etichettatura vino alimenti

Le regole per l’etichettaura del vino  e degli alimenti sono previste dal diritto comunitario (etichettatura vino alimenti)


Per evitare ostacoli al commercio dei prodotti alimentari e vinicoli, etichettatura vino alimenti è disciplinata dal diritto dell’Unione Europea.

Il testo base è costituito dal regolamento di Consiglio e Parlamento europeo UE/1169/2011.

Le norme ivi contenute si applicano a tutti i prodotti alimentari e – salve le deroghe espressamente previste dal regolamento stesso – anche ai prodotti vinicoli.

Fermo quanto sopra, per quanto concerne i vini  le specifiche norme sull’etichettatura sono contenute:

– nell’ordinamento dell’Unione Europea

– nell’ordinamento italiano

 

Per quanto concerne l’etichettatura dei vini varietali italiani, si deve quindi fare riferimento a detto DM MIPAAF 13 agosto 2012.

Si aggiungono poi le norme sull’etichettatura ambientale.


Sino al 2021, tra le deroghe più significative per l’etichettatura dei vini rispetto alla disciplina generale per gli alimenti, vi era quella che li esentava dall’indicare  sia gli ingredienti, sia il contenuto calorico.

Nel contesto della  riforma della PAC post-2020 (su cui l’accordo si è formato a fine giugno 2021) si è deciso come applicare anche ai vini le norme che impongono di indicare sia gli ingredienti, sia il contenuto calorico.

La nuova PAC post-2020 (2023-2007)

Le nuove norme sono portate dal Regolamento UE/2117/2021.

Per quanto concerne la revisione regime UE indicazioni geografiche nel settore vitivinicolo, rileva il comma 119 dell’art.1 di detto regolamento UE/2117/2021, che così modifica le pertinenti norme del regolamento UE/1308/2013 sulla OCM Unica

 

l’articolo 119 è così modificato:

a)

il paragrafo 1 è così modificato:

i)

la lettera a) è sostituita dalla seguente:

«a)

la designazione della categoria di prodotti vitivinicoli in conformità dell’allegato VII, parte II. Per le categorie di prodotti vitivinicoli di cui all’allegato VII, parte II, punto 1 e punti da 4 a 9, quando tali prodotti sono stati sottoposti a un trattamento di dealcolizzazione conformemente all’allegato VIII, parte I, sezione E, la designazione della categoria è accompagnata:

i)

dal termine “dealcolizzato” se il titolo alcolometrico effettivo del prodotto non è superiore a 0,5 % vol., o

ii)

dal termine “parzialmente dealcolizzato” se il titolo alcolometrico effettivo del prodotto è superiore a 0,5 % vol. ed è inferiore al titolo alcolometrico effettivo minimo della categoria che precede la dealcolizzazione.»;

ii)

sono aggiunte le lettere seguenti:

«h)

la dichiarazione nutrizionale ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera l), del regolamento (UE) n. 1169/2011;

i)

l‘elenco degli ingredienti ai sensi dell‘articolo 9, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) n. 1169/2011;

j)

nel caso di prodotti vitivinicoli che sono stati sottoposti a un trattamento di dealcolizzazione conformemente all’allegato VIII, parte I, sezione E, e aventi un titolo alcolometrico volumico effettivo inferiore al 10 %, il termine minimo di conservazione a norma dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera f), del regolamento (UE) n. 1169/2011.»;

b)

il paragrafo 2 è sostituito dal seguente:

«2.   In deroga al paragrafo 1, lettera a), per i prodotti vitivinicoli diversi da quelli sottoposti a un trattamento di dealcolizzazione conformemente all’allegato VIII, parte I, sezione E, il riferimento alla categoria di prodotti vitivinicoli può essere omesso per i vini sulla cui etichetta figura il nome di una denominazione d’origine protetta o di un’indicazione geografica protetta.»;

c)

sono aggiunti i paragrafi seguenti:

«4.   In deroga al paragrafo 1, lettera h), la dichiarazione nutrizionale sull’ imballaggio o su un’etichetta a esso apposta può essere limitata al valore energetico, che può essere espresso mediante il simbolo “E” (energia). In tali casi, la dichiarazione nutrizionale completa è fornita per via elettronica mediante indicazione sull’imballaggio o su un’etichetta a esso apposta. Tale dichiarazione nutrizionale non figura insieme ad altre informazioni inserite a fini commerciali o di marketing e non vengono raccolti o tracciati dati degli utenti;

5.   In deroga al paragrafo 1, lettera i), l’elenco degli ingredienti può essere fornito per via elettronica mediante indicazione sull’ imballaggio o su un’etichetta a esso apposta. In tali casi, si applicano i requisiti seguenti:

a)

non sono raccolti o tracciati dati degli utenti;

b)

l’elenco degli ingredienti non figura insieme ad altre informazioni inserite a fini commerciali o di marketing; e

c)

l’indicazione delle informazioni di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettera c), del regolamento (UE) n. 1169/2011 figura direttamente sull’imballaggio o su un’etichetta a esso apposta.

