Pratiche enologiche OIV

La Commissione ha pubblicato l’elenco delle Pratiche enologiche ammesse da OIV (Pratiche enologiche OIV)


Schede pratiche enologiche OIV (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino):   in adempimento a quanto previsto nel Codice enologico europeo, la Commissione ha pubblicato l’elenco delle pratiche di cantina ammesse da OIV (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino), giacché esse sono richiamate dalle stesse tabelle di detto Codice, che individuano le pratiche ed i composti enologici da esso autorizzati (tabelle 1 e 2, portate dall’allegato I al Codice stesso).

In adempimento a quanto previsto nel Codice enologico europeo,   la Commissione ha pubblicato l’elenco delle pratiche di cantina ammesse da OIV (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino), giacché esse sono richiamate dalle stesse tabelle di detto Codice, che individuano le pratiche ed i composti enologici da esso autorizzati (tabelle 1 e 2, portate dall’allegato I al Codice stesso: in entrambe, si veda la colonna n.3).

In effetti, in base a quanto sancito nella regolamento base sulla OCM Unica (regolamento di Consiglio e Parlamento Europeo UE/1308/2013, art.80, comma 5), la Commissione ha sì ricevuto la delega a disciplinare le pratiche di cantina ed i composti enologi, ma nel farlo essa deve adesso basarsi

“sui metodi pertinenti raccomandati e pubblicati dall’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (OIV), a meno che tali metodi siano inefficaci o inadeguati per conseguire l’obiettivo perseguito dall’Unione”.

Circa i requisiti di purezza di additivi e coadivuanti per il vino, Il Codice enologico europeo (art.9) rinvia – per quanto non specificamente disciplinato dalla normativa comunitaria (costituita dal regolamento della Commissione UE/231/2012)  – al Codice enologico internazionale elaborato sempre da OIV.

La Commissione ha comunque evidenziato che – in caso di contrasto tra  quanto rispettivamente consentito dal Codice enologico europeo e quanto da OIV – prevalgono le disposizioni del primo.

Per quanto concerne gli enzimi (quelli autorizzati dal Codice enologico europeo, che costituiscono dei coadiuvanti tecnologici), sempre all’art.9 quest’ultimo stabilisce che:

 “gli enzimi e i preparati enzimatici utilizzati nelle pratiche e nei trattamenti enologici autorizzati elencati nell’allegato I, parte A, rispondono ai requisiti di cui al regolamento (CE) n. 1332/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio.


Il Codice enologico europeo è attualmente costituito dal regolamento della Commissione UE/934/2019, il quale indica quali sono le pratiche enologiche e quali gli ingredienti enologici autorizzati per la produzione di vino nell’Unione Europea.

Di conseguenza, nessun vino può essere legalmente commercializzato nell’Unione Europea, se prodotto utilizzando:

  • tecniche e/o ingredienti enologici diverse da quelle autorizzate dal Codice stesso (salve sperimentazioni nazionali, debitamente autorizzate seguendo le procedure previste dal Codice in questione)
  • tecniche e/o ingredienti enologici  autorizzati, ma violando i limiti eventualmente stabiliti dal Codice enologico per il loro utilizzo.

Per i vini importati da Stati terzi valgono i medesimi principi, a meno che non siano derogati da appositi accordi intrnazionali conclusi in materia dall’Unione Europea con lo Stato terzo produttore (si pensi a quello con gli Stati Uniti d’America, fatto nel 2006).


OIV - Nornativa tecnica


 

Autorizzazione impianto vigneti 2020

Autorizzazione impianto vigneti 2020:  pubblicata una nuova guida di AGEA (circolare AGEA  n.11517 del  13 febbraio 2020).


Autorizzazione impianto vigneti 2020: la circolare AGEA n.11517 del 13 febbraio 2020 fa il punto sulla legislazione nazionale nonché sulle posizioni adottate dalle Regioni in merito ai criteri di priorità.

Essa sostituisce integralmente quella adottata per l’anno 2019 (circolare 12599 del 14 febbraio 2019), ma ne riprende sostanzialmente i contenuti, sopratutto per quanto concerne il rispetto dei criteri di priorità  e di ammissibilità (che vengono anzi ulteriormente salvaguardati) ed i limiti al traferimento tra Regioni.

Il quadro normativo italiano di riferimento resta quello portato dal D.M. 12272 del 15 dicembre 2015 , (come precisato dalla circolare MIPAAF 5852 del 25/10/2016), in ultimo modificato dal DM 935 del 13 febbraio 2018.

Il tutto in applicazione delle regole portate dalla OCM Unica (Regolamento UE 1308/2013, articoli 62 e seguenti, che a sua volta è stato oggetto di successive modificazioni), su cui si è espressa la Commissione UE con il parere (ARES 2017-5680223), secondo cui:

“l’affitto di superfici vitate, al solo scopo di procedere alla loro immediata estirpazione ed al reimpianto in località differente e molto distante, non può essere considerato una normale attività agricola, sopratutto se la superficie vitata oggetto di estirpazione non è gestita dall’affittuario per un certo lasso di tempo e se il contratto di affitto è rescisso dopo l’estirpazione”.

Di conseguenza, la circolare AGEA 11517 del 13 febbraio 2020 individua i seguenti principi:

 

3) Modifica della superficie per cui è concessa l’autorizzazione

Dal 2018 la modifica di una superficie rilasciata sulla base di un criterio di priorità individuato dalla Regione secondo l’articolo 7bis del DM n. 12272 del 15 dicembre 2015, è da intendersi analoga alla fattispecie riportata nell’articolo 7 paragrafo 3 per la quale trova applicazione l’articolo 14del medesimo decreto, ovvero, su domanda del richiedente, un impianto di viti può essere effettuato in una superficie dell’azienda diversa dalla superficie per cui è stata concessa l’autorizzazione solo nel caso in cui anche la nuova superficie rispetti i medesimi criteri di priorità di cui all’articolo 7bis per i quali è stata rilasciata l’autorizzazione.

 

4) Modifica della Regione/P.A. di riferimento

Il titolare dell’autorizzazione al reimpianto può richiedere, in modalità telematica, di variare la regione di riferimento al fine di poter utilizzare l’autorizzazione per impiantare un vigneto in una regione diversa da quella per cui ha ottenuto l’autorizzazione.

La modifica della regione di riferimento delle autorizzazioni per i nuovi impianti non è permessa se non vengono rispettati i criteri di ammissibilità e gli eventuali criteri di priorità previsti alla presentazione della domanda e che hanno determinato il rilascio dell’autorizzazione.

La richiesta di modifica della regione di riferimento delle autorizzazioni deve essere inoltrata alla regione dove si vuole effettuare l’impianto. La richiesta di modifica della regione di riferimento deve ricevere il nulla osta sia da parte della regione dove si vuole effettuare l’impianto, sia da parte della regione di origine.

Non è consentita la modifica della regione di riferimento di autorizzazioni per reimpianto anticipato. Al fine di contrastare fenomeni elusivi del principio della gratuità e non trasferibilità della titolarità delle autorizzazioni conseguenti ad atti di trasferimento temporaneo della conduzione, l’estirpazione dei vigneti effettuata prima dello scadere dei 6 anni dalla data di registrazione dell’atto di conduzione non dà origine ad autorizzazioni di reimpianto in una Regione differente da quella in cui è avvenuto l’estirpo. La presente disposizione non si applica agli atti di trasferimento temporaneo registrati prima dell’entrata in vigore del DM 935 del 13 febbraio2018 ….  Tale disposizione, per identità di ratio, è applicabile anche all’ipotesi di richiesta di trasferimento di una autorizzazione al reimpianto su terreni  in conduzione (mediante atti di trasferimento temporaneo) da meno di 6 anni in una regione differente.

 

Ribadendo un principio già fissato dalla precedente circolare del 2019, la circolare AGEA emessa per l’anno 2020 (circolare 11517 del 13 febbraio 2020) ha altresì sancito:

 

“A.Rilascio di autorizzazioni per nuovi impianti (annuale)

Il Ministero rende nota con decreto direttoriale entro il 30 settembre di ogni annola superficie nazionale che può essere oggetto di autorizzazioniper nuovi impianti nell’annualità successiva(da qui in avanti“superficie nazionale autorizzabile”).

Al fine di contrastare fenomeni elusivi del criterio di distribuzione proporzionale, anche nell’ambito dell’introduzione di criteri di priorità e del rispetto del miglioramento della competitività del settore nell’ambito delle singole Regioni, dal2017 sono state introdottele seguenti prescrizioni:

1) nelle domande di autorizzazione per nuovi impianti dovranno essere specificate la dimensione richiesta e la Regione nella quale si intende localizzare le superfici oggetto di richiesta. Le autorizzazioni per nuovi impianti concesse dalla campagna 2017 e 2018, quindi, non sono più trasferibili da una regione ad un’altra, in quanto ciò contrasta con il criterio di ammissibilità.

2) Il vigneto impiantato a seguito del rilascio dell’autorizzazione è mantenuto per un numero minimo di 5 anni, fatti salvi i casi di forza maggiore e/omotivi fitosanitari. Per tale motivo, l’estirpazione dei vigneti impiantati con autorizzazioni di nuovo impianto prima dello scadere dei 5 anni dalla data di impianto non dà origine ad autorizzazioni di reimpianto.”

 

Per quanto concerne i criteri di prorità adottati dalle singole Regioni (nel rispetto dei criteri fissati dalla normativa comunitaria), si veda l’allegato n.1 alla stessa circolare Agea del 2020.


Autorizzazioni impianto nuovi vigneti: normativa italiana


Regione Piemonte - Autorizzazione impianto vitigni


 

Accordo UE Giappone tutela DOP IGP

Gli accordi della UE con Cina e Giappone per la tutela di alcune DOP(Accordo UE-Giappone tutela DOP IGP)


Nell’anno 2019 l’Unione Europea ha concluso due accordi internazionali – uno con la Cina (Accordo UE-Cina tutela DOP IGP) e l’altro con il Giappone (Accordo UE-Giappone tutela DOP IGP) – che aggiungono nuovi nodi ad una rete di appositi trattati internazionali, pazientemente tessuta al fine di salvaguardare nel mondo le nostre DOP e IGP.

Cerchiamo innanzitutto di capire perché tali accordi sono indispensabili.

I nomi geografici, costituenti DOP ovvero IGP, sono protetti – quando ciò avviene, ma non è cosa scontata nel mondo! – per effetto di norme giuridiche, le quali esplicano però effetto unicamente sul territorio dell’ordinamento che le prevede. Va da sé che, più è ampio il territorio dell’ordinamento giuridico in questione, maggiore è l’estensione geografica delle zone ove vige siffatta tutela.

In buone sostanza, i confini nazionali rappresentano un grave ostacolo alla tutela in questione.

In Europa, tale problema è stato risolto – con notevole efficacia! – proprio grazie alle norme comunitarie: facendo discendere da esse la protezione di DOP e IGP, i confini nazionali all’interno dell’Unione non ledono minimamente la loro tutela. In altre parole, in virtù del diritto comunitario, una denominazione italiana è protetta nello stesso modo tanto in Italia, quanto in Francia, quanto in Germania, e così via in tutti gli altri Paesi dell’Unione.

La protezione, peraltro, è molto estesa, siccome essa vieta (art.103 del Regolamento 1308/2013/UE) – fra l’altro – di ledere le DOP e le IGP con «qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto o servizio è indicata o se il nome protetto è una traduzione, una trascrizione o una traslitterazione o è accompagnato da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, “gusto”, “come” o espressioni simili».

Superando i confini dell’Unione Europea, ciò viene meno.

L’unica possibilità, per mantenere una certa tutela, è che anche gli Stati non facenti parte dell’Unione riconoscano sul loro territorio una qualche protezione a DOP e IGP comunitarie.

E’ vero che gli Accordi TRIPS, conclusi in sede dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, comportano l’obbligo per tutti gli Stati aderenti di proteggere le denominazioni di origine (ma non le indicazioni geografiche!), ma è parimenti vero che detti accordi sono assai poco efficaci.

Per rimediare, non restava che stringere appositi trattati con i singoli paesi.

Per farlo è tuttavia necessario disporre di molto potere negoziale: forza che l’Italia – da sola – avrebbe in misura alquanto limitata.

A partire dagli anni ‘90, dunque, l’Unione Europea ha gradatamente concluso molteplici accordi in materia con molti altri Stati – fra cui: U.S.A., Canada, Sud Africa, Cile, Australia, … – per vedere protette sul loro territorio le nostre DOP e IGP, così intessendo una vera e propria “rete” in loro difesa.

In buona sostanza: è grazie all’Unione Europea che le nostre DOP e IGP vengono tutelate in gran parte del mondo con una certa effettività.

Siffatta “rete” presentava però due preoccupanti buchi, adesso in qualche modo tappati: mancavano infatti la Cina ed il Giappone.

