.

Particolare attenzione viene dedicata a:

      • QR Code (come va applicato, quali caratteristiche deve avere,  …) che i produttori hanno facoltà di apporre sull’etichetta per rinviare al supporto elettronico criportante i dati nutrizionali completi e gli ingredienti utilizzati.
      • dati che devono sempre essere presenti sull’etichetta cartacea (valore energetico ed indicazione degli allergeni), anche se viene utilizzato il QR Code.

Linee Guida Commissione UE etichettatura vino

Il MASAF ha emanato una circolare in materia?

Si, la circolare 656765 del 28/11/2023.

Tuttavia le Linee guida emanate dalla Commissione UE :

      • sono molto più dettagliate
      • hanno valore decisamente superiore rispetto a quanto indicato nella circolare ministeriale.

 

Trattano anche l’etichettatura ambientale?

No, la materia è regolata da una direttiva unionale, per cui sono gli Stati membri a disciplinare la materia attuando la direttiva stessa.

Quindi bisgona fare riferimento alla normativa nazionale.



Webinar sui nuovi requisiti per etichettatura vini

 

In questo nostro  webinar,  illustriamo la nuova disciplina sull’etichettaura dei vini, per quanto concerne le informazioni su ingredienti + valori nutrizionali e quelle relative alla raccolta differenziata di contenitori e tappi.

 

 

 


 

 

 

 

QR Code etichetta vini

Etichettatura elettronica dei vini: non basta apporre un semplice QR Code sulla bottiglia (QR Code etichetta vini)!


Il QR Code etichetta vini: sull’etichetta cartacea, deve essere scritto a cosa il QR Code serve, per rinviare in modo adeguato all‘etichettatura elettronica, ove sono contenuti i dati completi relativi alle indicazioni nutrizionali ed agli ingredienti, come obbligatorio per i vini prodotti dopo l’8 dicembre 2023.

Attenzione:  anche se viene utilizzato il QR Code o altro mezzo, per rinviare al supporto elettronico contenente i dati nutrizionali e gli ingredienti, sull’etichetta cartacea vanno comunque sempre indicati:

      • il valore energetico
      • gli allergeni

Come realizzare l’etichettatura elettronica per i vini

 

Le specifiche tecniche, fissate dalle norme dell’Unione Europea, sono attualmente molto modeste, poiché esse (trattando il tema della etichetta indicazioni nutrizionali ingredienti vini, comma 5 dell’art.119 del Reg. UE/1308/2013) si limitano a stabilire che:

a) non devono essere raccolti o tracciati i dati degli utenti (vietati quindi i cookies!!);

b) l’elenco degli ingredienti non figura insieme ad altre informazioni inserite a fini commerciali o di marketing → quindi non è vietato fornire – in modo separato – anche le informazioni commerciali o di marketing

A parte ciò, quindi, NESSUNA previsione normativa su come vada realizzato:

      • il rinvio (esempio: “QR Code”) al mezzo elettronico che fornisce i dati nutrizionali completie l’elenco ingredienti
      • il mezzo elettronico stesso contente detti dati

Perché non è sufficiente apporre un semplice QR Code

 

Tuttavia, applicare un semplice QR Code verosimilmente non basta: sembra corretto ritenere che esso debba essere accompagnato da qualche sintetica indicazione sulla sua finalità.

Esempio: “usami per conoscere gli ingredienti ed i valori nutrizionali“.

Analogo discorso se l’etichettatura elettronica contiene anche le indicazioni ambientali, e cioè quelle per differenziare in modo adeguato i rifiuti (tappo, bottiglia, fermagli, etc..) che vengono in essere una volta consumato il prodotto.

Esempio:usami per sapere come riciclarmi”.

 

QR Code etichetta vini

Ecco un altro esempio, relativo ad un QR Code su una bottiglia di birra, apposto sì per finalità differenti da quelle qui in esame, ma comunque facilmente individuabili grazie a quanto scritto al di sopra (“santè ed alcool“).

 

In altre parole, il consumatore deve capire che il QR Code serve per consentigli di accedere alle informazioni:

      • nutizionali
      • sugli ingredienti.
      • ambientali

 

Ciò nel rispetto dei principi generali sull’etichettatura dei prodotti alimentari (Regolamento UE/1169/2011, art.3, comma 1), secondo cui:

“La fornitura di informazioni sugli alimenti tende a un livello elevato di protezione della salute e degli interessi dei consumatori, fornendo ai consumatori finali le basi per effettuare delle scelte consapevoli e per utilizzare gli alimenti in modo sicuro, nel rispetto in particolare di considerazioni sanitarie, economiche, ambientali, sociali ed etiche”.

Altrimenti il consumatore potrebbe ritenere che il QR code serva semplicemente a chi lavora alla cassa dei negozi per prezzare il prodotto!!

In tal senso vanno proprio le Linee Guida dalla Commissione UE sull’etichettatura nutizionale e su quella degli ingredienti del vino, pubblicate a fine novembre 2023.