L’indicazione di cui al primo comma, lettera c), del presente paragrafo comprende la parola “contiene” seguita dal nome della sostanza o del prodotto che figura nell’allegato II del regolamento (UE) n. 1169/2011.»;

Il regolamento UE/1169/2011 sull’etichettatura degli alimento porta (art.2, comma 2, lettera f) la seguente definizione di “ingrediente“:

«ingrediente» : qualunque sostanza o prodotto, compresi gli aromi, gli additivi e gli enzimi alimentari, e qualunque costituente di un ingrediente composto utilizzato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se sotto forma modificata;  i residui non sono considerati come ingredienti;

Quanto ai composti enologici, il Codice enologico europeo (Regolamento della Commissione 934/2019) distingue appositamente tra “additivi” e “coadiuvanti tecnologici” dei vini.

Vista la definizione di “ingrediente” portata dal citato regolamento 1169/2011 e tenuto conto che le nuove norme sull’indicazione degli ingredienti per i vini sembrano condurre a tale definizione, verosimilmente  dovranno figurare tra gli ingredienti dei vini gli “additivi“, con esclusione dei “composti enologici“, siccome questi ultimi tendono a lasciare semplicemente dei residui (se così non fosse, vanno invece indicati in etichetta).



L’etichettatura dei vini è però soggetta ad ulteriori disposizioni, specifiche invece per tale settore.

Tali apposite regole sono contenute nel regolamento di Consiglio e Commissione UE/1308/2013 (regolamento sulla OCM Unica, articoli  117 e seguenti) nonché nell’apposito regolamento attuativo della Commissione (regolamento UE/33/2019, art.40 e seguenti).

In virtù dei regolamenti sopra indicarti, etichettura vini alimenti subisce anche restrizioni significative, in quanto va realizzata senza usurpare o contraffare alcuna DOP o IGP.

Casi particolari diapplicazione di dette restrizioni sono:

In attuazione dei principi sull’etichettatura vini alimenti, la Commissione ha di recente emanato un regolamento, che dal 1 aprile 2020 impone di indicare in etichetta il paese di origine dell’ingrediente primario di un alimento, quando esso è diverso da quello del paese ove viene prodotto l’alimento finale etichettato.

Pratiche enologiche OIV

La Commissione ha pubblicato l’elenco delle Pratiche enologiche ammesse da OIV (Pratiche enologiche OIV)


Schede pratiche enologiche OIV (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino):   in adempimento a quanto previsto nel Codice enologico europeo, la Commissione ha pubblicato l’elenco delle pratiche di cantina ammesse da OIV (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino), giacché esse sono richiamate dalle stesse tabelle di detto Codice, che individuano le pratiche ed i composti enologici da esso autorizzati (tabelle 1 e 2, portate dall’allegato I al Codice stesso).

In adempimento a quanto previsto nel Codice enologico europeo,   la Commissione ha pubblicato l’elenco delle pratiche di cantina ammesse da OIV (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino), giacché esse sono richiamate dalle stesse tabelle di detto Codice, che individuano le pratiche ed i composti enologici da esso autorizzati (tabelle 1 e 2, portate dall’allegato I al Codice stesso: in entrambe, si veda la colonna n.3).

In effetti, in base a quanto sancito nella regolamento base sulla OCM Unica (regolamento di Consiglio e Parlamento Europeo UE/1308/2013, art.80, comma 5), la Commissione ha sì ricevuto la delega a disciplinare le pratiche di cantina ed i composti enologi, ma nel farlo essa deve adesso basarsi

“sui metodi pertinenti raccomandati e pubblicati dall’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (OIV), a meno che tali metodi siano inefficaci o inadeguati per conseguire l’obiettivo perseguito dall’Unione”.

Circa i requisiti di purezza di additivi e coadivuanti per il vino, Il Codice enologico europeo (art.9) rinvia – per quanto non specificamente disciplinato dalla normativa comunitaria (costituita dal regolamento della Commissione UE/231/2012)  – al Codice enologico internazionale elaborato sempre da OIV.