Il tema era particolarmente cruciale per i produttori europei, giacché per noi le denominazioni di origine rappresentano un patrimonio economico assolutamente significativo. Tuttavia, negli ultimi anni anche la Cina – volendo entrare sempre più nel mondo del commercio internazionale – ha iniziato a riconoscere alcune denominazioni di origine del proprio territorio (la prima riguarda le lingue d’oca).

E’ però errato pensare che tale complesso sistema di protezione sia omogeneo.

Ad esempio, l’Accordo tra UE ed USA verte esclusivamente sul commercio del vino: esso pertanto tutela in modo abbastanza esteso le DOP europee relative a tale settore, ma esclude quelle dei prodotti alimentari. Lo stesso dicasi per i trattati con l’Australia, la Repubblica Sudafricana ed il Cile.

Per contro, il recente Accordo con la Cina concerne anche le DOP alimentari. Tuttavia, le DOP europee che ne beneficiano – vedendo così riservata sia la loro espressione in caratteri latini che la loro traslitterazione in ideogrammi cinesi – sono al momento relativamente poche, e cioè solo un centinaio, di cui ben 26 italiane.

Ecco quali sono queste ultime: Aceto Balsamico di Modena, Asti, Barbaresco, Bardolino Superiore, Barolo, Brachetto d’Acqui, Brunello di Montalcino, Chianti, Conegliano-Valdobbiadene Prosecco, Dolcetto d’Alba, Franciacorta, Montepulciano d’Abruzzo, Soave, Toscano/Toscana, Vino Nobile di Montepulciano (per quanto concerne i vini); Grappa (in relazione ai liquori); Asiago, Bresaola della Valtellina, Gorgonzola, Grana Padano, Mozzarella di Bufala Campana, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Prosciutto di Parma, Prosciutto San Daniele, Taleggio (DOP alimentari).

Di certo, dette DOP sono tra le nostre più significative, il che è un gran successo. Però il loro numero è comunque modesto, per cui è da augurarsi che l’attuale accordo con la Cina rappresenti un primo passo per una tutela numericamente più diffusa. In effetti, nell’Unione Europea sono tutelate ben 573 DOP e 248 IGP italiane (di cui, rispettivamente, 167 e 130 agroalimentari nonché 406 e 118 per i vini)!

Anche il recente ampio accordo commerciale tra Unione Europea e Giappone, che tra le sue molteplici pattuizioni prevede pure la protezione delle rispettive DOP, non rappresenta una misura di loro generale salvaguardia, essendo limitato il numero delle denominazioni di origine che ne beneficiano.

Per quanto concerne le DOP italiane, il Giappone ha accettato di proteggere sul proprio territorio – oltre a tutte quelle oggetto dell’accordo tra UE e Cina – anche i seguenti ulteriori nomi geografici o di prodotti: Sicilia, Soave, Valpolicella, Vernaccia di San Gimignano, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Gasparossa di Castelvetro, Marsala, Montepulciano di Abruzzo, Campania, Bolgheri / Bolgheri Sassicaia, Bardolino / Bardolino Superiore (con riferimento ai vini); Fontina, Mela Alto Adige / Südtiroler Apfel, Mortadella Bologna, Pecorino Toscano, Prosciutto Toscano, Provolone Valpadana, Taleggio, Zampone Modena.

Inoltre, sia l’accordo con la Cina sia quello con il Giappone – al pari di molti altri accordi internazionali – esplicano i loro effetti solo in favore dei citati nomi geografici, lasciando invece scoperte le relative sotto-zone ed indicazioni geografiche aggiuntive, che nemmeno sono tutelate (proprio perché sono cosa diversa dalle denominazioni), ma semplicemente consentite dalla legislazione dell’Unione Europea sull’organizzazione comune dei mercati e che trovano il loro fondamento nel Testo Unico Vino del nostro paese (il che implica una protezione molto più limitata e flebile).

Pure le menzioni tradizionali connesse alle denominazioni coperte dai nuovi accordi con Cina e Giappone non trovano protezione, ma ciò vale anche per molti altri accordi internazionali sul commercio del vino conclusi dalla UE (fanno eccezione quelli con l’Australia ed il Cile), mentre all’interno della Unione esse sono salvaguardate. Anzi, il relativo livello di protezione è aumentato con l’adozione del regolamento della Commissione 33/2019, che ha sostanzialmente assimilato la portata della protezione per le menzioni a quella per le dominazioni (fatta salva la differenza che le prime sono tutelate solo nella versione linguistica con cui sono registrate, mentre per le seconde la tutela copre anche la loro espressione nelle altre lingue dell’Unione).

Insomma, questi due nuovi accordi internazionali – che vanno sicuramente apprezzati e ben accolti! – iniziano forse a connotare una sorta di differenziazione all’interno delle stesse DOP e IGP, sostanzialmente ricollegabile al peso economico delle rispettive produzioni.

Chi realizza quelle attualmente escluse dalla protezione, dovrà quindi prestare attenzione all’evoluzione della situazione, per capire se in futuro essa si consoliderà alle restrittive attuali condizioni ovvero si assisterà ad una graduale estensione del campo di operatività della tutela di DOP e IGP europee in Cina e Giappone. La questione appare particolarmente delicata per quei produttori che puntano a vedere proprio su tali importanti mercati.


Circolare Agenzia dogane su accordo UE - Giappone


Sempre a fine dell’anno 2019, l’Unione Europea ha compiuto ulteriori passi per perfezionare la propria adesione al cosiddetto “Accordo di Lisbona” (così come modificato da quello successivo di Ginevra), che – in sede WIPO (World Intellectual Property Organization) – ha come obiettivo la tutela sia delle denominazioni di origine, sia delle indicazioni geografiche.

Ciò consente di rafforzare la tutela di DOP e IGP dell’Unione Europea nei seguenti paesi, magari meno rilevanti sul piano dell’export dei nostri vini, ma che – in assenza di tale trattato – avrebbero potuto costituire un “porto sicuro” per eventuali operazioni di contraffazione: Albania, Algeria, Bosnia ed Herzegovina, Burkina Faso, Congo, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana, Korea del Nord, Repubblica Dominicana, Gabon, Georgia, Haiti, Iran, Israele, Mexico, Montenegro, Nicaragua, Macedonia del Nord, Peru, Moldavia, Togo e Tunisia.

Accordo UE-Cina tutela DOP IGP

Gli accordi della UE con Cina e Giappone per la tutela di alcune DOP(Accordo UE-Cina tutela DOP IGP)


Nell’anno 2019 l’Unione Europea ha concluso due accordi internazionali – uno con la Cina (Accordo UE-Cina tutela DOP IGP) e l’altro con il Giappone (Accordo UE-Giappone tutela DOP IGP) – che aggiungono nuovi nodi ad una rete di appositi trattati internazionali, pazientemente tessuta al fine di salvaguardare nel mondo le nostre DOP e IGP.

Cerchiamo innanzitutto di capire perché tali accordi sono indispensabili.

I nomi geografici, costituenti DOP ovvero IGP, sono protetti – quando ciò avviene, ma non è cosa scontata nel mondo! – per effetto di norme giuridiche, le quali esplicano però effetto unicamente sul territorio dell’ordinamento che le prevede. Va da sé che, più è ampio il territorio dell’ordinamento giuridico in questione, maggiore è l’estensione geografica delle zone ove vige siffatta tutela.

In buone sostanza, i confini nazionali rappresentano un grave ostacolo alla tutela in questione.

In Europa, tale problema è stato risolto – con notevole efficacia! – proprio grazie alle norme comunitarie: facendo discendere da esse la protezione di DOP e IGP, i confini nazionali all’interno dell’Unione non ledono minimamente la loro tutela. In altre parole, in virtù del diritto comunitario, una denominazione italiana è protetta nello stesso modo tanto in Italia, quanto in Francia, quanto in Germania, e così via in tutti gli altri Paesi dell’Unione.

La protezione, peraltro, è molto estesa, siccome essa vieta (art.103 del Regolamento 1308/2013/UE) – fra l’altro – di ledere le DOP e le IGP con «qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto o servizio è indicata o se il nome protetto è una traduzione, una trascrizione o una traslitterazione o è accompagnato da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, “gusto”, “come” o espressioni simili».

Superando i confini dell’Unione Europea, ciò viene meno.

L’unica possibilità, per mantenere una certa tutela, è che anche gli Stati non facenti parte dell’Unione riconoscano sul loro territorio una qualche protezione a DOP e IGP comunitarie.

E’ vero che gli Accordi TRIPS, conclusi in sede dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, comportano l’obbligo per tutti gli Stati aderenti di proteggere le denominazioni di origine (ma non le indicazioni geografiche!), ma è parimenti vero che detti accordi sono assai poco efficaci.

Per rimediare, non restava che stringere appositi trattati con i singoli paesi.

Per farlo è tuttavia necessario disporre di molto potere negoziale: forza che l’Italia – da sola – avrebbe in misura alquanto limitata.

A partire dagli anni ‘90, dunque, l’Unione Europea ha gradatamente concluso molteplici accordi in materia con molti altri Stati – fra cui: U.S.A., Canada, Sud Africa, Cile, Australia, … – per vedere protette sul loro territorio le nostre DOP e IGP, così intessendo una vera e propria “rete” in loro difesa.

In buona sostanza: è grazie all’Unione Europea che le nostre DOP e IGP vengono tutelate in gran parte del mondo con una certa effettività.

Siffatta “rete” presentava però due preoccupanti buchi, adesso in qualche modo tappati: mancavano infatti la Cina ed il Giappone.

Il tema era particolarmente cruciale per i produttori europei, giacché per noi le denominazioni di origine rappresentano un patrimonio economico assolutamente significativo. Tuttavia, negli ultimi anni anche la Cina – volendo entrare sempre più nel mondo del commercio internazionale – ha iniziato a riconoscere alcune denominazioni di origine del proprio territorio (la prima riguarda le lingue d’oca).

E’ però errato pensare che tale complesso sistema di protezione sia omogeneo.

Ad esempio, l’Accordo tra UE ed USA verte esclusivamente sul commercio del vino: esso pertanto tutela in modo abbastanza esteso le DOP europee relative a tale settore, ma esclude quelle dei prodotti alimentari. Lo stesso dicasi per i trattati con l’Australia, la Repubblica Sudafricana ed il Cile.

Per contro, il recente Accordo con la Cina concerne anche le DOP alimentari. Tuttavia, le DOP europee che ne beneficiano – vedendo così riservata sia la loro espressione in caratteri latini che la loro traslitterazione in ideogrammi cinesi – sono al momento relativamente poche, e cioè solo un centinaio, di cui ben 26 italiane.

Ecco quali sono queste ultime: Aceto Balsamico di Modena, Asti, Barbaresco, Bardolino Superiore, Barolo, Brachetto d’Acqui, Brunello di Montalcino, Chianti, Conegliano-Valdobbiadene Prosecco, Dolcetto d’Alba, Franciacorta, Montepulciano d’Abruzzo, Soave, Toscano/Toscana, Vino Nobile di Montepulciano (per quanto concerne i vini); Grappa (in relazione ai liquori); Asiago, Bresaola della Valtellina, Gorgonzola, Grana Padano, Mozzarella di Bufala Campana, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Prosciutto di Parma, Prosciutto San Daniele, Taleggio (DOP alimentari).

Di certo, dette DOP sono tra le nostre più significative, il che è un gran successo. Però il loro numero è comunque modesto, per cui è da augurarsi che l’attuale accordo con la Cina rappresenti un primo passo per una tutela numericamente più diffusa. In effetti, nell’Unione Europea sono tutelate ben 573 DOP e 248 IGP italiane (di cui, rispettivamente, 167 e 130 agroalimentari nonché 406 e 118 per i vini)!

Anche il recente ampio accordo commerciale tra Unione Europea e Giappone, che tra le sue molteplici pattuizioni prevede pure la protezione delle rispettive DOP, non rappresenta una misura di loro generale salvaguardia, essendo limitato il numero delle denominazioni di origine che ne beneficiano.

Per quanto concerne le DOP italiane, il Giappone ha accettato di proteggere sul proprio territorio – oltre a tutte quelle oggetto dell’accordo tra UE e Cina – anche i seguenti ulteriori nomi geografici o di prodotti: Sicilia, Soave, Valpolicella, Vernaccia di San Gimignano, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Gasparossa di Castelvetro, Marsala, Montepulciano di Abruzzo, Campania, Bolgheri / Bolgheri Sassicaia, Bardolino / Bardolino Superiore (con riferimento ai vini); Fontina, Mela Alto Adige / Südtiroler Apfel, Mortadella Bologna, Pecorino Toscano, Prosciutto Toscano, Provolone Valpadana, Taleggio, Zampone Modena.

Inoltre, sia l’accordo con la Cina sia quello con il Giappone – al pari di molti altri accordi internazionali – esplicano i loro effetti solo in favore dei citati nomi geografici, lasciando invece scoperte le relative sotto-zone ed indicazioni geografiche aggiuntive, che nemmeno sono tutelate (proprio perché sono cosa diversa dalle denominazioni), ma semplicemente consentite dalla legislazione dell’Unione Europea sull’organizzazione comune dei mercati e che trovano il loro fondamento nel Testo Unico Vino del nostro paese (il che implica una protezione molto più limitata e flebile).