Al riguardo, stabiliscono appunto le Linee Guida (punto 38 nel finale):

La presentazione di un codice QR dovrebbe pertanto essere chiara per i consumatori per quanto riguarda il suo contenuto, ossia le informazioni obbligatorie presentate per via elettronica. Termini o simboli generici (come una «i») non sono sufficienti per soddisfare gli obblighi di questa disposizione. Se le informazioni fornite per via elettronica (identificate, ad esempio, da un codice QR) riguardano l’elenco degli ingredienti, è necessario utilizzare un’intestazione di cui all’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento FIC, come avviene attualmente per le etichette cartacee utilizzate per altri alimenti (ossia contenenti la parola «ingredienti»).
Per i termini utilizzati, il loro regime linguistico è soggetto alle stesse norme delle altre indicazioni obbligatorie di cui all’articolo 119 del regolamento OCM, vale a dire le norme definite lex specialis all’articolo 121 del regolamento OCM

Linee Guida Commissione UE etichettatura vino


La “pezza” posta dal MASAF

Sembra che molti produttori  abbiano però stampato le proprie etichette in violazione dei principi anzidetti, senza cioè essersi posti il problema della (palese?) carenza di chiarezza dell’informazione così veicolata ai consumatori.

Per cercare di rimediare alla situazione, mediante il DM 0675460 del 7 dicembre 2023 il MASAF ha allora stabilito  (violando il diritto dell’Unione Europea)  che:

“a decorrere dal giorno 8 dicembre 2023 , è consentito etichettare e commercializzare i vini ed i prodotti vitivinicoli aromatizzati con etichette riportanti il simbolo ISO 2760 “I” accanto al QR Code che rimanda alle informazioni relative alla lista degli ingredienti ed alla dichiarazione nutrizionale.

La deroga … è limitata ad un periodo di tre mesi decorrente dall’dicembre 2023, fino allì8 marzo 2024 e solo per vino e prodotti vitivinicoli aromatizzati circolanti sul territorio mazionale

Attenzione dunque: i vini ed i prodotti vitivinicoli aromatizzati destinati alla commercializzazione negli altri Stati membri dell’Unione Europea NON possono essere etichettati come dispone la deroga in questione.

Se ciò avvenisse, ben potrebbero le autorità amministrative degli altri Stati membri:

      • bloccare la circolazione dei prodotti etichettati in modo non conforme alla normativa europea
      • sanzionare i responsabili dell’operazione.

Vi è poi da capire come sia materilmente possibile modificare lecitamente – per il solo mercato italiano –  le etichette  erroneamente già stampate.

Magari scrivendo a mano il termine “I” vicino a QR code con inchiosto indelebile?.

Progetto 2022 riforma DOP

Opinioni su progetto riforma DOP- IGP promossa dalla Commissione UE nel 2022.


Progetto 2022 riforma DOP: appena teminato il round delle trattative per la PAC 2023/2027, che ha modificato la disciplina su DOP e IGP per i vini  in modo molto limitato, la Commissione UE ha presentato un progetto per la loro riforma di molto più ampio respiro.

Trattasi della procedura legislativa 2022/0089(COD), attualmente in corso, che dovrebbe sostanzialmente condurre a riunire in un unico testo regolamentare la disciplina relativa alle denominazioni di origine di vini, alimenti e bevande spiritose.

 

Finalità del progetto 2022 riforma DOP

 

Queste le finalità della riforma:

The proposal for the revision of the GI system consists of a set of rules designed to put in place a coherent system for GIs aimed at assisting producers to better communicate the qualities, characteristics and attributes of their GI products, and at ensuring appropriate consumer information. Moreover, the proposal clarifies and improves the traditional speciality guarantee (TSG) scheme while it makes no changes to the scheme for optional quality terms.


The proposal has the following specific objectives:

(1) improve the enforcement of GI rules to better protect IPR and better protect GIs on the internet, including against bad faith registrations and fraudulent and deceptive practices, and uses in the domain name system, and combat counterfeiting;

(2) to simplify and harmonise the procedures for application for registration streamline and clarify the legal framework of new names and amendments to product specifications. The different technical and procedural rules for geographical indications would be merged, resulting in a single simplified GI registration procedure for EU and third country applicants;

(3) contribute to making the Union food system more sustainable by integrating specific sustainability criteria. As a direct follow-up to the Farm to Table strategy, producers could highlight their actions in the field of social, environmental or economic sustainability in their specifications by setting the corresponding requirements;

(4) empower producers and producer groups to better manage their GI assets and encourage the development of structures and partnerships within the food supply chain. Member States should recognise GI producer groups at their request. Recognised groups would be empowered
to manage, enforce and develop their GI, including access to anti-counterfeiting authorities and customs services in all Member States;

(5) increase correct market perception and consumer awareness of the GI policy and Union symbols to enable consumers to make informed purchasing choices. It is foreseen to make the use of EU symbols or indications on the packaging of products with a geographical indication obligatory in order to increase consumer awareness of this category of products and the related guarantees, and to facilitate the identification of these products on the market, thus facilitating controls;

(6) safeguard the protection of traditional food names to better valorise and preserve traditional products and production methods.


As regards the reduction of administrative burden, the proposal provides for technical assistance in the registration procedure by an existing EU agency and full exploitation of digital tools. The European Union Intellectual Property Office (EUIPO) will provide technical support in the monitoring process to help speed up procedures.


The new domain name information and alert system to be established by EUIPO will provide GI applicants with an additional digital tool as part of the application process to better protect and enforce their GI rights.