La Commissione ha comunque evidenziato che – in caso di contrasto tra  quanto rispettivamente consentito dal Codice enologico europeo e quanto da OIV – prevalgono le disposizioni del primo.

Per quanto concerne gli enzimi (quelli autorizzati dal Codice enologico europeo, che costituiscono dei coadiuvanti tecnologici), sempre all’art.9 quest’ultimo stabilisce che:

 “gli enzimi e i preparati enzimatici utilizzati nelle pratiche e nei trattamenti enologici autorizzati elencati nell’allegato I, parte A, rispondono ai requisiti di cui al regolamento (CE) n. 1332/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio.


Il Codice enologico europeo è attualmente costituito dal regolamento della Commissione UE/934/2019, il quale indica quali sono le pratiche enologiche e quali gli ingredienti enologici autorizzati per la produzione di vino nell’Unione Europea.

Di conseguenza, nessun vino può essere legalmente commercializzato nell’Unione Europea, se prodotto utilizzando:

  • tecniche e/o ingredienti enologici diverse da quelle autorizzate dal Codice stesso (salve sperimentazioni nazionali, debitamente autorizzate seguendo le procedure previste dal Codice in questione)
  • tecniche e/o ingredienti enologici  autorizzati, ma violando i limiti eventualmente stabiliti dal Codice enologico per il loro utilizzo.

Per i vini importati da Stati terzi valgono i medesimi principi, a meno che non siano derogati da appositi accordi intrnazionali conclusi in materia dall’Unione Europea con lo Stato terzo produttore (si pensi a quello con gli Stati Uniti d’America, fatto nel 2006).


OIV - Nornativa tecnica


 

Autorizzazione impianto vigneti 2020

Autorizzazione impianto vigneti 2020:  pubblicata una nuova guida di AGEA (circolare AGEA  n.11517 del  13 febbraio 2020).


Autorizzazione impianto vigneti 2020: la circolare AGEA n.11517 del 13 febbraio 2020 fa il punto sulla legislazione nazionale nonché sulle posizioni adottate dalle Regioni in merito ai criteri di priorità.

Essa sostituisce integralmente quella adottata per l’anno 2019 (circolare 12599 del 14 febbraio 2019), ma ne riprende sostanzialmente i contenuti, sopratutto per quanto concerne il rispetto dei criteri di priorità  e di ammissibilità (che vengono anzi ulteriormente salvaguardati) ed i limiti al traferimento tra Regioni.

Il quadro normativo italiano di riferimento resta quello portato dal D.M. 12272 del 15 dicembre 2015 , (come precisato dalla circolare MIPAAF 5852 del 25/10/2016), in ultimo modificato dal DM 935 del 13 febbraio 2018.

Il tutto in applicazione delle regole portate dalla OCM Unica (Regolamento UE 1308/2013, articoli 62 e seguenti, che a sua volta è stato oggetto di successive modificazioni), su cui si è espressa la Commissione UE con il parere (ARES 2017-5680223), secondo cui:

“l’affitto di superfici vitate, al solo scopo di procedere alla loro immediata estirpazione ed al reimpianto in località differente e molto distante, non può essere considerato una normale attività agricola, sopratutto se la superficie vitata oggetto di estirpazione non è gestita dall’affittuario per un certo lasso di tempo e se il contratto di affitto è rescisso dopo l’estirpazione”.

Di conseguenza, la circolare AGEA 11517 del 13 febbraio 2020 individua i seguenti principi:

 

3) Modifica della superficie per cui è concessa l’autorizzazione

Dal 2018 la modifica di una superficie rilasciata sulla base di un criterio di priorità individuato dalla Regione secondo l’articolo 7bis del DM n. 12272 del 15 dicembre 2015, è da intendersi analoga alla fattispecie riportata nell’articolo 7 paragrafo 3 per la quale trova applicazione l’articolo 14del medesimo decreto, ovvero, su domanda del richiedente, un impianto di viti può essere effettuato in una superficie dell’azienda diversa dalla superficie per cui è stata concessa l’autorizzazione solo nel caso in cui anche la nuova superficie rispetti i medesimi criteri di priorità di cui all’articolo 7bis per i quali è stata rilasciata l’autorizzazione.

 

4) Modifica della Regione/P.A. di riferimento

Il titolare dell’autorizzazione al reimpianto può richiedere, in modalità telematica, di variare la regione di riferimento al fine di poter utilizzare l’autorizzazione per impiantare un vigneto in una regione diversa da quella per cui ha ottenuto l’autorizzazione.