Pure le menzioni tradizionali connesse alle denominazioni coperte dai nuovi accordi con Cina e Giappone non trovano protezione, ma ciò vale anche per molti altri accordi internazionali sul commercio del vino conclusi dalla UE (fanno eccezione quelli con l’Australia ed il Cile), mentre all’interno della Unione esse sono salvaguardate. Anzi, il relativo livello di protezione è aumentato con l’adozione del regolamento della Commissione 33/2019, che ha sostanzialmente assimilato la portata della protezione per le menzioni a quella per le dominazioni (fatta salva la differenza che le prime sono tutelate solo nella versione linguistica con cui sono registrate, mentre per le seconde la tutela copre anche la loro espressione nelle altre lingue dell’Unione).

Insomma, questi due nuovi accordi internazionali – che vanno sicuramente apprezzati e ben accolti! – iniziano forse a connotare una sorta di differenziazione all’interno delle stesse DOP e IGP, sostanzialmente ricollegabile al peso economico delle rispettive produzioni.

Chi realizza quelle attualmente escluse dalla protezione, dovrà quindi prestare attenzione all’evoluzione della situazione, per capire se in futuro essa si consoliderà alle restrittive attuali condizioni ovvero si assisterà ad una graduale estensione del campo di operatività della tutela di DOP e IGP europee in Cina e Giappone. La questione appare particolarmente delicata per quei produttori che puntano a vedere proprio su tali importanti mercati.


Circolare Agenzia dogane su accordo UE - Giappone


Sempre a fine dell’anno 2019, l’Unione Europea ha compiuto ulteriori passi per perfezionare la propria adesione al cosiddetto “Accordo di Lisbona” (così come modificato da quello successivo di Ginevra), che – in sede WIPO (World Intellectual Property Organization) – ha come obiettivo la tutela sia delle denominazioni di origine, sia delle indicazioni geografiche.

Ciò consente di rafforzare la tutela di DOP e IGP dell’Unione Europea nei seguenti paesi, magari meno rilevanti sul piano dell’export dei nostri vini, ma che – in assenza di tale trattato – avrebbero potuto costituire un “porto sicuro” per eventuali operazioni di contraffazione: Albania, Algeria, Bosnia ed Herzegovina, Burkina Faso, Congo, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana, Korea del Nord, Repubblica Dominicana, Gabon, Georgia, Haiti, Iran, Israele, Mexico, Montenegro, Nicaragua, Macedonia del Nord, Peru, Moldavia, Togo e Tunisia.


Disegni e paesaggi evocativi DOP IGP

Disegni e paesaggi evocativi di un territorio sono riservati ai suoi vini DOP e IGP (Disegni e paesaggi evocativi DOP IGP)


Un disegno oppure un paesaggio, quando particolarmente evocativi nel sentire collettivo (disegni e paesaggi evocativi DOP IGP), possono efficacemente richiamare alle mente dei consumatori un certo territorio.

Disegni e paesaggi evocativi DOP IGP

Qualora il nome di tale territorio sia protetto come denominazione di origine, è allora legittimo utilizzare disegni o immagini di paesaggio – aventi siffatta forte capacità evocativa – su etichette di prodotti agricoli, alimentari o vini che non rispondono alle specifiche fissate dal disciplinare di produzione di tale territorio?

Diversamente detto: l’uso in etichetta di disegni o immagini di paesaggio, fortemente evocativi di un territorio il cui nome è protetto, è  riservato solo ai suoi prodotti DOP, così escludendosi che essi siano apponibili sulle etichette di qualsiasi altro prodotto, che provenga o meno dal medesimo territorio?

Una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (resa il 2 maggio 2019 in causa C-614/2017) ha sancito che siffatta riserva sussiste, così rafforzando la tutela di tutte le denominazioni di origine.

Esaminare il caso deciso dalla Corte aiuta non solo a comprendere la situazione, ma anche a capire meglio quando si applica il principio così stabilito.

Una società spagnola commercializzava tre dei suoi formaggi – nessuno dei quali DOP – utilizzando etichette che non solo contenevano il disegno di un cavaliere che assomigliava alle raffigurazioni abituali di Don Chisciotte della Mancia, di un cavallo magro e di paesaggi con mulini a vento e pecore, ma anche i termini «Quesos Rocinante» («Formaggi Ronzinante»).

Tali immagini e il termine «Ronzinante» fanno riferimento al romanzo Don Chisciotte della Mancia, di Miguel de Cervantes, ove «Ronzinante» è il nome del cavallo montato da Don Chisciotte. I formaggi in questione non rientravano nella denominazione di origine protetta (DOP) «queso manchego», che protegge i formaggi lavorati nella regione La Mancia (Spagna) con latte di pecora e nel rispetto dei requisiti del disciplinare di tale DOP.

Insomma: usando in etichetta tali immagini (il disegno del cavaliere che ricordava Don Chisciotte ed il suo magro destriero, ambientati in un paesaggio di mulini a vento), il fabbricante del formaggio non a denominazione di origine riusciva ad evocare nei consumatori il territorio spagnolo La Mancia, nome protetto come DOP, così approfittando della sua notorietà e reputazione per vendere i propri prodotti.

Sebbene i giudici spagnoli di primo e secondo grado avessero escluso in tale condotta la presenza di una violazione della normativa comunitaria a tutela delle denominazioni di origine, il sospetto si è invece insinuato nella Suprema Corte di tale paese, che ha finalmente rinviato il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione, così consentendole di pronunciarsi nel modo che abbiamo riferito.

Il punto chiave è allora il seguente: il diritto dell’Unione non vieta di riprodurre in etichetta qualunque disegno o paesaggio di un territorio, il cui nome è protetto come denominazione di origine o indicazione geografica, ma solo quelli aventi la capacità e la forza di suscitare nel pubblico dei consumatori (la Corte fa riferimento al concetto di “consumatore europeo medio”) il ricordo dello stesso territorio, così evocandolo nella loro mente.

Tuttavia, affinché il divieto si concretizzi (e sia applicabile in tutta l’Unione), per la Corte è sufficiente che l’evocazione avvenga anche solo nei consumatori dello Stato cui appartiene il territorio in questione, i quali potrebbero essere più sensibili per ragioni culturali a determinate immagini e, magari, essere i soli ad identificarne la valenza territoriale.

Il criterio determinante per ravvisare la sussistenza dell’evocazione di una denominazione (e, quindi, la sua violazione, quando ad approfittarne è un prodotto che non può legittimamente fregiarsi della relativa DOP o IGP) è dunque quello di stabilire se il termine ovvero il disegno o il paesaggio evocativo “possa richiamare direttamente nella mente del consumatore, come immagine di riferimento, il prodotto che beneficia di tale denominazione”.

Anche in questo caso, l’azione a tutela della denominazione violata è stata intentata dal relativo consorzio di tutela.

Dichiarazione vendemmia produzione

Dichiarazione vendemmia produzione, il decreto MIPAAF 7701/2019 indica le nuove norme.


Mediante il decreto 7701/2019, il MIPAAFT ha dettato le nuove regole applicabili – a partire dalla campagna agricola 2018/2019 – per la dichiarazione vendemmia produzione.

Il decreto – attuativo della normativa comunitaria in materia nonché del Testo Unico Vino (art.58 di quest’ultimo) – stabilisce che la dichiarazione di vendemmia o produzione va presentata telematicamente e che, a tal fine, il sistema sarà disponibile dal 1 agosto al 31 dicembre di ogni anno.

La dichiarazione di vendemmia va presentata ogni anno entro il 30 novembre, fatte salve alcune regole particolari per le produzioni tardive (ciò anche per l’ipotesi in cui la vendemmia per la campagna intessata abbia dato una produzione pari a zero).

La dichiarazione di produzione va presentata ogni anno entro il 15 dicembre, con riferimento ai prodotti detenuti al 30 novembre (che concerne anche chi opera in conto-lavorazione).

Al più tardi della campagna 2020/2021, chi detiene il registro telematico avrà facoltà compilare la dichiarazione di produzione sulla base dei dati contenuti nel registro stesso, che sarano riportati in automatico, ma andranno corretti se necessario.

I coltivatori di uve che conferiscono interamente la propria produzione ad una associazione oppure una cantina sociale sono tenuti ad indicarlo, mediante la compilazione di appositi quadri (F2 e R). Questi ultimi entreranno a far parte della dichiarazione che l’associazione o la cantina dovrà depositare.

La dichiarazione di vendemmia contiene anche l’eventuale rivendicazione delle uve per la trasformazione in vini IGP o DOP, con l’indicazione degli esuberi delle rese delle stesse uve IGP o DOP, che devono essere nei limiti consentiti dai relativi disciplinari.

E’ prevista la possibilità di presentare dichiarazioni preventive per particolari vini IGP o DOP che siano commericializzati prima della data di presentazione delle dichiarazioni di vendemmia e/o produzione.

Il decreto indica anche i soggetti esonerati dal presentare le dichiarazioni.

AGEA ha il compito di indicare le modalità tecnico-operative.


La riforma dello schedario viticolo comporta variazioni anche per la dichiarazione annuale di vendemmia e produzione.


 

Codice enologico europeo

La Commissione ha adottato il regolamento 934/2019, portante il nuovo codice enologico europeo.


La novità principale del nuovo codice enologico europeo (uno degli atti fondamentali di attuazione della OCM Unica nel settore vitivinicolo) è l’introduzione della distinzione tra “ingredienti” ed “eccipienti” dei vini.

Tale distinzione è stata adottata in vista della futura entrata in vigore (al momento nulla è ancora stato deciso al riguardo) dell’obbligo di indicare sull’etichetta dei vini i relativi ingredienti.

Quest’ultimo discende dalla circostanza che anche ai vini – in quanto alimenti – si applica il regolamento UE 1169/2011 sulle informazioni ai consumatori riguardo ai prodotti alimentari.

Sino ad ora i vini (grazie all’art.41 di detto regolamento) sono stati esentati dall’obbligo di indicare in etichetta gli ingredienti, poiché mancavano regole specifiche in sede di Unione Europea, ma adesso quest’ultima intende colmare la lacuna.

Le sostanze usate durante le pratiche enologiche potrebbero allora dover essere in futuro indicate nell’etichetta.

 

Codice enologico comunitario etichette

La distinzione tra “ingredienti” ed “eccipienti” dei vini, adesso introdotta nel nuovo Codice enologico comunitario, cerca di contenere l’obbligo di indicare in etichetta alle sole sostanze – impiegate durante le pratiche enologiche – considerate come veri e propri tra “ingredienti”, mentre potrebbe portare ad escludere dall’indicazione obbligatoria in etichetta quelle qualificate come meri “eccipienti” dei vini.


In effetti, l’art. 20 del citato regolamento UE 1169/2011 dispone:

“Omissione dei costituenti di un prodotto alimentare dall’elenco degli ingredienti.

Fatto salvo l’articolo 21, nell’elenco degli ingredienti non è richiesta la menzione dei seguenti costituenti di un alimento:

a) ..

b) gli additivi e gli enzimi alimentari:

i) …

ii) che sono utilizzati come coadiuvanti tecnologici“;


La differenza consiste nella circostanza che, come meglio chiarito dal regolamento di Consiglio e Parlamento UE/1333/2008 (art.3),

  • gli additivi sono “qualsiasi sostanza abitualmente non consumata come alimento in sé e non utilizzata come ingrediente caratteristico di alimenti, con o senza valore nutritivo, la cui aggiunta intenzionale ad alimenti per uno scopo tecnologico nella fabbricazione, nella trasformazione, nella preparazione, nel trattamento, nell’imballaggio, nel trasporto o nel magazzinaggio degli stessi, abbia o possa presumibilmente avere per effetto che la sostanza o i suoi sottoprodotti diventino, direttamente o indirettamente, componenti di tali alimenti“;
  • mentre i coadiuvanti sono “ogni sostanza che: i) non è consumata come un alimento in sé;  ii) è intenzionalmente utilizzata nella trasformazione di materie prime, alimenti o loro ingredienti, per esercitare una determinata funzione tecnologica nella lavorazione o nella trasformazione; e  iii) può dar luogo alla presenza, non intenzionale ma tecnicamente inevitabile, di residui di tale sostanza o di suoi derivati nel prodotto finito, a condizione che questi residui non costituiscano un rischio per la salute e non abbiano effetti tecnologici sul prodotto finito”.

Detto regolamento si applica solo alle sostanze qualificabili come additivi e, pertanto, prevede solo per esse l’obbligo di indicarne la presenza sull’etichetta degli alimenti che le contengono (art.21 e seguenti).


Nonostante la distinzione adesso introdotta nel Codice enologico comunitario, quale sarà la futura disciplina dipende da cosa verrà deciso in sede europea circa la portata dell’obbligo di etichettatura dei vini.


 Nel contesto delle discussioni sulla riforma della PAC post-2020 si sta discutendo come applicare anche ai vini le norme che impongono di indicare sia gli ingredienti, sia il contenuto calorico.