 

Tempistica

 

La materia rientra tra quelle dichiarate di interesse prioritario dalla istituzioni comunitarie, per cui la relativa disamina dovrebbe procedere con una certa celerità.

Oltre all’alto suo interesse, il tema presenta conseguente delicatezza.

Opinioni sul progetto 2022 riforma DOP

 

Sembra utile segnalare alcune autorevoli opinioni, espresse di recente in materia.

impianti solari agrivoltaici

Impianti solari agrivoltaici: migliorare la sostenibilità del settore agricolo beneficiando degli incentivi del PNRR.

 

Il settore agricolo è uno dei principali settori produttivi del nostro sistema economico, indispensabile per l’alimentazione, nonché per la gestione e la conservazione del patrimonio naturale.

Purtroppo, però, esso si rende responsabile, in Europa, del dieci per cento delle emissioni di gas serra.

“Italia Domani”, il Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) – presentato dall’Italia nel contesto del programma Next Generation EU – prevede investimenti e un pacchetto di riforme, che si sviluppa intorno a tre assi strategici (digitalizzazione e innovazione, inclusione sociale e transizione ecologica) e mira anche a contrastare questo effetto collaterale.

Il principale obiettivo posto alla base del progetto, infatti, è quello di condurre l’Italia lungo un percorso di cambiamento a livello ecologico e ambientale che possa essere d’ausilio per assottigliare i divari territoriali, generazionali e di genere.

Uno degli strumenti su cui si vuole puntare, in particolare per migliorare l’impatto dell’agricoltura sull’ambiente, sono gli impianti solari agrivoltaici.

Cosa sono gli impianti solari agrivoltaici

Si tratta di un innovativo utilizzo del terreno che sta prendendo piede negli ultimi anni.

Il fondo, infatti, oltre ad essere sfruttato per la coltivazione di vegetali, viene destinato altresì alla produzione di energia fotovoltaica.

Gli impianti solari agrivoltaici concretizzano infatti un virtuoso trait d’union, che pone in relazione le fonti rinnovabili, la sostenibilità ambientale, la tutela della biodiversità con l’attività agricola, consentendo la convivenza e l’interazione tra la generazione dell’energia a partire dai raggi del sole e le pratiche di coltivazione del fondo.

Le Linee Guida in materia di impianti agrivoltaici – messe a punto dal Ministero della Transizione Ecologica, con il contributo di ENEA – forniscono delle puntuali definizioni.

L’impianto agrivoltaico (o agrovoltaico, o ancora agro-fotovoltaico) è, dunque, un impianto fotovoltaico, che consente di mantenere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale sul sito di installazione.

Per impianto agrivoltaico avanzato si intende un impianto agrivoltaico che (conformemente a quanto stabilito dall’articolo 65, comma 1-quater e 1-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, e successive modificazioni), non compromette la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale,  anche eventualmente consentendo l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione.

Ciò grazie al montaggio di moduli elevati da terra, i quali possono anche ruotare per “seguire il sole”.

Inoltre, gli impianti solari agrivoltaici devono prevedere la contestuale realizzazione di sistemi atti a monitorarel’impatto dell’installazione fotovoltaica sulle colture, il risparmio idrico, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture, la continuità delle attività delle aziende agricole interessate, il recupero della fertilità del suolo, il microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici”.

Benefici degli impianti solari agrivoltaici

Sono molteplici, tra cui:

    • la maggiore resa dei terreni (in relazione a specifiche colture);
    • il minore consumo di acqua per l’irrigazione, grazie ai moduli fotovoltaici che garantiscono un parziale ombreggiamento;
    • una fonte aggiuntiva di reddito che permette agli agricoltori di fare investimenti nella propria attività e guadagnarne in termini di competitività;
    • la collaborazione tra agronomi, imprese agricole e stakeholder del settore.

Quali colture per gli impianti solari agrivoltaici?

Il PNRR si occupa di questa tecnologia, con l’intenzione di rendere sempre più capillare la presenza di impianti agro-voltaici di medie e grandi dimensioni sul territorio nazionale.

La misura di investimento nello specifico consiste, innanzitutto, nell’implementazione di sistemi ibridi agricoltura-produzione di energia che possano conciliare lo sfruttamento della luce solare con l’utilizzo dei terreni per fini agricoli, incrementando la sostenibilità ambientale ed economica delle imprese aderenti, anche avvantaggiandosi di bacini idrici presso i quali possono essere installate soluzioni galleggianti.

Mediante le citate  Linee Guida in materia di impianti agrivoltaici, le colture sono state suddivise in cinque categorie, individuate in base a come queste reagiscono alla fisiologica riduzione luminosa, appunto derivante dall’ombreggiamento creato dagli impianti fotovoltaici istallati sul fondo.

    • colture “molto adatte”, quelle sulle quali l’ombreggiatura produce effetti positivi sulle rese quantitative, tra cui possiamo citare spinaci e patate.
    • colture “adatte”, ossia quelle indifferenti all’ombreggiatura moderata, come le carote e i finocchi.
    • “mediamente adatte” vengono menzionate le cipolle e le zucchine.
    • “poco adatte” le barbabietole da zucchero e le barbabietole rosse.
    •  “non adatte” quelle che presentano un’importante necessità di esposizione alla luce, per le quali anche una sua pressoché insignificante diminuzione cagionerebbe una grave flessione della resa (alberi da frutto, del frumento e del mais, ad esempio).