La modifica della regione di riferimento delle autorizzazioni per i nuovi impianti non è permessa se non vengono rispettati i criteri di ammissibilità e gli eventuali criteri di priorità previsti alla presentazione della domanda e che hanno determinato il rilascio dell’autorizzazione.

La richiesta di modifica della regione di riferimento delle autorizzazioni deve essere inoltrata alla regione dove si vuole effettuare l’impianto. La richiesta di modifica della regione di riferimento deve ricevere il nulla osta sia da parte della regione dove si vuole effettuare l’impianto, sia da parte della regione di origine.

Non è consentita la modifica della regione di riferimento di autorizzazioni per reimpianto anticipato. Al fine di contrastare fenomeni elusivi del principio della gratuità e non trasferibilità della titolarità delle autorizzazioni conseguenti ad atti di trasferimento temporaneo della conduzione, l’estirpazione dei vigneti effettuata prima dello scadere dei 6 anni dalla data di registrazione dell’atto di conduzione non dà origine ad autorizzazioni di reimpianto in una Regione differente da quella in cui è avvenuto l’estirpo. La presente disposizione non si applica agli atti di trasferimento temporaneo registrati prima dell’entrata in vigore del DM 935 del 13 febbraio2018 ….  Tale disposizione, per identità di ratio, è applicabile anche all’ipotesi di richiesta di trasferimento di una autorizzazione al reimpianto su terreni  in conduzione (mediante atti di trasferimento temporaneo) da meno di 6 anni in una regione differente.

 

Ribadendo un principio già fissato dalla precedente circolare del 2019, la circolare AGEA emessa per l’anno 2020 (circolare 11517 del 13 febbraio 2020) ha altresì sancito:

 

“A.Rilascio di autorizzazioni per nuovi impianti (annuale)

Il Ministero rende nota con decreto direttoriale entro il 30 settembre di ogni annola superficie nazionale che può essere oggetto di autorizzazioniper nuovi impianti nell’annualità successiva(da qui in avanti“superficie nazionale autorizzabile”).

Al fine di contrastare fenomeni elusivi del criterio di distribuzione proporzionale, anche nell’ambito dell’introduzione di criteri di priorità e del rispetto del miglioramento della competitività del settore nell’ambito delle singole Regioni, dal2017 sono state introdottele seguenti prescrizioni:

1) nelle domande di autorizzazione per nuovi impianti dovranno essere specificate la dimensione richiesta e la Regione nella quale si intende localizzare le superfici oggetto di richiesta. Le autorizzazioni per nuovi impianti concesse dalla campagna 2017 e 2018, quindi, non sono più trasferibili da una regione ad un’altra, in quanto ciò contrasta con il criterio di ammissibilità.

2) Il vigneto impiantato a seguito del rilascio dell’autorizzazione è mantenuto per un numero minimo di 5 anni, fatti salvi i casi di forza maggiore e/omotivi fitosanitari. Per tale motivo, l’estirpazione dei vigneti impiantati con autorizzazioni di nuovo impianto prima dello scadere dei 5 anni dalla data di impianto non dà origine ad autorizzazioni di reimpianto.”

 

Per quanto concerne i criteri di prorità adottati dalle singole Regioni (nel rispetto dei criteri fissati dalla normativa comunitaria), si veda l’allegato n.1 alla stessa circolare Agea del 2020.


Autorizzazioni impianto nuovi vigneti: normativa italiana


Regione Piemonte - Autorizzazione impianto vitigni


 

Accordo UE Giappone tutela DOP IGP

Gli accordi della UE con Cina e Giappone per la tutela di alcune DOP(Accordo UE-Giappone tutela DOP IGP)


Nell’anno 2019 l’Unione Europea ha concluso due accordi internazionali – uno con la Cina (Accordo UE-Cina tutela DOP IGP) e l’altro con il Giappone (Accordo UE-Giappone tutela DOP IGP) – che aggiungono nuovi nodi ad una rete di appositi trattati internazionali, pazientemente tessuta al fine di salvaguardare nel mondo le nostre DOP e IGP.

Cerchiamo innanzitutto di capire perché tali accordi sono indispensabili.

I nomi geografici, costituenti DOP ovvero IGP, sono protetti – quando ciò avviene, ma non è cosa scontata nel mondo! – per effetto di norme giuridiche, le quali esplicano però effetto unicamente sul territorio dell’ordinamento che le prevede. Va da sé che, più è ampio il territorio dell’ordinamento giuridico in questione, maggiore è l’estensione geografica delle zone ove vige siffatta tutela.