Oltre al problema di “cosa” si dovrà scrivere in etichetta in merito agli ingredienti, sussiste anche la questione di “dove” tali indicazioni debbano comparire.

La questione è delicata, giacché tale elenco potrebbe sottrarre molto spazio dalla superficie delle etichette dei vini (che, sopratutto per le bottiglie sino a 0,75 l.) non è notoriamente ampio.

Le industrie del settore (riunite in sede di CEEV) hanno proposto di inserire sull’etichetta dei Q-Code, che rinviino ad appositi siti internet.

Tale proposta sembra essere stata adesso accolta dal Parlamento Europeo (emendamento 102, punto 3 ter, alla riforma PAC post-2020).


Proposta del CEEV su etichettatura ingredienti vini


La nuova formulazione del Codice enologico comunitario – sopratutto nel suo allegato I – sovverte quindi la struttura del precedente analogo codice, portato dal regolamento 606/2008 (adesso abrogato), che invece manteneva una certa continuità con quello ancora precedenti (regolamento 423/2008 e regolamento 1622/2000).

Quest’ultimo rappresenta il riferimento normativo recepito dall’Accordo UE/USA del 2006 sul commercio del vino.

Di conseguenza, potrebbe generarsi qualche incertezza al riguardo, per quanto concerne le pratiche di cantina della UE riconosciute ed ammesse dagli USA.


In adempimento a quanto previsto nel Codice enologico europeo,   la Commissione ha pubblicato l’elenco delle pratiche di cantina ammesse da OIV (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino), giacché esse sono richiamate dalle stesse tabelle di detto Codice, che individuano le pratiche ed i composti enologici da esso autorizzati (tabelle 1 e 2, portate dall’allegato I al Codice stesso: in entrambe, si veda la colonna n.3).

In effetti, in base a quanto sancito nella regolamento base sulla OCM Unica (regolamento di Consiglio e Parlamento Europeo UE/1308/2013, art.80, comma 5), la Commissione ha sì ricevuto la delega a disciplinare le pratiche di cantina ed i composti enologi, ma nel farlo essa deve adesso basarsi

“sui metodi pertinenti raccomandati e pubblicati dall’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (OIV), a meno che tali metodi siano inefficaci o inadeguati per conseguire l’obiettivo perseguito dall’Unione”.

Circa i requisiti di purezza di additivi e coadivuanti per il vino, Il Codice enologico europeo (art.9) rinvia – per quanto non specificamente disciplinato dalla normativa comunitaria (costituita dal regolamento della Commissione UE/231/2012)  – al Codice enologico internazionale elaborato sempre da OIV.

La Commissione ha comunque evidenziato che – in caso di contrasto tra  quanto rispettivamente consentito dal Codice enologico europeo e quanto da OIV – prevalgono le disposizioni del primo.

Per quanto concerne gli enzimi (quelli autorizzati dal Codice enologico europeo, che costituiscono dei coadiuvanti tecnologici), sempre all’art.9 quest’ultimo stabilisce che:

 “gli enzimi e i preparati enzimatici utilizzati nelle pratiche e nei trattamenti enologici autorizzati elencati nell’allegato I, parte A, rispondono ai requisiti di cui al regolamento (CE) n. 1332/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio.

 


Ricordiamo che – in base al Codice enologico europeo – nessun vino può essere legalmente commercializzato nell’Unione Europea, se prodotto utilizzando:

  • tecniche e/o ingredienti enologici diverse da quelle autorizzate dal Codice stesso (salve sperimentazioni nazionali, debitamente autorizzate seguendo le procedure previste dal Codice in questione)
  • tecniche e/o ingredienti enologici  autorizzati, ma violando i limiti eventualmente stabiliti dal Codice enologico per il loro utilizzo.

Per i vini importati da Stati terzi valgono i medesimi principi, a meno che non siano derogati da appositi accordi internazionali conclusi in materia dall’Unione Europea con lo Stato terzo produttore (si pensi a quello con gli Stati Uniti d’America, fatto nel 2006).


codice enologico europeo

Normativa acqueviti e liquori

Adottato dall’Unione Europea il nuovo regolamento UE/787/2019 sulle bevande spiritose (normativa acqueviti e liquori).


Le norme dell’Unione Europea applicabili alle bevande spiritose (normativa acqueviti e liquori) si prefiggono di:

Normativa acqueviti e liquori

  • contribuire al raggiungimento di un livello elevato di protezione dei consumatori
  • eliminare le asimmetrie informative
  • prevenire le pratiche ingannevoli
  • rendere trasparente il mercato e consentire eque condizioni di concorrenza.

Il nuovo regolamento sulle bevande spiritose si propone di salvaguardare la loro reputazione sul mercato nonchè garantire un certo equlibrio tra il rispetto dei metodi tradizionali di produzione e l’innovazione tecnologica.

L’Unione riconosce che le bevande spiritose rappresentano uno sbocco importante per il proprio settore agricolo, cui sono strettamente legate.

Il nuovo regolamento abroga quello precedente (regolamento UE/2008/110), si applicherà però dal 25/5/2021, fatte salve le disposizioni sulle denominazioni che entrano subito in vigore.

Il regolamento UE/787/2019 sulle bevande spiritose contiene le regole applicabili al tale settore per la tutela delle denominazioni di origine e sulle regole di produzione (si ricorda che per i vini tali materie sono invece disciplinate dal regolamento UE/1308/2013 sulla OCM Unica).


Modificando le pertinenti disposizioni del nuovo regolamento UE/787/2019 sulle bevande spiritose (normativa acqueviti e liquori), mediante il successivo regolamento delegato (UE) 2021/1096 la Comissione del 21 aprile 2021 ha stabilito nuove regole in materia di etichettatura delle “bevande assemblate“.

Successivamente, sempre in tema di etichettatura delle “bevande spiritose” (e cioè degli alcolici), sono stati adottati due ulteriori regolamenti, anche essi modificativi dei citato regolamento UE/787/2019 (suoi art.11 e 12):

      • il regolamento delegato UE n. 2021/1334, concernente le allusioni a denominazioni legali  di bevande spiritose o loro indicazioni geografiche nella designazione, nella presentazione e nell’etichettatura di altre bevande spiritosee
      • il regolamento delegato UE n. 2021/1335, relativo  all’etichettatura delle bevande spiritose risultanti dalla combinazione di una bevanda spiritosa con uno o più prodotti alimentari.

Linee-guida UE su etichettatura bevande spiritose


Schema controlli su distillati

Linee guida su piano controlli per i distillati


I consorzi di tutela delle bevande spiritose recanti una indicazione geografica sono disciplinati dal D.M. 29 agosto 2023, n. 244.


 

Pratiche commerciali sleali filiera agricola alimentare

L’Unione Europea ha adottato la direttiva sulle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare (pratiche commerciali sleali filiera agricola alimentare)


Parlamento Europeo e Consiglio hanno emanato la direttiva del 17 aprile 2019, n.633, sulle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare.

Ecco il testo:

25.4.2019

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

L 111/59


IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,

visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare l’articolo 43, paragrafo 2,

vista la proposta della Commissione europea,

previa trasmissione del progetto di atto legislativo ai parlamenti nazionali,

visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (1),

visto il parere del Comitato delle regioni (2),

deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria (3),

considerando quanto segue:

(1)

Nella filiera agricola e alimentare sono comuni squilibri considerevoli nel potere contrattuale tra fornitori e acquirenti di prodotti agricoli e alimentari. È probabile che tali squilibri nel potere contrattuale comportino pratiche commerciali sleali nel momento in cui partner commerciali più grandi e potenti cerchino di imporre determinate pratiche o accordi contrattuali a proprio vantaggio relativamente a un’operazione di vendita. Tali pratiche possono ad esempio: discostarsi nettamente dalle buone pratiche commerciali, essere in contrasto con i principi di buona fede e correttezza ed essere imposte unilateralmente da un partner commerciale alla sua controparte, imporre un trasferimento ingiustificato e sproporzionato del rischio economico da un partner commerciale alla sua controparte, oppure imporre un significativo squilibrio di diritti e doveri a uno dei partner commerciali. Alcune pratiche potrebbero essere manifestatamente sleali anche quando entrambe le parti le accettano. È opportuno introdurre, nell’Unione, un livello minimo di tutela rispetto alle pratiche commerciali sleali per ridurne la frequenza, in quanto possono avere un effetto negativo sul tenore di vita della comunità agricola. L’approccio di armonizzazione minima della presente direttiva consente agli Stati membri di adottare o mantenere norme nazionali che vanno al di là delle pratiche commerciali sleali elencate nella presente direttiva.

(2)

Dal 2009 tre pubblicazioni della Commissione (la comunicazione della Commissione del 28 ottobre 2009 sul migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa, la comunicazione della Commissione del 15 luglio 2014 per affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese, e la relazione della Commissione del 29 gennaio 2016 sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese) si sono incentrate sul funzionamento della filiera alimentare, comprese le pratiche commerciali sleali che vi sono attuate. La Commissione ha suggerito gli elementi specifici da includere preferibilmente in eventuali quadri di gestione, su base nazionale e volontaria, riguardanti le pratiche commerciali sleali attuate nella filiera alimentare. Non essendo tali elementi entrati tutti a far parte del quadro giuridico o dei regimi di gestione volontaria degli Stati membri, il verificarsi di tali pratiche è rimasto al centro del dibattito politico nell’Unione.

(3)

Nel 2011, il Forum di alto livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare, guidato dalla Commissione, ha approvato una serie di principi di buone prassi nelle relazioni verticali nella filiera alimentare, concordati dalle organizzazioni che rappresentano la maggioranza degli operatori della filiera alimentare. Tali principi sono diventati la base per l’iniziativa della filiera avviata nel 2013.

(4)

Nella sua risoluzione del 7 giugno 2016 sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare (4) il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a presentare una proposta relativa a un quadro giuridico dell’Unione in materia di pratiche commerciali sleali. Nelle sue conclusioni del 12 dicembre 2016 sul rafforzamento della posizione degli agricoltori nella filiera alimentare e sulla lotta contro le pratiche commerciali sleali, il Consiglio ha invitato la Commissione ad avviare tempestivamente una valutazione d’impatto al fine di proporre un quadro legislativo dell’Unione o misure non legislative per affrontare le pratiche commerciali sleali. La Commissione ha preparato una valutazione d’impatto, preceduta da una consultazione pubblica aperta e da consultazioni mirate. Inoltre, durante il processo legislativo la Commissione ha fornito informazioni che dimostrano come i grandi operatori rappresentino una percentuale considerevole del valore complessivo della produzione.

(5)

Nella filiera agricola e alimentare operano diversi soggetti, a livelli diversi delle fasi di produzione, trasformazione, marketing, distribuzione e vendita al dettaglio dei prodotti agricoli e alimentari. Per questi prodotti, tale filiera è di gran lunga il più importante canale di transito «dal produttore al consumatore». Gli operatori commercializzano i prodotti agricoli e alimentari, segnatamente i prodotti agricoli primari, inclusi quelli della pesca e dell’acquacoltura, elencati nell’allegato I del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), e i prodotti non elencati in tale allegato ma trasformati per uso alimentare a partire dai prodotti elencati in tale allegato.

(6)

Che il rischio commerciale sia implicito in qualunque attività economica è un dato di fatto, ma la produzione agricola è caratterizzata anche da un’estrema incertezza dovuta sia alla dipendenza dai processi biologici sia all’esposizione ai fattori meteorologici. Tale incertezza è aggravata dal fatto che i prodotti agricoli e alimentari sono più o meno deperibili e stagionali. In un contesto di politica agricola decisamente più orientato al mercato rispetto al passato, proteggersi dalle pratiche commerciali sleali è ora più importante per gli operatori presenti nella filiera agricola e alimentare.

(7)

In particolare è probabile che tali pratiche commerciali sleali abbiano un impatto negativo sul tenore di vita della comunità agricola. Tale impatto è ritenuto sia diretto, in quanto riguarda i produttori agricoli e le loro organizzazioni in qualità di fornitori, che indiretto, poiché le conseguenze delle pratiche commerciali sleali che avvengono nella filiera agricola e alimentare si ripercuotono «a cascata» con effetti negativi sui produttori primari in tale filiera.

(8)

Nella maggior parte degli Stati membri, anche se non in tutti, esistono norme nazionali specifiche che tutelano i fornitori dalle pratiche commerciali sleali attuate nei rapporti tra imprese lungo la filiera agricola e alimentare. Anche quando è possibile fare affidamento sul diritto contrattuale o su iniziative di autoregolamentazione, il timore di ritorsioni commerciali nei confronti di un denunciante, così come i rischi finanziari associati al contrasto di tali pratiche, limitano di fatto l’utilità tali mezzi di ricorso previsti. Di conseguenza, alcuni Stati membri che dispongono di norme specifiche in materia di pratiche commerciali sleali affidano l’applicazione di tali norme alle autorità amministrative. Laddove esistono, tuttavia, le norme degli Stati membri contro le pratiche commerciali sleali sono caratterizzate da notevoli differenze tra uno Stato membro e l’altro.