Dove installare gli impianti solari agrivoltaici?

Per quanto concerne, invece, le aree su cui si possono andare a collocare gli impianti in questione, va considerato quanto disposto dall’art.20, comma 1, d. lgs. n. 199/2021, che rimette a livello ministeriale l’identificazione dei principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili.

Sono considerate aree idonee all’installazione di impianti solari agrivoltaici (ai sensi del successivo comma 8, lett. c), quater di detto d. lgs. 199/2021), “le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, né ricadono nella fascia di rispetto de i beni sottoposti a tutela ai sensi della parte seconda oppure dell’arti colo 136 del medesimo decreto legislativo.  …  la fascia di rispetto è determinata considerando una distanza dal perimetro di beni sottoposti a tutela di sette chilometri per gli impianti eolici e di un chilometro per gli impianti fotovoltaici”.

Quale procedura per installare gli impianti solari agrivoltaici?

Nei procedimenti di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili su aree idonee, ivi inclusi quelli per l’adozione del provvedimento di valutazione di impatto ambientale, l’autorità competente in materia paesaggistica si esprime con parere obbligatorio non vincolante. Decorso inutilmente il termine per l’espressione del parere non vincolante, l’amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione”.

Così stabilisce  l’art.22, comma 1, lettera a) di detto d. lgs. 199/2021.

In merito al rilascio dei provvedimenti autorizzatori, il TAR di Lecce (sentenza 1750/2022) ha di rendente sancito:

 

4.2. Non esiste, di per sé, un diritto assoluto e incondizionato all’installazione di impianti volti alla produzione di energia, sia pure “pulita” (o verde: green), nel senso di energia prodotta direttamente dal Sole, (e ciò anche nell’ipotesi in cui si tratti di impianti “agrivoltaici”, con insistenza in aree “agricole”), e non mediante il procedimento (assolutamente impattante sul Pianeta, e nel medio/lungo periodo non più sostenibile) di estrazione del carbon-fossile.

In senso opposto, tuttavia, non esiste neppure un generalizzato divieto – del pari assoluto e incondizionato – all’installazione di impianti siffatti, men che meno in caso di insistenza, in situ, di altri impianti analoghi.

4.3. Per dirla con le parole dell’Arbiter Constitutionis: “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca, e non è possibile individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri; … la tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro, giacché se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette” (Corte cost, n. 85/13).

Sotto questo profilo, non si vede come si possa decampare dal vero “fulcro” della questione, vale a dire la non qualificabilità dell’impianto in questione come “fotovoltaico”, ma come agrivoltaico”.

6.1. Quello dell’agrivoltaico è, infatti, un settore di recente attenzione. Esso non è ancora molto diffuso, ma sta assumendo (grazie anche alle spinte provenienti dal legislatore nazionale e sovranazionale; il punto verrà ripreso infra) forma e consistenza sconosciute appena dieci o cinque anni orsono.

6.2. Trattasi di un utilizzo “ibrido” di terreni agricoli, tra produzioni agricole e produzione di energia elettrica, attraverso l’installazione, sugli stessi terreni, di impianti fotovoltaici, che non impediscono tuttavia la produzione agricola classica.

6.3. In particolare, come più volte chiarito da questa Sezione (cfr. sentt. nn. 586/22 e 1267/22), mentre nel caso di impianti fotovoltaici tout court il suolo viene reso impermeabile, viene impedita la crescita della vegetazione, e il terreno agricolo perde quindi tutta la sua potenzialità produttiva, nell’agrivoltaico l’impianto è invece posizionato direttamente su pali più alti, e ben distanziati tra loro, in modo da consentire alle macchine da lavoro la coltivazione agricola sia al di sotto dei moduli fotovoltaici, e sia tra l’uno e l’altro modulo.

6.4. Per effetto di tale tecnica – sicuramente innovativa, in quanto praticamente assente sino a pochi anni fa – la superficie del terreno resta permeabile, come tale raggiungibile dal sole e dalla pioggia, e dunque pienamente utilizzabile per le normali esigenze della coltivazione agricola.

7. Definiti in tal modo i tratti caratteristici dell’agrivoltaico, e differenziali rispetto al fotovoltaico “puro”, non si comprende che valenza assumano, nel caso in esame, le statistiche offerte dalla Regione nell’atto impugnato, in ordine al numero e consistenza di impianti “fotovoltaici” sparsi sul territorio regionale, nonché su quello in esame. Trattasi, invero, di fenomeni non sovrapponibili tra di loro, per la semplice ed elementare considerazione che:

– nel fotovoltaico, le potenzialità agricole del fondo vengono azzerate, ora e per il futuro (essendo del tutto problematica la ripresa dell’attività agricola, dopo decenni di utilizzazione dei fondi per le esigenze della produzione di energia, sia pure green);

– nell’agrivoltaico, invece, le esigenze della produzione agricola restano intatte, e sono anzi spesso accresciute, in quanto il necessario “ibrido” tra le esigenze della coltivazione e quelle della produzione di energia pulita porta sovente a recuperare, da un punto di vista agronomico, fondi che versano in stato di abbandono.