In buone sostanza, i confini nazionali rappresentano un grave ostacolo alla tutela in questione.

In Europa, tale problema è stato risolto – con notevole efficacia! – proprio grazie alle norme comunitarie: facendo discendere da esse la protezione di DOP e IGP, i confini nazionali all’interno dell’Unione non ledono minimamente la loro tutela. In altre parole, in virtù del diritto comunitario, una denominazione italiana è protetta nello stesso modo tanto in Italia, quanto in Francia, quanto in Germania, e così via in tutti gli altri Paesi dell’Unione.

La protezione, peraltro, è molto estesa, siccome essa vieta (art.103 del Regolamento 1308/2013/UE) – fra l’altro – di ledere le DOP e le IGP con «qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto o servizio è indicata o se il nome protetto è una traduzione, una trascrizione o una traslitterazione o è accompagnato da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, “gusto”, “come” o espressioni simili».

Superando i confini dell’Unione Europea, ciò viene meno.

L’unica possibilità, per mantenere una certa tutela, è che anche gli Stati non facenti parte dell’Unione riconoscano sul loro territorio una qualche protezione a DOP e IGP comunitarie.

E’ vero che gli Accordi TRIPS, conclusi in sede dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, comportano l’obbligo per tutti gli Stati aderenti di proteggere le denominazioni di origine (ma non le indicazioni geografiche!), ma è parimenti vero che detti accordi sono assai poco efficaci.

Per rimediare, non restava che stringere appositi trattati con i singoli paesi.

Per farlo è tuttavia necessario disporre di molto potere negoziale: forza che l’Italia – da sola – avrebbe in misura alquanto limitata.

A partire dagli anni ‘90, dunque, l’Unione Europea ha gradatamente concluso molteplici accordi in materia con molti altri Stati – fra cui: U.S.A., Canada, Sud Africa, Cile, Australia, … – per vedere protette sul loro territorio le nostre DOP e IGP, così intessendo una vera e propria “rete” in loro difesa.

In buona sostanza: è grazie all’Unione Europea che le nostre DOP e IGP vengono tutelate in gran parte del mondo con una certa effettività.

Siffatta “rete” presentava però due preoccupanti buchi, adesso in qualche modo tappati: mancavano infatti la Cina ed il Giappone.

Il tema era particolarmente cruciale per i produttori europei, giacché per noi le denominazioni di origine rappresentano un patrimonio economico assolutamente significativo. Tuttavia, negli ultimi anni anche la Cina – volendo entrare sempre più nel mondo del commercio internazionale – ha iniziato a riconoscere alcune denominazioni di origine del proprio territorio (la prima riguarda le lingue d’oca).

E’ però errato pensare che tale complesso sistema di protezione sia omogeneo.

Ad esempio, l’Accordo tra UE ed USA verte esclusivamente sul commercio del vino: esso pertanto tutela in modo abbastanza esteso le DOP europee relative a tale settore, ma esclude quelle dei prodotti alimentari. Lo stesso dicasi per i trattati con l’Australia, la Repubblica Sudafricana ed il Cile.

Per contro, il recente Accordo con la Cina concerne anche le DOP alimentari. Tuttavia, le DOP europee che ne beneficiano – vedendo così riservata sia la loro espressione in caratteri latini che la loro traslitterazione in ideogrammi cinesi – sono al momento relativamente poche, e cioè solo un centinaio, di cui ben 26 italiane.

Ecco quali sono queste ultime: Aceto Balsamico di Modena, Asti, Barbaresco, Bardolino Superiore, Barolo, Brachetto d’Acqui, Brunello di Montalcino, Chianti, Conegliano-Valdobbiadene Prosecco, Dolcetto d’Alba, Franciacorta, Montepulciano d’Abruzzo, Soave, Toscano/Toscana, Vino Nobile di Montepulciano (per quanto concerne i vini); Grappa (in relazione ai liquori); Asiago, Bresaola della Valtellina, Gorgonzola, Grana Padano, Mozzarella di Bufala Campana, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Prosciutto di Parma, Prosciutto San Daniele, Taleggio (DOP alimentari).