(9)

Il numero e le dimensioni degli operatori variano tra una fase e l’altra della filiera agricola e alimentare. È probabile che le differenze nel potere contrattuale, che corrispondono alla dipendenza economica del fornitore dall’acquirente, portino gli operatori più grandi a imporre agli operatori più piccoli pratiche commerciali sleali. Un approccio dinamico, basato sulle dimensioni relative del fornitore e dell’acquirente in termini di fatturato, dovrebbe fornire agli operatori che ne hanno maggiormente bisogno una maggiore tutela contro le pratiche commerciali sleali. Le pratiche commerciali sleali sono dannose soprattutto per le imprese di dimensioni medio-piccole (PMI) presenti nella filiera agricola e alimentare. Anche le imprese più grandi delle PMI ma con un fatturato annuale non superiore a 350 000 000 EUR dovrebbero essere tutelate dalle pratiche commerciali sleali, onde evitare che il costo di tali pratiche sia trasferito ai produttori agricoli. L’effetto a cascata sui produttori agricoli sembra essere particolarmente significativo per le imprese il cui fatturato annuale arriva a un massimo di 350 000 000 EUR. La tutela dei fornitori intermedi di prodotti agricoli ed alimentari, inclusi i prodotti trasformati, può servire anche a evitare una diversione degli scambi dai produttori agricoli e dalle loro associazioni, che producono prodotti trasformati, verso fornitori non tutelati.

(10)

Della tutela garantita dalla presente direttiva dovrebbero beneficiare i produttori agricoli e le persone fisiche e giuridiche che forniscono prodotti agricoli e alimentari, comprese le organizzazioni di produttori, riconosciute o meno, e le associazioni di organizzazioni di produttori, riconosciute o meno, in funzione del loro potere contrattuale relativo. Tali organizzazioni di produttori e associazioni di organizzazioni di produttori comprendono le cooperative. Tali produttori e persone sono particolarmente vulnerabili alle pratiche commerciali sleali e meno in grado di farvi fronte senza subirne un impatto negativo sulla loro sostenibilità economica. Per quanto riguarda le categorie di fornitori che dovrebbero essere tutelati ai sensi della presente direttiva, va rilevato che parte rilevante delle cooperative composte da agricoltori sono imprese più grandi delle PMI ma con un fatturato annuale non superiore a 350 000 000 EUR.

(11)

Nella presente direttiva dovrebbero rientrare le transazioni commerciali indipendentemente dal fatto che siano effettuate tra imprese oppure tra imprese e autorità pubbliche, dato che queste ultime dovrebbero essere vincolate al rispetto delle stesse norme quando acquistano prodotti agricoli e alimentari. La presente direttiva si dovrebbe applicare a tutte le autorità pubbliche che agiscono quali acquirenti.

(12)

È opportuno tutelare i fornitori nell’Unione non solo dalle pratiche commerciali sleali attuate da acquirenti che sono nello stesso Stato membro dell’acquirente o in uno Stato membro diverso da quello dell’acquirente, ma anche contro pratiche commerciali sleali attuate da acquirenti stabiliti al di fuori dell’Unione. Tale tutela potrebbe evitare eventuali conseguenze indesiderate, quali la scelta del luogo di stabilimento sulla base delle norme applicabili. Anche i fornitori stabiliti al di fuori dell’Unione dovrebbero beneficiare della tutela da pratiche commerciali sleali qualora vendano prodotti agricoli e alimentari nell’Unione. Non solo tali fornitori sono probabilmente altrettanto vulnerabili rispetto a pratiche commerciali sleali, ma un ambito di applicazione più ampio potrebbe evitare la diversione indesiderata degli scambi verso fornitori non tutelati, che vanificherebbe la tutela dei fornitori nell’Unione.

(13)

L’ambito di applicazione della presente direttiva dovrebbe comprendere alcuni servizi accessori alla vendita di prodotti agricoli e alimentari.

(14)

La presente direttiva dovrebbe applicarsi al comportamento commerciale degli operatori più grandi rispetto agli operatori con un minor potere contrattuale. Un’approssimazione adeguata del potere contrattuale relativo è il fatturato annuale dei diversi operatori. Pur essendo un’approssimazione, questo criterio consente agli operatori di poter prevedere i propri diritti e obblighi ai sensi della presente direttiva. Un limite massimo dovrebbe impedire che la tutela sia accordata a operatori che non sono vulnerabili o lo sono considerevolmente meno rispetto alle controparti o ai concorrenti più piccoli. La presente direttiva stabilisce pertanto categorie di operatori della filiera definite sulla base del fatturato, in base alle quali è accordata la tutela.

(15)

Poiché le pratiche commerciali sleali possono verificarsi in qualsiasi fase della vendita di un prodotto agricolo o alimentare, prima, durante o dopo un’operazione di vendita, gli Stati membri dovrebbero far sì che la presente direttiva si applichi a questo tipo di pratiche indipendentemente dal momento in cui si verificano.

(16)

Nel decidere se una particolare pratica commerciale è da considerarsi sleale è importante ridurre il rischio che il ricorso ad accordi equi tra le parti, volti a creare efficienza, venga limitato. È quindi opportuno operare una distinzione tra le pratiche che sono previste in termini chiari ed univoci negli accordi di fornitura o in accordi successivi fra le parti e pratiche messe in atto dopo l’inizio dell’operazione, senza essere state preventivamente concordate, in modo tale da vietare unicamente le modifiche unilaterali e retroattive apportate alle condizioni chiare ed univoche pertinenti dell’accordo di fornitura. Alcune pratiche commerciali sono però considerate sleali per loro stessa natura e non dovrebbero essere soggette alla libertà contrattuale delle parti.

(17)

I ritardi di pagamento dei prodotti agricoli e alimentari, compresi i ritardi di pagamenti per prodotti deperibili, e gli annullamenti di ordini di prodotti deperibili con un breve preavviso incidono negativamente sulla sostenibilità economica del fornitore, senza fornire alcuna forma di beneficio compensativo. Tali pratiche dovrebbero pertanto essere vietate. In tale contesto, ai fini della presente direttiva è opportuno prevedere una definizione di prodotti agricoli e alimentari deperibili. Le definizioni utilizzate negli atti dell’Unione connessi alla legislazione alimentare hanno obiettivi diversi, ad esempio la salute e la sicurezza alimentare, e pertanto non sono appropriate ai fini della presente direttiva. Un prodotto dovrebbe essere considerato deperibile se si può presumere che diventerà inadatto alla vendita entro 30 giorni dall’ultima fase della raccolta, produzione o trasformazione da parte del fornitore, indipendentemente dall’ulteriore trasformazione del prodotto dopo la vendita e dal fatto che esso sia trattato dopo la vendita conformemente ad altre norme, in particolare quelle in materia di sicurezza alimentare. I prodotti deperibili sono generalmente utilizzati o venduti rapidamente. Non sono compatibili con la correttezza delle transazioni commerciali i pagamenti per prodotti deperibili effettuati a oltre 30 giorni dalla consegna, oppure oltre 30 giorni dopo il termine di un periodo di consegna convenuto in cui i prodotti sono consegnati periodicamente, oppure oltre 30 giorni dopo la data in cui è stato stabilito l’importo da corrispondere. Al fine di garantire una maggiore tutela agli agricoltori e alla loro liquidità, i fornitori di altri prodotti agricoli e alimentari non dovrebbero dover aspettare i pagamenti oltre 60 giorni dalla consegna, oppure oltre 60 giorni dal termine di un periodo di consegna convenuto in cui i prodotti sono consegnati periodicamente, oppure oltre 60 giorni dalla data in cui è stato stabilito l’importo da corrispondere.

Tali limiti dovrebbero applicarsi solo ai pagamenti connessi alla vendita di prodotti agricoli e alimentari e non ad altri pagamenti, quali i pagamenti supplementari versati da una cooperativa ai propri membri. Conformemente alla direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (5), dovrebbe anche essere possibile considerare la data in cui è stato stabilito l’importo da corrispondere per un periodo di consegna concordato, ai fini della presente direttiva, la data di emissione della fattura, oppure la data della sua ricezione da parte dell’acquirente.

(18)

Le disposizioni stabilite dalla presente direttiva in merito ai ritardi di pagamento costituiscono norme specifiche per il settore agricolo e alimentare in relazione alle disposizioni sui periodi di pagamento definite nella direttiva 2011/7/UE. Le disposizioni stabilite dalla presente direttiva in merito ai ritardi di pagamento non dovrebbero ripercuotersi su accordi relativi a clausole di ripartizione del valore ai sensi dell’articolo 172 bis del regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (6). Al fine di salvaguardare lo svolgimento regolare del programma destinato alle scuole di cui all’articolo 23 del regolamento (UE) n. 1308/2013, le disposizioni stabilite dalla presente direttiva in merito ai ritardi di pagamento non dovrebbero applicarsi a pagamenti effettuati da un acquirente (ossia richiedente dell’aiuto) a un fornitore nel quadro del programma destinato alle scuole. Tenendo conto del fatto che per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria dare priorità all’assistenza sanitaria in modo da trovare un equilibrio tra le esigenze dei singoli pazienti e le risorse finanziarie rappresenta una sfida, queste disposizioni non dovrebbero applicarsi nemmeno agli enti pubblici ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/7/UE.

(19)

Le uve e il mosto per la produzione di vino hanno specifiche caratteristiche in quanto le uve sono raccolte solo nel corso di un periodo dell’anno molto limitato, ma sono utilizzate per produrre vino che in alcuni casi sarà venduto solo molti anni dopo. Al fine di rispondere a tale situazione specifica, le organizzazioni di produttori e le organizzazioni interprofessionali hanno tradizionalmente sviluppato per la fornitura di tali prodotti contratti tipo. Tali contratti tipo prevedono specifici termini di pagamento a rate. Poiché sono utilizzati dai fornitori e dagli acquirenti nell’ambito di accordi pluriennali, tali contratti tipo non si limitano pertanto a fornire ai produttori agricoli la sicurezza di relazioni di vendita durature, ma contribuiscono anche alla stabilità della filiera. Qualora detti contratti tipo siano stati elaborati da parte di organizzazioni di produttori, organizzazioni interprofessionali o associazioni di organizzazioni di produttori riconosciute e siano stati resi vincolanti da uno Stato membro entro il 1o gennaio 2019 ai sensi dell’articolo 164 del regolamento (UE) n. 1308/2013 («estensione») oppure qualora l’estensione dei contratti tipo sia rinnovata da uno Stato membro senza che ai termini di pagamento siano apportate modifiche significative svantaggiose per i fornitori di uve e mosto, le disposizioni stabilite dalla presente direttiva in merito ai ritardi di pagamento non dovrebbero applicarsi ai contratti tra fornitori di uve e mosto per la produzione di vino e i loro acquirenti diretti. Gli Stati membri hanno l’obbligo di notificare alla Commissione i relativi accordi di organizzazioni di produttori, organizzazioni interprofessionali e associazioni di organizzazioni di produttori riconosciute ai sensi dell’articolo 164, paragrafo 6, del regolamento (UE) n. 1308/2013.

(20)

Un preavviso di annullamento per prodotti deperibili inferiore a 30 giorni dovrebbe essere considerato sleale in quanto il fornitore non sarebbe in grado di trovare uno sbocco alternativo per tali prodotti. Tuttavia, nel caso di prodotti in determinati settori, anche un preavviso di annullamento più breve potrebbe comunque lasciare ai fornitori tempo sufficiente per vendere i prodotti altrove oppure utilizzarli essi stessi. È pertanto opportuno consentire agli Stati membri di prevedere, per questi settori, preavvisi di annullamento più brevi in casi debitamente giustificati.

(21)

Gli acquirenti più forti non dovrebbero modificare unilateralmente condizioni contrattuali concordate, ad esempio eliminando dal listino prodotti coperti da un accordo di fornitura. Ciò non dovrebbe tuttavia applicarsi a situazioni in cui tra il fornitore e l’acquirente esiste un accordo che stipuli espressamente la possibilità che l’acquirente specifichi in un momento successivo un elemento specifico della transazione relativamente a ordini futuri. Ciò potrebbe riguardare ad esempio le quantità ordinate. Un accordo non è necessariamente concluso in un momento preciso per tutti gli aspetti della transazione tra il fornitore e l’acquirente.

(22)

Fornitori e acquirenti di prodotti agricoli e alimentari dovrebbero poter negoziare liberamente operazioni di vendita, compresi i prezzi. Tali negoziati comprendono anche pagamenti per servizi forniti dall’acquirente al fornitore, quali l’inserimento in listino, il marketing e la promozione. Qualora tuttavia un acquirente imponga al fornitore pagamenti non connessi a una specifica operazione di vendita, tale pratica dovrebbe essere ritenuta sleale ed essere vietata dalla presente direttiva.