8. Pertanto, a differenza di quanto adombrato dalla Regione, non di rapporto di genus ad species può parlarsi nel caso in esame, ma di progressiva gemmazione di un istituto “nuovo” (l’agrivoltaico), dalla sua casa madre (il fotovoltaico), con conseguente acquisto di una ragione sociale propria.

9. Pertanto, sarebbe sicuramente rilevante – nell’odierno giudizio – conoscere il numero e la consistenza di impianti agrivoltaici insistenti in ambito regionale, e nell’agro brindisino in particolare.

Senonché, la Regione non ha offerto contributo sul punto, limitandosi ad esporre il numero e la potenza degli impianti fotovoltaici classici, privi di ausilio ai fini in esame, in quanto fondati su una errata qualificazione – da genus ad species – del rapporto tra fotovoltaico e agrivoltaico; rapporto dal quale, per le ragioni prima dette, va operata un’affrancazione.

10. Detto in altri termini: non si comprende come un impianto che combina produzione di energia elettrica e coltivazione agricola (l’agrivolotaico), possa essere assimilato ad un impianto che produce unicamente energia elettrica (il fotovoltaico), ma che non contribuisce tuttavia – neppure in minima parte – alle ordinarie esigenze dell’agricoltura.

All’evidenza, non si tratta di rapporto di genus ad species, ma di fenomeni largamente diversi tra loro, nonostante la loro comune base di partenza (la produzione di energia elettrica da fonte pulita).

E in quanto situazioni non sovrapponibili, non possono essere assimilati quoad aeffectum.

….

11. E che l’agrivoltaico, in questi ultimi anni, abbia acquisito una dignità autonoma, emerge dalla legislazione eurounitaria e nazionale sviluppatasi negli ultimi anni sul tema delle energie rinnovabili.

13.2. Per tali ragioni, non si può sic et simpliciter ricondurre gli impianti agrivoltaici all’ambito del fotovoltaico puro, come invece la Regione pretende di fare, con un semplice e anacronistico rapporto (ripreso anche dalla sentenza di questo TAR n. 1376/22, sulla quale v. infra, punti nn. 27 e ss.) di genus ad species.

13.3. Forse quest’assimilazione poteva essere compiuta alcuni anni orsono.

Fondi del PNRR per impianti solari agrivoltaici

Il PNRR italiano si pone un obiettivo ambizioso: potenziare la competitività del settore agricolo, abbattendo i costi di approvvigionamento energetico, che attualmente si attestano a oltre il venti per cento dei costi variabili delle aziende agricole, apportando, unitamente, sensibili miglioramenti nelle prestazioni climatiche-ambientali.

In termini numerici, l’obiettivo del PNRR è quello di arrivare, a regime, ad una capacità produttiva degli impianti agro-voltaici di 1,04 GW, che produrrebbe circa 1.300 GWh annui, garantendo l’altro obiettivo, che è quello della riduzione delle emissioni di gas serra stimabile in circa 0,8 milioni di tonnellate di CO2.

PNRR - Sviluppo Agrivoltaico


 

impianti solari agrivoltaici

 

(a cura della dott.ssa Gerarda Monaco)

Tipicita vini DOP IGP

La tipicità vini DOP IGP, rappresentante l’espressione dei loro specifici territori di riferimento,  viene individuata nei rispettivi disciplinari di produzione.


La tipicita vini DOP IGP costituisce dunque la “firma” di ciascun territorio sui propri vini. Viene espressa nei disciplinari di produzione. Ma è cosa immediata per tutti percepirla dalla loro lettura?

I disciplinari di produzione, chiave di volta per la tutela legale delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche.

 

La tipicità dei singoli vini DOP e IGP trova espressione (o, meglio, sintesi) nei rispettivi disciplinari di produzione, i quali rappresentano l’elemento cardine per la tutela delle denominazioni geografiche (DOP, in Italia suddivise in DOC e DOCG) e le indicazioni tipiche (IGP, in Italia definite anche IGT), sia a livello dell’Unione Europea (per effetto degli art.92 e ss. del regolamento UE/1308/2013), sia al di fuori dei suoi confini, grazie ai numerosi accordi intenazionali conclusi al riguardo dall’UE con gli Stati terzi.

Disciplinari vini DOP - IGP italiani

All’interno di ciascun disciplinare, poi, i punti più indicativi circa la tipicità del vino (Tipicita vini DOP IGP) sono i “requisiti organolettici” (dato peraltro obbligatorio ai sensi della legislazione unionale: art.93, comma 2, del regolamento UE/1308/2013).

Inoltre, i disciplinari devono anche indicare le caratteristiche climatiche, geologiche e morfologiche dei loro territori , dovendo chiarire “il legame fra la qualità o le caratteristiche del prodotto e l’ambiente geografico“, ma intuirne l’influenza sulla tipicità del vino diviene discorso meno intuitivo.

La tutela legale di DOP e IDP prescinde tuttavia dalla distinguibilità dei prodotti commercializzati con il nome oggetto di protezione.