Di certo, dette DOP sono tra le nostre più significative, il che è un gran successo. Però il loro numero è comunque modesto, per cui è da augurarsi che l’attuale accordo con la Cina rappresenti un primo passo per una tutela numericamente più diffusa. In effetti, nell’Unione Europea sono tutelate ben 573 DOP e 248 IGP italiane (di cui, rispettivamente, 167 e 130 agroalimentari nonché 406 e 118 per i vini)!

Anche il recente ampio accordo commerciale tra Unione Europea e Giappone, che tra le sue molteplici pattuizioni prevede pure la protezione delle rispettive DOP, non rappresenta una misura di loro generale salvaguardia, essendo limitato il numero delle denominazioni di origine che ne beneficiano.

Per quanto concerne le DOP italiane, il Giappone ha accettato di proteggere sul proprio territorio – oltre a tutte quelle oggetto dell’accordo tra UE e Cina – anche i seguenti ulteriori nomi geografici o di prodotti: Sicilia, Soave, Valpolicella, Vernaccia di San Gimignano, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Gasparossa di Castelvetro, Marsala, Montepulciano di Abruzzo, Campania, Bolgheri / Bolgheri Sassicaia, Bardolino / Bardolino Superiore (con riferimento ai vini); Fontina, Mela Alto Adige / Südtiroler Apfel, Mortadella Bologna, Pecorino Toscano, Prosciutto Toscano, Provolone Valpadana, Taleggio, Zampone Modena.

Inoltre, sia l’accordo con la Cina sia quello con il Giappone – al pari di molti altri accordi internazionali – esplicano i loro effetti solo in favore dei citati nomi geografici, lasciando invece scoperte le relative sotto-zone ed indicazioni geografiche aggiuntive, che nemmeno sono tutelate (proprio perché sono cosa diversa dalle denominazioni), ma semplicemente consentite dalla legislazione dell’Unione Europea sull’organizzazione comune dei mercati e che trovano il loro fondamento nel Testo Unico Vino del nostro paese (il che implica una protezione molto più limitata e flebile).

Pure le menzioni tradizionali connesse alle denominazioni coperte dai nuovi accordi con Cina e Giappone non trovano protezione, ma ciò vale anche per molti altri accordi internazionali sul commercio del vino conclusi dalla UE (fanno eccezione quelli con l’Australia ed il Cile), mentre all’interno della Unione esse sono salvaguardate. Anzi, il relativo livello di protezione è aumentato con l’adozione del regolamento della Commissione 33/2019, che ha sostanzialmente assimilato la portata della protezione per le menzioni a quella per le dominazioni (fatta salva la differenza che le prime sono tutelate solo nella versione linguistica con cui sono registrate, mentre per le seconde la tutela copre anche la loro espressione nelle altre lingue dell’Unione).

Insomma, questi due nuovi accordi internazionali – che vanno sicuramente apprezzati e ben accolti! – iniziano forse a connotare una sorta di differenziazione all’interno delle stesse DOP e IGP, sostanzialmente ricollegabile al peso economico delle rispettive produzioni.

Chi realizza quelle attualmente escluse dalla protezione, dovrà quindi prestare attenzione all’evoluzione della situazione, per capire se in futuro essa si consoliderà alle restrittive attuali condizioni ovvero si assisterà ad una graduale estensione del campo di operatività della tutela di DOP e IGP europee in Cina e Giappone. La questione appare particolarmente delicata per quei produttori che puntano a vedere proprio su tali importanti mercati.


Circolare Agenzia dogane su accordo UE - Giappone


Sempre a fine dell’anno 2019, l’Unione Europea ha compiuto ulteriori passi per perfezionare la propria adesione al cosiddetto “Accordo di Lisbona” (così come modificato da quello successivo di Ginevra), che – in sede WIPO (World Intellectual Property Organization) – ha come obiettivo la tutela sia delle denominazioni di origine, sia delle indicazioni geografiche.

Ciò consente di rafforzare la tutela di DOP e IGP dell’Unione Europea nei seguenti paesi, magari meno rilevanti sul piano dell’export dei nostri vini, ma che – in assenza di tale trattato – avrebbero potuto costituire un “porto sicuro” per eventuali operazioni di contraffazione: Albania, Algeria, Bosnia ed Herzegovina, Burkina Faso, Congo, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana, Korea del Nord, Repubblica Dominicana, Gabon, Georgia, Haiti, Iran, Israele, Mexico, Montenegro, Nicaragua, Macedonia del Nord, Peru, Moldavia, Togo e Tunisia.