(23)

Anche se non dovrebbe sussistere alcun obbligo di ricorrere a contratti scritti, il loro uso nella filiera agricola e alimentare può contribuire a evitare determinate pratiche commerciali sleali. Pertanto, e al fine di tutelare i fornitori da tali pratiche sleali, è opportuno che i fornitori o le loro associazioni abbiano il diritto di richiedere una conferma scritta delle condizioni di un accordo di fornitura quando tali condizioni siano già state concordate. In questi casi il rifiuto di un acquirente di confermare per iscritto le condizioni dell’accordo di fornitura dovrebbe essere ritenuta una pratica commerciale sleale e dovrebbe essere vietata. Inoltre gli Stati membri potrebbero individuare, condividere e promuovere le migliori pratiche in materia di conclusione di contratti a lungo termine, al fine di rafforzare il potere contrattuale dei produttori nella filiera agricola e alimentare.

(24)

La presente direttiva non armonizza le norme relative all’onere della prova applicabili nei procedimenti dinanzi alle autorità nazionali di contrasto, né la definizione di accordi di fornitura. Le norme relative all’onere della prova e la definizione di accordi di fornitura sono pertanto quelle stabilite dal diritto nazionale degli Stati membri.

(25)

A norma della presente direttiva, i fornitori dovrebbero poter denunciare determinate pratiche commerciali sleali. Le ritorsioni commerciali da parte degli acquirenti contro i fornitori che esercitano i propri diritti, o la minaccia di ricorrervi, ad esempio eliminando prodotti dal listino, riducendo le quantità dei prodotti ordinati oppure interrompendo determinati servizi forniti dall’acquirente al fornitore, quali il marketing o le promozioni sui prodotti del fornitore, dovrebbero essere vietate e considerate come pratiche commerciali sleali.

(26)

Normalmente è l’acquirente a farsi carico dei costi dell’immagazzinamento, dell’esposizione, dell’inserimento in listino di prodotti agricoli e alimentari, o della messa a disposizione sul mercato. La presente direttiva dovrebbe pertanto vietare che a un fornitore sia imposto un pagamento a favore dell’acquirente o di una terza parte per tali servizi, a meno che il pagamento sia stato concordato in termini chiari e univoci al momento della conclusione dell’accordo di fornitura o in eventuali accordi successivi tra l’acquirente e il fornitore. Qualora tale pagamento sia stato concordato, dovrebbe fondarsi su stime oggettive e ragionevoli.

(27)

Affinché i contributi di un fornitore ai costi della promozione, del marketing o della pubblicità dei prodotti agricoli e alimentari, comprese l’esposizione promozionale nei punti vendita e le campagne di vendita, siano considerati equi, è opportuno che siano concordati in termini chiari e univoci al momento della conclusione dell’accordo di fornitura o in eventuali accordi successivi tra l’acquirente e il fornitore. In caso contrario, dovrebbero essere vietati dalla presente direttiva. Qualora tale contributo sia stato concordato, dovrebbe fondarsi su stime oggettive e ragionevoli.

(28)

Gli Stati membri dovrebbero designare autorità di contrasto al fine di garantire l’efficace applicazione dei divieti previsti dalla presente direttiva. Tali autorità dovrebbero essere in grado di agire di propria iniziativa o sulla base di denunce presentate dalle parti vittime di pratiche commerciali sleali nella filiera agricola e alimentare, di denunce provenienti da informatori, o sulla base di denunce anonime. Un’autorità di contrasto potrebbe ritenere che non vi siano motivi sufficienti per dare seguito a una denuncia. Tale conclusione potrebbe essere dovuta anche a priorità amministrative. Nel caso in cui l’autorità di contrasto ritenga di non essere in grado di dare priorità a una denuncia, dovrebbe informarne il denunciante indicandone le motivazioni. Quando un denunciante chiede che la sua identità rimanga riservata per paura di ritorsioni commerciali, le autorità di contrasto dello Stato membro dovrebbero adottare opportuni provvedimenti.

(29)

Se uno Stato membro dispone di più di un’autorità di contrasto, dovrebbe designare un unico punto di contatto al fine di facilitare una cooperazione efficace tra le autorità di contrasto e la cooperazione con la Commissione.

(30)

I fornitori potrebbero avere più facilità a presentare denunce all’autorità di contrasto del proprio Stato membro, ad esempio per motivi linguistici. Ciononostante, in termini di esecuzione, potrebbe risultare più efficace presentare una denuncia all’autorità di contrasto dello Stato membro in cui è stabilito l’acquirente. Ai fornitori dovrebbe essere lasciata la scelta dell’autorità a cui desiderano rivolgere le denunce.

(31)

Le denunce da parte di organizzazioni di produttori, altre organizzazioni di fornitori e associazioni di tali organizzazioni, organizzazioni rappresentative comprese, possono servire a tutelare le identità dei singoli membri dell’organizzazione che si ritengono colpiti da pratiche commerciali sleali. Altre organizzazioni che hanno un interesse legittimo a rappresentare i fornitori dovrebbero anche avere il diritto di presentare denunce, su richiesta di un fornitore e nel suo interesse, a condizione che dette organizzazioni siano persone giuridiche indipendenti senza scopo di lucro. Le autorità di contrasto degli Stati membri dovrebbero pertanto essere in grado di ricevere e dar seguito alle denunce presentate da tali entità, salvaguardando nel contempo i diritti processuali dell’acquirente.

(32)

Al fine di garantire l’efficace applicazione del divieto di pratiche commerciali sleali, le autorità di contrasto designate dovrebbero disporre di tutte le risorse e le competenze necessari.

(33)

Le autorità di contrasto degli Stati membri dovrebbero disporre dei poteri e delle competenze necessari a condurre indagini. Il conferimento di tali poteri alle autorità non comporta l’obbligo di utilizzarli in ciascuna indagine che esse effettuano. I poteri delle autorità di contrasto dovrebbero ad esempio consentire loro di raccogliere efficacemente informazioni fattuali; esse dovrebbero altresì avere il potere di ordinare, se del caso, la cessazione di una pratica vietata.

(34)

Eventuali elementi deterrenti, quali il potere di imporre o avviare procedimenti, per esempio procedimenti giurisdizionali per l’imposizione di sanzioni pecuniarie e altre sanzioni altrettanto efficaci, e la pubblicazione dei risultati delle indagini, compresa la pubblicazione di informazioni relative all’acquirente che ha commesso la violazione, possono favorire un cambiamento dei comportamenti e soluzioni tra le parti in fase di precontenzioso e, pertanto, dovrebbero essere parte integrante dei poteri conferiti alle autorità di contrasto. Le sanzioni pecuniarie possono essere particolarmente effettive e dissuasive. Tuttavia, dovrebbe spettare all’autorità di contrasto decidere quali dei suoi poteri eserciterà in ciascuna indagine e se imporrà o avvierà un procedimento per l’imposizione di una sanzione pecuniaria o un’altra sanzione altrettanto efficace.

(35)

L’esercizio dei poteri conferiti alle autorità di contrasto ai sensi della presente direttiva dovrebbe essere soggetto a opportune salvaguardie, che soddisfino gli standard dei principi generali del diritto dell’Unione e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, tra cui il rispetto dei diritti della difesa dell’acquirente.

(36)

La Commissione e le autorità di contrasto degli Stati membri dovrebbero collaborare strettamente per garantire un approccio comune in merito all’applicazione delle norme stabilite nella presente direttiva. In particolare, le autorità di contrasto dovrebbero fornirsi assistenza reciproca, ad esempio scambiandosi informazioni e dando supporto alle indagini che hanno una dimensione transfrontaliera.

(37)

Per favorire un contrasto efficace, la Commissione dovrebbe contribuire all’organizzazione di riunioni periodiche tra le autorità di contrasto degli Stati membri in cui sia possibile scambiarsi informazioni pertinenti, migliori pratiche, nuovi sviluppi, pratiche di contrasto e raccomandazioni relative all’applicazione delle disposizioni stabilite dalla presente direttiva.

(38)

Per agevolare questo tipo di scambi, la Commissione dovrebbe creare sito Internet pubblico che contenga riferimenti alle autorità nazionali di contrasto, comprese informazioni sulle misure nazionali di recepimento della presente direttiva.

(39)

Poiché la maggior parte degli Stati membri dispone già di norme nazionali in materia di pratiche commerciali sleali, ancorché discordanti, è opportuno usare lo strumento della direttiva per introdurre un livello minimo di tutela disciplinato dal diritto dell’Unione. In tal modo gli Stati membri dovrebbero poter integrare le norme pertinenti nel loro ordinamento giuridico nazionale così da rendere possibile l’istituzione di regimi coerenti. Si dovrebbe lasciare agli Stati membri la possibilità di mantenere o introdurre nel loro territorio norme nazionali più rigorose che prevedano un livello più alto di tutela dalle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese lungo la filiera agricola e alimentare, rispettando i limiti imposti dal diritto dell’Unione applicabile al funzionamento del mercato interno, a condizione che tali norme siano proporzionate.

(40)

Gli Stati membri dovrebbero anche poter mantenere o introdurre norme nazionali volte a contrastare le pratiche commerciali sleali che non rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, rispettando i limiti imposti dal diritto dell’Unione applicabile al funzionamento del mercato interno, a condizione che tali norme siano proporzionate. Tali norme nazionali potrebbero andare al di là della presente direttiva, ad esempio per quanto riguarda le dimensioni di acquirenti e fornitori, la tutela degli acquirenti, il ventaglio di prodotti interessati nonché il ventaglio di servizi. Esse potrebbero altresì andare al di là del numero e del tipo di pratiche commerciali sleali vietate elencate nella presente direttiva.

(41)

Tali norme nazionali si applicherebbero parallelamente a misure di gestione volontarie, quali i codici di condotta nazionali o l’iniziativa sulla catena di approvvigionamento. Il ricorso a volontario a risoluzioni alternative delle controversie tra acquirenti e fornitori è espressamente incoraggiato, fatto salvo il diritto del fornitore di presentare una denuncia o di rivolgersi a giudici competenti in materia civile.

(42)

È opportuno che la Commissione abbia una visione d’insieme dell’attuazione della presente direttiva negli Stati membri. Essa, inoltre, dovrebbe essere in grado di valutare l’efficacia della presente direttiva. A tal fine, le autorità di contrasto degli Stati membri dovrebbero presentarle relazioni annuali. Tali relazioni dovrebbero, se del caso, fornire informazioni quantitative e qualitative in merito a denunce, indagini e decisioni adottate. È opportuno attribuire alla Commissione competenze di esecuzione in modo da garantire condizioni uniformi di esecuzione dell’obbligo di presentare relazioni. Tali competenze dovrebbero essere esercitate conformemente al regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio (7).

(43)

Ai fini di un’efficace attuazione della politica riguardante le pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, è opportuno che la Commissione riesamini l’applicazione della presente direttiva e presenti una relazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Tale riesame dovrebbe valutare, in particolare, l’efficacia delle misure nazionali tese a combattere le pratiche commerciali sleali nella filiera agricola e alimentare nonché l’efficacia della cooperazione tra le autorità di contrasto. Il riesame dovrebbe inoltre soffermarsi su un’eventuale giustificazione, in futuro, della tutela, oltre che dei fornitori, anche degli acquirenti di prodotti agricoli e alimentari lungo la filiera. La relazione dovrebbe essere corredata, se del caso, delle proposte legislative.

(44)

Poiché gli obiettivi della presente direttiva, vale a dire stabilire un livello minimo di tutela da parte dell’Unione armonizzando le misure divergenti in materia di pratiche commerciali sleali degli Stati membri, non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, ma, a motivo della portata e dei suoi effetti, possono essere conseguiti meglio a livello dell’Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tali obiettivi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo,

HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:

Articolo 1

Oggetto e ambito di applicazione

1.   Allo scopo di contrastare le pratiche che si discostano nettamente dalle buone pratiche commerciali, sono contrarie ai principi di buona fede e correttezza e sono imposte unilateralmente da un partner commerciale alla sua controparte, la presente direttiva definisce un elenco minimo di pratiche commerciali sleali vietate nelle relazioni tra acquirenti e fornitori lungo la filiera agricola e alimentare e stabilisce norme minime concernenti l’applicazione di tali divieti, nonché disposizioni per il coordinamento tra le autorità di contrasto.

2.   La presente direttiva si applica a determinate pratiche commerciali sleali attuate nella vendita di prodotti agricoli e alimentari:

a)

da parte di fornitori con un fatturato annuale pari o inferiore a 2 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 2 000 000 EUR;

b)

da parte di fornitori con un fatturato annuale compreso tra 2 000 000 EUR e 10 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 10 000 000 EUR;

c)

da parte di fornitori con un fatturato annuale compreso tra 10 000 000 EUR e 50 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 50 000 000 EUR;

d)

da parte di fornitori con un fatturato annuale compreso tra 50 000 000 EUR e 150 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 150 000 000 EUR;

e)

da parte di fornitori con un fatturato annuale compreso tra 150 000 000 EUR e 350 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 350 000 000 EUR.