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A rigore, però, secondo il diritto europeo la tutela in favore delle denominazioni di origine (DOP) e delle indicazioni geografiche viene concessa anche se il prodotto (vino o alimento), che vuole fregiasi del nome protetto (e cioè il nome geografico del proprio territorio, costituente la DOP o la IGP) non presenta i caratteri della distinguibilità (Corte di Giustizia, sentenza «Torrone di Alicante» del 10 novembre 1992, in causa C-3/91 )

In effetti, per il diritto europeo (Corte di Giustizia, sentenza 14 settembre 2017, EUIPO/ Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto, in causa C‑56/2016, punto 82), la tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche è piuttosto volta a difendere la loro reputazione e

costituisce uno strumento della politica agricola comune mirante essenzialmente a garantire ai consumatori che i prodotti agricoli muniti di un’indicazione geografica registrata in forza di detto regolamento presentino, a causa della loro provenienza da una determinata zona geografica, talune caratteristiche particolari e, pertanto, offrano una garanzia di qualità dovuta alla loro provenienza geografica, allo scopo di consentire agli operatori agricoli che abbiano compiuto effettivi sforzi qualitativi di ottenere in contropartita migliori redditi e di impedire che terzi si avvantaggino abusivamente della reputazione discendente dalla qualità di tali prodotti 

Le fonti della tipicità: le caratteristiche del territorio e l’influenza umana, come individuati dal disciplinare di produzione.

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Ciò posto, se poi si esaminano i “requisiti organolettici” imposti da ciascun disciplinare, si realizza che – essendo essi volutamente espressi in modo estrermamente sintetico – quanto ivi descritto rappresenta in realtà una sorta di “macro-modello”.

Insomma, è un qualcosa piuttosto lontano rispetto alla descrizione che solitamente un sommeiler/assaggiatore rende in fase di degustazione, ove peraltro le schede di valutazione tendono a concentrarsi sulle sensazioni organolettiche stesse (di cui si ricerca la loro qualità ed equilibrio), lasciando però poco o nessuno spazio alla valutazione della tipicità (si veda la scheda ONAV, ad esempio).

Il disciplinare, infatti, definisce sì “a grandi linee” le caratteristiche essenziali del vino DOP o IGP, ma non perviene al risultato (sarebbe in effetti una cosa “terribile”) di standardizzarle.

All’interno del “macro-modello”, quindi, iI disciplinare lascia un certo spazio di libertà, il quale consente di valorizzare al massimo le peculiarità di ogni singolo appezzamento all’interno del territorio di produzione (sempre più spesso diviso in sotto-zone o aree geografiche, si pensi al caso del Barolo) nonché permette all’enologo di esprimere la propria arte.

Ciò nonostante, nel momento in cui il produttore di un vino, atto a divenire DOP (DOC o DOCG), vuole immettere sul mercato il proprio prodotto, i relativi campioni sono soggetti all’esame (svolto “alla cieca”) dalle competenti commissioni di degustazione, che ne valutano l’ideoneità e, dunque, anche la tipicità (tipicita vini DOP IGP).

Solo se tale esame viene superato, il vino potrà portare in etichetta il nome del proprio territorio (accompagnato dalla pertinente menzione: DOC o DOCG), il quale viene così a rappresentare una garanzia di qualità per il consumatore (e cioè il vino è conforme ai requisiti imposti dal disciplinare di produzione).

Il rispetto del disciplinare assicura sempre la tipicità?

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La tipicità, rappresentante la “comune nota di fondo” che i differenti territori conferiscono ai loro rispettivi vini (tipicita vini DOP IGP),  è quindi frutto delle molteplici interazioni tra l’insieme dei fattori presi in considerazione dai relativi disciplinari.

“Nota di fondo” che troverà poi una propria “declinazione” – tutta da scoprire – per effetto delle varie annate, delle differenze morfologiche e geologiche dei singoli appezzamenti, delle scelte dell’enologo, etc …

Tuttavia, il rispetto del disciplinare deve necessariamente portare alla realizzazione di un vino che esprime la tipicità delineata nel disciplinare stesso.

Questo passaggio non può mancare, altrimenti il vino – per quanto buono o sublime – non è espressione del territorio di riferimento, ma solo del suo produttore (il che è nobile, ma esula dalla filosofia delle denominazioni di origine).

La situazione appare però molto complessa, giacché in alcuni casi ad uno specificio terriorio corrisponde una sola DOP; in altri casi, lo stesso territorio è frazionato in varie distinte DOP;  in altri ancora, sullo stesso territorio si sovrappongono – almeno parzialmente – diverse DOP e/o IGP. Insomma, siamo nel mondo della complessità, ma proprio ciò  rappresenta uno degli elementi di fascino di quello dei vini.

Ciò posto, ragionare in termini di tipicità diviene tuttavia più difficile, con riferimento alle cosiddette DOC “regionali”, e cioè quelle che coincidono con l’intero terriorio di una Regione (quali Piemonte, Sicilia, ….).

In effetti, la loro ampiezza geografica porta necessariamente a comprendere zone dalle caratteristiche geologiche, morfologiche e climatiche molto eterogenee fra loro.

Inoltre, i relativi disciplinari molto spesso si limitano a richiamare i requisiti chimico-fisici (o, comunque, non si allontano molto da loro) previsti dalla normativa unionale (Allegato VII al regolamento 1308/2013) per le varie categorie di prodotti vitivinicoli.