Accordo UE-Cina tutela DOP IGP

Gli accordi della UE con Cina e Giappone per la tutela di alcune DOP(Accordo UE-Cina tutela DOP IGP)


Nell’anno 2019 l’Unione Europea ha concluso due accordi internazionali – uno con la Cina (Accordo UE-Cina tutela DOP IGP) e l’altro con il Giappone (Accordo UE-Giappone tutela DOP IGP) – che aggiungono nuovi nodi ad una rete di appositi trattati internazionali, pazientemente tessuta al fine di salvaguardare nel mondo le nostre DOP e IGP.

Cerchiamo innanzitutto di capire perché tali accordi sono indispensabili.

I nomi geografici, costituenti DOP ovvero IGP, sono protetti – quando ciò avviene, ma non è cosa scontata nel mondo! – per effetto di norme giuridiche, le quali esplicano però effetto unicamente sul territorio dell’ordinamento che le prevede. Va da sé che, più è ampio il territorio dell’ordinamento giuridico in questione, maggiore è l’estensione geografica delle zone ove vige siffatta tutela.

In buone sostanza, i confini nazionali rappresentano un grave ostacolo alla tutela in questione.

In Europa, tale problema è stato risolto – con notevole efficacia! – proprio grazie alle norme comunitarie: facendo discendere da esse la protezione di DOP e IGP, i confini nazionali all’interno dell’Unione non ledono minimamente la loro tutela. In altre parole, in virtù del diritto comunitario, una denominazione italiana è protetta nello stesso modo tanto in Italia, quanto in Francia, quanto in Germania, e così via in tutti gli altri Paesi dell’Unione.

La protezione, peraltro, è molto estesa, siccome essa vieta (art.103 del Regolamento 1308/2013/UE) – fra l’altro – di ledere le DOP e le IGP con «qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto o servizio è indicata o se il nome protetto è una traduzione, una trascrizione o una traslitterazione o è accompagnato da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione”, “gusto”, “come” o espressioni simili».

Superando i confini dell’Unione Europea, ciò viene meno.

L’unica possibilità, per mantenere una certa tutela, è che anche gli Stati non facenti parte dell’Unione riconoscano sul loro territorio una qualche protezione a DOP e IGP comunitarie.

E’ vero che gli Accordi TRIPS, conclusi in sede dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, comportano l’obbligo per tutti gli Stati aderenti di proteggere le denominazioni di origine (ma non le indicazioni geografiche!), ma è parimenti vero che detti accordi sono assai poco efficaci.

Per rimediare, non restava che stringere appositi trattati con i singoli paesi.

Per farlo è tuttavia necessario disporre di molto potere negoziale: forza che l’Italia – da sola – avrebbe in misura alquanto limitata.

A partire dagli anni ‘90, dunque, l’Unione Europea ha gradatamente concluso molteplici accordi in materia con molti altri Stati – fra cui: U.S.A., Canada, Sud Africa, Cile, Australia, … – per vedere protette sul loro territorio le nostre DOP e IGP, così intessendo una vera e propria “rete” in loro difesa.

In buona sostanza: è grazie all’Unione Europea che le nostre DOP e IGP vengono tutelate in gran parte del mondo con una certa effettività.

Siffatta “rete” presentava però due preoccupanti buchi, adesso in qualche modo tappati: mancavano infatti la Cina ed il Giappone.

Il tema era particolarmente cruciale per i produttori europei, giacché per noi le denominazioni di origine rappresentano un patrimonio economico assolutamente significativo. Tuttavia, negli ultimi anni anche la Cina – volendo entrare sempre più nel mondo del commercio internazionale – ha iniziato a riconoscere alcune denominazioni di origine del proprio territorio (la prima riguarda le lingue d’oca).

E’ però errato pensare che tale complesso sistema di protezione sia omogeneo.

Ad esempio, l’Accordo tra UE ed USA verte esclusivamente sul commercio del vino: esso pertanto tutela in modo abbastanza esteso le DOP europee relative a tale settore, ma esclude quelle dei prodotti alimentari. Lo stesso dicasi per i trattati con l’Australia, la Repubblica Sudafricana ed il Cile.

Per contro, il recente Accordo con la Cina concerne anche le DOP alimentari. Tuttavia, le DOP europee che ne beneficiano – vedendo così riservata sia la loro espressione in caratteri latini che la loro traslitterazione in ideogrammi cinesi – sono al momento relativamente poche, e cioè solo un centinaio, di cui ben 26 italiane.