Il fatturato annuale dei fornitori e degli acquirenti di cui al primo comma, lettere da a) a e) è da intendersi in conformità delle parti pertinenti dell’allegato della raccomandazione 2003/361/CE della Commissione (8), in particolare degli articoli 3, 4 e 6, comprese le definizioni di «impresa autonoma», «impresa associata», «impresa collegata», e altre questioni relative al fatturato annuale.

In deroga al primo comma, la presente direttiva si applica in relazione alle vendite di prodotti agricoli e alimentari da parte di fornitori con un fatturato annuale pari o inferiore a 350 000 000 EUR ad acquirenti che siano autorità pubbliche.

La presente direttiva si applica alle vendite in cui il fornitore o l’acquirente, o entrambi, sono stabiliti nell’Unione.

Nella misura in cui vi è fatto esplicito riferimento all’articolo 3, la presente direttiva si applica anche ai servizi forniti dall’acquirente al fornitore.

La presente direttiva non si applica agli accordi tra fornitori e consumatori.

3.   La presente direttiva si applica ai contratti di fornitura conclusi dopo la data di applicazione delle misure di recepimento della presente direttiva ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma.

4.   Gli accordi di fornitura conclusi prima della data di pubblicazione delle misure che recepiscono la presente direttiva in conformità dell’articolo 13, paragrafo 1, primo comma, sono resi conformi alla presente direttiva entro 12 mesi da tale data di pubblicazione.

Articolo 2

Definizioni

Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

1)   «prodotti agricoli e alimentari»: i prodotti elencati nell’allegato I del TFUE e i prodotti non elencati in tale allegato, ma trasformati per uso alimentare a partire dai prodotti elencati in tale allegato;

2)   «acquirente»: qualsiasi persona fisica o giuridica, indipendentemente dal luogo di stabilimento di tale persona, o qualsiasi autorità pubblica nell’Unione che acquista prodotti agricoli e alimentari; il termine «acquirente» può includere un gruppo di tali persone fisiche e giuridiche;

3)   «autorità pubblica»: autorità nazionali, regionali o locali, organismi di diritto pubblico o le associazioni costituite da una o più di tali autorità o da uno o più di tali organismi di diritto pubblico;

4)   «fornitore»: qualsiasi produttore agricolo o persona fisica o giuridica, indipendentemente dal suo luogo di stabilimento, che vende prodotti agricoli e alimentari. Il termine «fornitore» può includere un gruppo di tali produttori agricoli o un gruppo di tali persone fisiche e giuridiche, come le organizzazioni di produttori, le organizzazioni di fornitori e le associazioni di tali organizzazioni;

5)   «prodotti agricoli e alimentari deperibili»: i prodotti agricoli e alimentari che per loro natura o nella fase della loro trasformazione potrebbero diventare inadatti alla vendita entro 30 giorni dalla raccolta, produzione o trasformazione.

Articolo 3

Divieto di pratiche commerciali sleali

1.   Gli Stati membri provvedono affinché almeno tutte le seguenti pratiche commerciali sleali siano vietate:

a)

l’acquirente versa al fornitore il corrispettivo a lui spettante,

i)

se l’accordo di fornitura comporta la consegna dei prodotti su base regolare:

per i prodotti agricoli e alimentari deperibili, dopo oltre 30 giorni dal termine di un periodo di consegna convenuto in cui le consegne sono state effettuate oppure dopo oltre 30 giorni dalla data in cui è stato stabilito l’importo da corrispondere per il periodo di consegna in questione, a seconda di quale delle due date sia successiva;

per gli altri prodotti agricoli e alimentari, dopo oltre 60 giorni dal termine di un periodo di consegna convenuto in cui le consegne sono state effettuate oppure dopo oltre 60 giorni dalla data in cui è stato stabilito l’importo da corrispondere per il periodo di consegna in questione, a seconda di quale delle due date sia successiva;

ai fini dei periodi di pagamento di cui al presente punto, si considera che i periodi di consegna convenuti non superino comunque un mese;

ii)

se l’accordo di fornitura non comporta la consegna dei prodotti su base regolare:

per i prodotti agricoli e alimentari deperibili, dopo oltre 30 giorni dalla data di consegna oppure dopo oltre 30 giorni dalla data in cui è stabilito l’importo da corrispondere a seconda di quale delle due date sia successiva;

per gli altri prodotti agricoli e alimentari, dopo oltre 60 giorni dalla data di consegna oppure dopo oltre 60 giorni dalla data in cui è stabilito l’importo da corrispondere, a seconda di quale delle due date sia successiva;

Fatti salvi i punti i) e ii) della presente la lettera, se l’acquirente stabilisce l’importo da corrispondere:

i periodi di pagamento di cui al punto i) decorrono a partire dal termine di un periodo di consegna convenuto in cui le consegne sono state effettuate; e

i periodi di pagamento di cui al punto ii) decorrono a partire dalla data di consegna;

b)

l’acquirente annulla ordini di prodotti agricoli e alimentari deperibili con un preavviso talmente breve da far ragionevolmente presumere che il fornitore non riuscirà a trovare un’alternativa per commercializzare o utilizzare tali prodotti; per preavviso breve si intende sempre un preavviso inferiore a 30 giorni; in casi debitamente giustificati e in determinati settori gli Stati membri possono stabilire periodi di durata inferiore a 30 giorni;

c)

l’acquirente modifica unilateralmente le condizioni di un accordo di fornitura di prodotti agricoli e alimentari relative alla frequenza, al metodo, al luogo, ai tempi o al volume della fornitura o della consegna dei prodotti agricoli e alimentari, alle norme di qualità, ai termini di pagamento o ai prezzi oppure relative alla prestazione di servizi nella misura in cui vi è fatto esplicito riferimento al paragrafo 2;

d)

l’acquirente richiede al fornitore pagamenti che non sono connessi alla vendita dei prodotti agricoli e alimentari del fornitore;

e)

l’acquirente richiede che il fornitore paghi per il deterioramento o la perdita, o entrambi, di prodotti agricoli e alimentari che si verificano presso i locali dell’acquirente o dopo che tali prodotti sono divenuti di sua proprietà, quando tale deterioramento o perdita non siano stati causati dalla negligenza o colpa del fornitore;

f)

l’acquirente rifiuta di confermare per iscritto le condizioni di un accordo di fornitura tra l’acquirente e il fornitore per il quale quest’ultimo abbia richiesto una conferma scritta; ciò non si applica quando l’accordo di fornitura riguardi prodotti che devono essere consegnati da un socio di un’organizzazione di produttori, compresa una cooperativa, all’organizzazione di produttori della quale il fornitore è socio, se lo statuto di tale organizzazione di produttori o le regole e decisioni previste in detto statuto o ai sensi di esso contengono disposizioni aventi effetti analoghi alle disposizioni dell’accordo di fornitura;

g)

l’acquirente acquisisce, utilizza o divulga illecitamente segreti commerciali del fornitore ai sensi della direttiva (UE) 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio (9);

h)

l’acquirente minaccia di mettere in atto, o mette in atto, ritorsioni commerciali nei confronti del fornitore quando quest’ultimo esercita i diritti contrattuali e legali di cui gode, anche presentando una denuncia alle autorità di contrasto o cooperando con le autorità di contrasto durante un’indagine;

i)

l’acquirente chiede al fornitore il risarcimento del costo sostenuto per esaminare i reclami dei clienti relativi alla vendita dei prodotti del fornitore, benché non risultino negligenze o colpe da parte del fornitore;

Il divieto di cui al primo comma, lettera a), è fatto salvo:

le conseguenze dei ritardi di pagamento e i mezzi di ricorso di cui alla direttiva 2011/7/UE, che si applicano, in deroga ai periodi di pagamento stabiliti nella suddetta direttiva, sulla base dei periodi di pagamento di cui alla presente direttiva;

la possibilità che un acquirente e un fornitore concordino una clausola di ripartizione del valore ai sensi dell’articolo 172 bis del regolamento (UE) n. 1308/2013.

Il divieto di cui al primo comma, lettera a) non si applica ai pagamenti:

effettuati da un acquirente a un fornitore quando tali pagamenti siano effettuati nel quadro del programma destinato alle scuole a norma dell’articolo 23 del regolamento (UE) n. 1308/2013;

effettuati da enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria a norma dell’articolo 4, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/7/UE;

nell’ambito di contratti di fornitura tra fornitori di uve o mosto per la produzione di vino e i loro acquirenti diretti, a condizione che:

i)

i termini di pagamento specifici delle operazioni di vendita siano inclusi nei contratti tipo resi vincolanti dallo Stato membro a norma dell’articolo 164 del regolamento (UE) n. 1308/2013 prima del 1o gennaio 2019 e che tale estensione dei contratti tipo sia rinnovata dallo Stato membro a decorrere da tale data senza modificare sostanzialmente i termini di pagamento a danno dei fornitori di uve o mosto; e

ii)

che i contratti di fornitura tra fornitori di uve o mosto per la produzione di vino e i loro acquirenti diretti siano pluriennali o lo diventino.

2.   Gli Stati membri provvedono affinché almeno tutte le seguenti pratiche commerciali siano vietate, a meno che non siano state precedentemente concordate in termini chiari ed univoci nell’accordo di fornitura o in un altro accordo successivo tra il fornitore e l’acquirente:

a)

l’acquirente restituisce al fornitore prodotti agricoli e alimentari rimasti invenduti, senza corrispondere alcun pagamento per tali prodotti invenduti o senza corrispondere alcun pagamento per il loro smaltimento, o entrambi;

b)

al fornitore è richiesto un pagamento come condizione per l’immagazzinamento, l’esposizione, l’inserimento in listino dei suoi prodotti agricoli e alimentari, o per la messa a disposizione sul mercato;

c)

l’acquirente richiede al fornitore di farsi carico, in toto o in parte, del costo degli sconti sui prodotti agricoli e alimentari venduti dall’acquirente come parte di una promozione;

d)

l’acquirente richiede al fornitore di pagare i costi della pubblicità, effettuata dall’acquirente, dei prodotti agricoli e alimentari;

e)

l’acquirente richiede al fornitore di pagare i costi del marketing, effettuato dall’acquirente, dei prodotti agricoli e alimentari;

f)

l’acquirente richiede al fornitore di pagare i costi del personale incaricato di organizzare gli spazi destinati alla vendita dei prodotti del fornitore.

Gli Stati membri provvedono affinché la pratica commerciale di cui al primo comma, lettera c) sia vietata a meno che, prima di una promozione avviata dall’acquirente, quest’ultimo ne specifichi il periodo e indichi la quantità prevista dei prodotti agricoli e alimentari da ordinare a prezzo scontato.

3.   Se l’acquirente richiede un pagamento nelle situazioni di cui al paragrafo 2, primo comma, lettere b), c), d), e) o f), l’acquirente fornisce al fornitore, qualora questi ne faccia richiesta, una stima per iscritto dei pagamenti unitari o dei pagamenti complessivi a seconda dei casi e, per le situazioni di cui al paragrafo 2, primo comma, lettere b), d), e) e f), fornisce anche una stima, per iscritto, dei costi per il fornitore e i criteri alla base di tale stima.

4.   Gli Stati membri provvedono affinché i divieti di cui ai paragrafi 1 e 2 costituiscano disposizioni imperative prioritarie, applicabili a tutte le situazioni che rientrano nel campo di applicazione di tali divieti, qualunque sia la legge altrimenti applicabile al contratto di fornitura tra le parti.

Articolo 4

Autorità di contrasto designate

1.   Ogni Stato membro designa una o più autorità incaricate di applicare i divieti di cui all’articolo 3 a livello nazionale («autorità di contrasto») e informa la Commissione di tale designazione.

2.   Se uno Stato membro designa più di una autorità di contrasto nel suo territorio, designa un unico punto di contatto sia per la cooperazione tra autorità di contrasto sia per la cooperazione con la Commissione.

Articolo 5

Denunce e riservatezza

1.   I fornitori possono presentare denunce all’autorità di contrasto dello Stato membro in cui essi sono stabiliti oppure all’autorità di contrasto dello Stato membro in cui è stabilito l’acquirente sospettato di avere attuato una pratica commerciale vietata. L’autorità di contrasto a cui è presentata la denuncia è competente per applicare i divieti di cui all’articolo 3.

2.   Le organizzazioni di produttori, altre organizzazioni di fornitori e le associazioni di tali organizzazioni hanno il diritto di presentare una denuncia su richiesta di uno o più dei loro membri o, se del caso, su richiesta di uno o più dei soci delle rispettive organizzazioni membro, qualora tali membri si ritengano vittime di una pratica commerciale vietata. Altre organizzazioni che hanno un interesse legittimo a rappresentare i fornitori hanno il diritto di presentare denunce su richiesta di un fornitore, e nell’interesse di tale fornitore, a condizione che dette organizzazioni siano persone giuridiche indipendenti senza scopo di lucro.