Di conseguenza, nel caso delle DOC “regionali”, la tutela trova forse maggiore ragione nella volontà di proteggere la reputazione commerciale (conformemente alle indicazioni date dalla Corte di Giustizia nelle citate sentenze) di tali nomi geografici. Inoltre, il consumatore è garantito da controlli più incisivi, rispetto a quelli effettuati sui vini senza denominazione.

Ne discende che il ragionare in termini di tipicità si addice forse maggiormente per le denominazioni con un’estensione territoriale più limitata, per quanto anche in questo caso il rispettivo territorio possa presentare caratteristiche eterogenee al suo interno.

Difatti, se l’estensione territoriale di una denominazione è contenuta, risulta più facile coglierne gli aspetti comuni di fondo, anche grazie ai relativi disciplinari (i quali, peraltro, limitano effettivamente le varietà ampelogratiche utilizzabili, le rese massime per ettaro e/o di trasformazione  dell’uva in mosto ovvero prevedono requisiti chimici ed analitici più rigorosi per il prodotto finale).

Decodificare il disciplinare?

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La tipicità non emerge tuttavia in modo sempre immediato dai dati tecnici contenuti nel disciplinare, ma è in un certo senso lì “criptata” loro tramite, almeno agli occhi di chi non è un esperto del settore.

Individuare la tipicità del vino di un determinato territorio, illustrandola in modo discorsivo, rappresenta allora semplicemente un altro modo di leggere il relativo disciplinare, consentendo di capire in modo colloquiale, ma preciso, a quale risultato (nella forma di “macro modello”) esso conduce.

Non esistendo però una versione “ufficiale” sulla descrizione della tipicità (gli unici dati vincolanti sono infatti quelli indicati nel disciplinare stesso), la “decodificazione” apre un certo spazio soggettivo a disposizione dell’interprete.

Ecco la questione delicata: la “vulgata” (e cioè la descrizione della tipicità in termini colloquiali) è sempre fedele? Susssite il rischio che la definizione stessa della tipicità possa dipendere dall’eloquenza e dall’abilità retorica dell’interprete che la comunica?

Sul piano giuridico, la situazione si risolve comunque con il lavoro professionale svolto dalle citate commissioni di valutazione:   se al loro assaggio un certo vino DOP è ritenuto idoneo, esso soddisfa i requisiti organolettici previsti dal disciplinare e, quindi, integra la relativa tipicità.

Qalora  “promosso” in sede di siffatto controllo (che avviene nel finale della fase produttiva), il vino può essere allora commercializzato spendendo legittimamente in etichetta il nome del relativo territorio, a cui lo specifico disciplinare si riferisce, unitamente alla sigla DOP (DOC-DOCG a seconda dei casi, in Italia).

Tale verifica avviene però solo a campione per i vini IGP/IGT (indicazione geografica protetta), la cui protezione spesso è riconducibile all’esigenza di salvaguardare la notorietà del relativo nome geografico (art.93, comma 1, lettera b, del Regolamento UE/1308/2013), il che di fatto avvicina alquanto tale situazione a quella delle DOP regionali (ferme le differenze esistenti sul piano giuridico, quanto a requisiti ed intensità dei controlli).

Tutto ciò è ancora attuale?

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Quanto esposto riflette l’approccio tradizionale al tema della denominazioni di origine, di cui la tipicità rappresenta un aspetto fondamentale.

Recenti riflessioni mettono però in dubbio le fondamenta di tutto il discorso, come si evice dalla posizone assunta da Attilio Scienza, attuale presidente del Comitato vini DOC.

A suo parere (questi i punti a nosto parere maggiormente salieti del discorso, il cui riassunto più esteso è reperibile a questo link, da cui è tratto quanto qui riportiamo):

“La grande reputazione nell’antica Grecia del vino della Tracia, conosciuto come il vino di Dioniso non era legata alla vocazione per la viticoltura di quel territorio, peraltro freddo, ma ai commerci di ambra e stagno sicuramente più importanti del vino ed a un popolo di commercianti navigatori, i Focesi, che organizzavano anche la comunicazione di questo vino. … 

… In passato un vino non era famoso per le sue caratteristiche organolettiche interessanti, ma per la possibilità di essere venduto. Non a caso le grandi denominazioni nascono dove ci sono strade e porti, non per la bontà del suolo, del clima o per la capacità del produttore.

Questa è l’ambiguità del terroir di cui siamo ancora vittime – ha proseguito Scienza – nessuna denominazione attuale, né nostra né francese ha questi elementi ...

… Oggi una Doc è mito o realtà ? Da qui dobbiamo partire per capire cosa significa oggi la vocazione. La qualità si può fare dappertutto, è diventato un prerequisito. L’eccellenza, che vuol dire “spingere fuori”, è a latere della qualità data dal terroir e si sostanzia nei valori etici ed estetici, nel valore/onestà di chi produce e nella capacità di capirlo da parte di chi consuma.

Questo rappresenta il salto di qualità che dobbiamo dare ai contenuti di un terroir.

Le strategie per tornare ai valori orginari della vocazione del terroir sono l’autenticità, intesa come capacità di interpretare il territorio con un vino, e non è facile per nessuno.