3.   Gli Stati membri provvedono affinché, qualora il denunciante lo richieda, l’autorità di contrasto adotti le misure necessarie per tutelare adeguatamente l’identità del denunciante o dei membri o fornitori di cui al paragrafo 2 e per tutelare adeguatamente qualunque altra informazione la cui divulgazione, secondo il denunciante, sarebbe lesiva degli interessi del denunciante o di quei membri o fornitori. Il denunciante specifica le informazioni per le quali chiede un trattamento riservato.

4.   Gli Stati membri provvedono affinché l’autorità di contrasto che riceve la denuncia informi il denunciante, entro un periodo di tempo ragionevole dal ricevimento della denuncia, di come intende dare seguito alla denuncia.

5.   Gli Stati membri provvedono affinché, se ritiene che non vi siano ragioni sufficienti per agire a seguito della denuncia, l’autorità di contrasto informi il denunciante dei motivi della sua decisione entro un periodo di tempo ragionevole dal ricevimento della denuncia.

6.   Gli Stati membri provvedono affinché, se ritiene che vi siano ragioni sufficienti per agire a seguito della denuncia, l’autorità di contrasto avvii, conduca e concluda un’indagine sulla denuncia entro un periodo di tempo ragionevole.

7.   Gli Stati membri fanno in modo che, una volta accertata la violazione dei divieti di cui all’articolo 3, l’autorità di contrasto imponga all’acquirente di porre fine alla pratica commerciale vietata.

Articolo 6

Poteri dell’autorità di contrasto

1.   Gli Stati membri provvedono affinché tutte le autorità di contrasto nazionali dispongano delle risorse e delle competenze necessarie per assolvere i propri doveri e conferiscono loro i poteri seguenti:

a)

il potere di avviare e condurre indagini di propria iniziativa o a seguito di una denuncia;

b)

il potere di chiedere agli acquirenti e ai fornitori di fornire tutte le informazioni necessarie al fine di condurre indagini sulle pratiche commerciali vietate;

c)

il potere di effettuare ispezioni in loco, senza preavviso, nel quadro delle indagini, in conformità delle norme e delle procedure nazionali;

d)

il potere di adottare decisioni in cui accerta la violazione dei divieti di cui all’articolo 3 e impone all’acquirente di porre fine alla pratica commerciale vietata; l’autorità può astenersi dall’adottare una siffatta decisione qualora tale decisione rischi di rivelare l’identità del denunciante o qualsiasi altra informazione la cui divulgazione, secondo il denunciante stesso, potrebbe essere lesiva dei suoi interessi, e a condizione che egli abbia specificato quali sono tali informazioni conformemente all’articolo 5, paragrafo 3;

e)

il potere di imporre o avviare procedimenti finalizzati all’imposizione di sanzioni pecuniarie e altre sanzioni di pari efficacia e provvedimenti provvisori, nei confronti dell’autore della violazione, in conformità delle norme e procedure nazionali;

f)

il potere di pubblicare regolarmente le decisioni adottate ai sensi delle lettere d) ed e).

Le sanzioni di cui al primo comma, lettera e), sono efficaci, proporzionate e dissuasive e tengono conto della natura, della durata, della frequenza e della gravità della violazione.

2.   Gli Stati membri provvedono affinché l’esercizio dei poteri di cui al paragrafo 1 sia soggetto a opportune tutele riguardo ai diritti della difesa, conformemente ai principi generali del diritto dell’Unione e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, compreso nei casi in cui il denunciante chiede il trattamento riservato delle informazioni a norma dell’articolo 5, paragrafo 3.

Articolo 7

Risoluzione alternativa delle controversie

Fatto salvo il diritto dei fornitori di presentare denunce a norma dell’articolo 5, e fatti salvi i poteri delle autorità di contrasto di cui all’articolo 6, gli Stati membri possono promuovere il ricorso volontario a meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie efficaci e indipendenti, quali la mediazione, allo scopo di risolvere le controversie tra fornitori e acquirenti relative all’attuazione di pratiche commerciali sleali.

Articolo 8

Cooperazione tra autorità di contrasto

1.   Gli Stati membri provvedono affinché le autorità di contrasto cooperino efficacemente tra loro e con la Commissione e affinché si prestino reciproca assistenza nelle indagini che presentano una dimensione transfrontaliera.

2.   Le autorità di contrasto si riuniscono almeno una volta all’anno per discutere dell’applicazione della presente direttiva sulla base delle relazioni annuali di cui all’articolo 10, paragrafo 2. Le autorità di contrasto discutono delle migliori pratiche, dei nuovi casi e degli ultimi sviluppi nell’ambito delle pratiche commerciali sleali nella filiera agricola e alimentare e scambiano informazioni, in particolare sulle misure di attuazione che hanno adottato ai sensi della presente direttiva e sulle rispettive pratiche di contrasto. Le autorità di contrasto possono adottare raccomandazioni volte a promuovere l’applicazione coerente della presente direttiva e a potenziare il contrasto. La Commissione agevola lo svolgimento di tali riunioni.

3.   La Commissione istituisce e gestisce un sito web che consenta lo scambio di informazioni tra le autorità di contrasto e la Commissione, in particolare per quanto riguarda le riunioni annuali. La Commissione crea un sito web pubblico che riporta i recapiti delle autorità di contrasto designate e i link ai siti web delle autorità di contrasto nazionali o di altre autorità degli Stati membri che a loro volta contengono informazioni sulle misure di recepimento della presente direttiva di cui all’articolo 13, paragrafo 1.

Articolo 9

Norme nazionali

1.   Per garantire un più alto livello di tutela, gli Stati membri possono mantenere o introdurre norme nazionali volte a contrastare le pratiche commerciali sleali più rigorose di quelle previste nella presente direttiva, a condizione che esse siano compatibili con le norme relative al funzionamento del mercato interno.

2.   La presente direttiva lascia impregiudicate le norme nazionali finalizzate a contrastare le pratiche commerciali sleali che non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva, a condizione che esse siano compatibili con le norme relative al funzionamento del mercato interno.


Nota all’art.9

Per quanto concerne l’Italia, prima che venisse attuata la direttiva mediante il D. Lgs. 198/2021, le pratiche sleali nel settore agricolo erano:


Articolo 10

Relazioni

1.   Gli Stati membri provvedono affinché le loro autorità di contrasto pubblichino una relazione annuale sulle loro attività che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, che, tra l’altro, indichi il numero delle denunce ricevute e il numero delle indagini da esse aperte o concluse nel corso dell’anno precedente. Per ogni indagine conclusa, la relazione contiene un’illustrazione sommaria del caso, l’esito dell’indagine e, se del caso, la decisione presa, nel rispetto degli obblighi di riservatezza di cui all’articolo 5, paragrafo 3.

2.   Entro il 15 marzo di ogni anno, gli Stati membri trasmettono alla Commissione una relazione sulle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare. Tale relazione contiene, in particolare, tutti i dati pertinenti riguardanti il contrasto e l’applicazione delle norme ai sensi della presente direttiva nello Stato membro interessato nel corso dell’anno precedente.

3.   La Commissione può adottare atti di esecuzione che stabiliscano:

a)

le norme relative alle informazioni necessarie ai fini dell’applicazione del paragrafo 2;

b)

le disposizioni riguardanti la gestione delle informazioni da inviare dagli Stati membri alla Commissione e le norme sul contenuto e sulla forma di tali informazioni;

c)

le modalità relative alla trasmissione o alla messa a disposizione delle informazioni e dei documenti agli Stati membri, alle organizzazioni internazionali, alle autorità competenti dei paesi terzi o al pubblico, fermi restando la protezione dei dati personali e i legittimi interessi dei produttori agricoli e delle imprese alla tutela dei segreti aziendali.

Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 11, paragrafo 2.

Articolo 11

Procedura di comitato

1.   La Commissione è assistita dal comitato per l’organizzazione comune dei mercati agricoli istituito dall’articolo 229 del regolamento (UE) n. 1308/2013. Tale comitato è un comitato ai sensi del regolamento (UE) n. 182/2011.

2.   Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applica l’articolo 5 del regolamento (UE) n. 182/2011.

Articolo 12

Valutazione

1.   Entro il 1o novembre 2025, la Commissione procede a una prima valutazione della presente direttiva e presenta al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni una relazione in cui espone le principali conclusioni di tale valutazione. Tale relazione è corredata, se del caso, da proposte legislative.

2.   Tale valutazione esamina almeno i seguenti aspetti:

a)

l’efficacia delle misure attuate a livello nazionale volte a contrastare le pratiche commerciali sleali nella filiera agricola e alimentare;

b)

l’efficacia della cooperazione tra le autorità di contrasto competenti e, se del caso, i modi in cui è possibile migliorare tale cooperazione.

3.   Per la relazione di cui al paragrafo 1, la Commissione si basa anzitutto sulle relazioni annuali di cui all’articolo 10, paragrafo 2. Se necessario, la Commissione può chiedere agli Stati membri informazioni aggiuntive, comprese informazioni sull’efficacia delle misure attuate a livello nazionale e sull’efficacia della cooperazione e dell’assistenza reciproca.

4.   Entro il 1o novembre 2021, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni una relazione intermedia sullo stato del recepimento e dell’attuazione.

Articolo 13

Recepimento

1.   Entro il 1o maggio 2021, gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarvisi. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali misure.

Gli Stati membri applicano le suddette misure entro il 1o novembre 2021.

Le misure adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di tale riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono stabilite dagli Stati membri.

2.   Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni fondamentali di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

Articolo 14

Entrata in vigore

La presente direttiva entra in vigore il quinto giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

Articolo 15

Destinatari

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

Fatto a Strasburgo, il 17 aprile 2019

Per il Parlamento europeo

Il presidente

A. TAJANI

Per il Consiglio

Il presidente

G. CIAMBA


(1)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 165.

(2)  GU C 387 del 25.10.2018, pag. 48.

(3)  Posizione del Parlamento europeo del 12 marzo 2019 (non ancora pubblicata nella Gazzetta ufficiale) e decisione del Consiglio del 9 aprile 2019.

(4)  GU C 86 del 6.3.2018, pag. 40.

(5)  Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (GU L 48 del 23.2.2011, pag. 1).

(6)  Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio (GU L 347 del 20.12.2013, pag. 671).

(7)  Regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (GU L 55 del 28.2.2011, pag. 13).

(8)  Raccomandazione della Commissione 2003/361/CE, del 6 maggio 2003, relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese (GU L 124 del 20.5.2003, pag. 36).

(9)  Direttiva (UE) 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti (GU L 157 del 15.6.2016, pag. 1).



Entro il 10 maggio 2021 gli Stati membri erano tenuti ad la direttiva UE/2019/633 sulle pratiche commerciali sleali filiera agricola alimentare, in modo da tutelare in modo adeguato le imprese agricole.

L’Italia ha provveduto mediante il decreto legislativo 8 novembre 2021, n.198.


 

Enoturismo

Enoturismo: pubblicato il decreto attuativo.


Il MIPAAFT ha pubblicato il  decreto su enoturismo, e cioè le linee guida e indirizzi in merito ai requisiti e agli standard minimi di qualità per l’esercizio della attività enoturistica.

Tale attività è disciplinata dalla legge 205 del 27 dicembre 2017 (art.1, commi da 502 a 505), che così dispone:

“502. Con il termine « enoturismo » si intendono tutte le attivita’ di conoscenza del vino espletate nel luogo di produzione, le visite nei luoghi di coltura, di produzione o di esposizione degli strumenti utili alla coltivazione della vite, la degustazione e la commercializzazione delle produzioni vinicole aziendali, anche in abbinamento ad alimenti, le iniziative a carattere didattico e ricreativo nell’ambito delle cantine.
.
503.  Allo svolgimento dell’attivita’ enoturistica si applicano le disposizioni fiscali di cui all’articolo 5 della legge 30 dicembre 1991, n. 413. Il regime forfettario dell’imposta sul valore aggiunto di cui all’articolo 5, comma 2, della legge n. 413 del 1991 si applica solo per i produttori agricoli di cui agli articoli 295 e seguenti della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006.
.
504.  Con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dei beni e delle attivita’ culturali e del turismo, adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definiti linee guida e indirizzi in merito ai requisiti e agli standard minimi di qualita’, con particolare riferimento alle produzioni vitivinicole del territorio, per l’esercizio dell’attivita’ enoturistica.
505.  L’attivita’ enoturistica e’ esercitata, previa presentazione al comune di competenza della segnalazione certificata di inizio attivita’ (SCIA), ai sensi dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, in conformita’ alle normative regionali, sulla base dei requisiti e degli standard disciplinati dal decreto di cui al comma 504″.

 

 

Va ricordato che il Testo Unico Vino:

    • consente che “i consorzi di tutela di cui al comma 4, anche in collaborazione con enti e organismi pubblici e privati, possono favorire e promuovere attivita’ di promozione dell’enoturismo” (art.40, comma 11);
    • modifica la disciplina delle “strade del vino” (art.87), consentendo alle aziende agricole la somministrazione di produzioni agroalimentari tradizionali e delle produzioni designate con denominazione di origine protetta (DOP) o indicazione geografica protetta (IGP) della regione di appartenza (art.87)

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