In passato i terroir avevano un solo vino e così dovrebbe tornare ad essere: fare un solo vino e farlo bene. Oggi ci sono doc in cui si fanno 10-20 vini: solo uno è autentico gli altri servono ad allargare l’offerta per coprire tutte le occasioni di consumo. …

 

Qualche considerazione “a caldo”

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Quanto osserva Attilio Scienza rappresenta uno spunto di riflessione tanto  interessante quanto onesto , ma costituisce altresì un inquietante indizio che tutti i discorsi “filosofici” sulla tipicità dei vini e sulla loro qualità legata al territorio, che costituisce la loro denominazione protetta, siano oggi in realtà piuttosto vuoti nella loro sostanza.

Come dice Attilio Scienza, se la qualità “si può fare dappertutto” e se quelle “data dal terroir si sostanzia nei valori etici ed estetici”, cosa differenzia allora un vino a denominazione (che rispetti tali criteri) con quello prodotto da una cantina che rispetta rigorosi parametri ESG (che non sono quelli attualmente previsti dal disciplinare italiano sulla sostenibilità, vista la debolezza dei criteri relativi agli aspetti sociali e di governance)?

Ancora: è allora più corretto l’approccio seguito negli Stati Uniti (modificato   solo per effetto di un apposito accordo internazionale con l’Unione Europea), secondo cui le denominazioni vanno protette solo quanto sia in concreto appurata la conoscenza della loro notorietà in capo ai consumatori?

Infine: la protezione alle denominazioni di origine va quindi riconosciuta solo ai territori che effettivamente rispettano rigorosi ciriteri etici, da un canto, e tutelano in modo scrupoloso il territorio, dall’altro?

Quale sorte va allora riservata ai territori ove la biodiversità è stata seriamente pregiudicata?

 

 

 

Biagio Fabrizio Carillo

 

Biagio Fabrizio Carillo

Biagio Fabrizio Carillo

 

già Colonnello dei Carabinieri.

Criminologo.

Ha ricoperto nella sua lunga carriera numerosi incarichi di comando.

Ultimo incarico Comandante del Nas di Alessandria con competenza sulle province di Alessandria, Asti e Cuneo.

Laureato in Giurisprudenza e in Scienze strategiche presso Università degli studi di Torino.

È autore di numerosi saggi, pubblicazioni e articoli divulgativi sui temi della criminologia investigativa e in campo agroalimentare.

Consulente nel settore anche vitivinicolo della Confederazione italiana agricoltori di Asti e della Confartigianato imprese Cuneo.

Membro esterno dell’organismo di vigilanza della Banca Alpi Marittime in materia di responsabilità amministrativa delle imprese  (di cui al d. lsg. 231/2001)

 

Partnerships

Le partnerships: la nostra modalità per concretizzare il connubio tra interdisciplinarietà e specializzazione, il nostro punto di forza per la consulenza sul diritto vitivinicolo e per l’assistenza delle imprese agricole ed agroalimentari.


 

Biagio Fabrizio Carillo

Biagio Fabrizio Carillo

 

già Colonnello dei Carabinieri.

Criminologo.

Consulente nel settore anche vitivinicolo della Confederazione italiana agricoltori di Asti e della Confartigianato imprese Cuneo.

Membro esterno dell’organismo di vigilanza della Banca Alpi Marittime in materia di responsabilità amministrativa delle imprese (di cui al d. lsg. 231/2001)

 



Partecipazione in CEDISA

Centro Studi sul Diritto e le Scienze dell'Agricoltura, alimentazione e ambiente




Ascheri Academy



 

Biogas allevamento economia circolare

Produrre biogas dagli escrementi degli animali di un allevamento,  creando carburante per automobili (Biogas allevamento economia circolare)


Interessante ed innovativo esempio di economia circolare, realizzato da un’azienda agricola – quella di Nicoletta Cella, Agriturismo Bosco Gerolo Val Trebbia – in provincia di Piacenza (Biogas allevamento economia circolare).

Lo segnala Euronews durante le proprie trasmissioni del 5 ottobre 2022.

Video su Euronews

L’idea – già attuata e funzionante –  potrebbe rappresentare una modalità per rendere più sostenibili gli stessi allevamenti, cui si chiede di ridurre sensibilmente le emissioni di gas aventi “effetto serra”.

Cosa che attualmente viene invece interpreta come un obiettivo da raggiungere tramite il ridimensionamento degli allevamenti stessi (provocando forte opposizione da parte degli allevatori, come da poco accaduto nei Paesi Bassi).

Spiega Wikipedia che, “i biogas sono una miscela di vari tipi di gas, principalmente metano e anidride carbonica, prodotti dalla fermentazione batterica in anaerobiosi (assenza di ossigeno) di residui organici vegetali o animali.

I residui utili possono avere più origini: scarti dell’agroindustria (trinciato di mais, sorgo o altre colture), dell’industria alimentare (farine di scarto o prodotti scaduti), dell’industria zootecnica (reflui degli animali o carcasse); si possono utilizzare anche colture appositamente coltivate allo scopo di essere raccolte e trinciate per produrre “biomassa”, come mais, sorgo zuccherino, grano, canna comune, bietole.

L’intero processo vede la decomposizione del materiale organico da parte di alcuni tipi di batteri, con produzione di anidride carbonica, idrogeno e metano (metanizzazione dei composti organici)”.

Investire nelle terre di campagna è fondamentale, per la sostenibilità sia agricola che economica: in Cina sta tragicamente emergendo quanto è assurdo non farlo.