Ecco quali sono queste ultime: Aceto Balsamico di Modena, Asti, Barbaresco, Bardolino Superiore, Barolo, Brachetto d’Acqui, Brunello di Montalcino, Chianti, Conegliano-Valdobbiadene Prosecco, Dolcetto d’Alba, Franciacorta, Montepulciano d’Abruzzo, Soave, Toscano/Toscana, Vino Nobile di Montepulciano (per quanto concerne i vini); Grappa (in relazione ai liquori); Asiago, Bresaola della Valtellina, Gorgonzola, Grana Padano, Mozzarella di Bufala Campana, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Prosciutto di Parma, Prosciutto San Daniele, Taleggio (DOP alimentari).

Di certo, dette DOP sono tra le nostre più significative, il che è un gran successo. Però il loro numero è comunque modesto, per cui è da augurarsi che l’attuale accordo con la Cina rappresenti un primo passo per una tutela numericamente più diffusa. In effetti, nell’Unione Europea sono tutelate ben 573 DOP e 248 IGP italiane (di cui, rispettivamente, 167 e 130 agroalimentari nonché 406 e 118 per i vini)!

Anche il recente ampio accordo commerciale tra Unione Europea e Giappone, che tra le sue molteplici pattuizioni prevede pure la protezione delle rispettive DOP, non rappresenta una misura di loro generale salvaguardia, essendo limitato il numero delle denominazioni di origine che ne beneficiano.

Per quanto concerne le DOP italiane, il Giappone ha accettato di proteggere sul proprio territorio – oltre a tutte quelle oggetto dell’accordo tra UE e Cina – anche i seguenti ulteriori nomi geografici o di prodotti: Sicilia, Soave, Valpolicella, Vernaccia di San Gimignano, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Gasparossa di Castelvetro, Marsala, Montepulciano di Abruzzo, Campania, Bolgheri / Bolgheri Sassicaia, Bardolino / Bardolino Superiore (con riferimento ai vini); Fontina, Mela Alto Adige / Südtiroler Apfel, Mortadella Bologna, Pecorino Toscano, Prosciutto Toscano, Provolone Valpadana, Taleggio, Zampone Modena.

Inoltre, sia l’accordo con la Cina sia quello con il Giappone – al pari di molti altri accordi internazionali – esplicano i loro effetti solo in favore dei citati nomi geografici, lasciando invece scoperte le relative sotto-zone ed indicazioni geografiche aggiuntive, che nemmeno sono tutelate (proprio perché sono cosa diversa dalle denominazioni), ma semplicemente consentite dalla legislazione dell’Unione Europea sull’organizzazione comune dei mercati e che trovano il loro fondamento nel Testo Unico Vino del nostro paese (il che implica una protezione molto più limitata e flebile).

Pure le menzioni tradizionali connesse alle denominazioni coperte dai nuovi accordi con Cina e Giappone non trovano protezione, ma ciò vale anche per molti altri accordi internazionali sul commercio del vino conclusi dalla UE (fanno eccezione quelli con l’Australia ed il Cile), mentre all’interno della Unione esse sono salvaguardate. Anzi, il relativo livello di protezione è aumentato con l’adozione del regolamento della Commissione 33/2019, che ha sostanzialmente assimilato la portata della protezione per le menzioni a quella per le dominazioni (fatta salva la differenza che le prime sono tutelate solo nella versione linguistica con cui sono registrate, mentre per le seconde la tutela copre anche la loro espressione nelle altre lingue dell’Unione).

Insomma, questi due nuovi accordi internazionali – che vanno sicuramente apprezzati e ben accolti! – iniziano forse a connotare una sorta di differenziazione all’interno delle stesse DOP e IGP, sostanzialmente ricollegabile al peso economico delle rispettive produzioni.

Chi realizza quelle attualmente escluse dalla protezione, dovrà quindi prestare attenzione all’evoluzione della situazione, per capire se in futuro essa si consoliderà alle restrittive attuali condizioni ovvero si assisterà ad una graduale estensione del campo di operatività della tutela di DOP e IGP europee in Cina e Giappone. La questione appare particolarmente delicata per quei produttori che puntano a vedere proprio su tali importanti mercati.


Circolare Agenzia dogane su accordo UE - Giappone


Sempre a fine dell’anno 2019, l’Unione Europea ha compiuto ulteriori passi per perfezionare la propria adesione al cosiddetto “Accordo di Lisbona” (così come modificato da quello successivo di Ginevra), che – in sede WIPO (World Intellectual Property Organization) – ha come obiettivo la tutela sia delle denominazioni di origine, sia delle indicazioni geografiche.

Ciò consente di rafforzare la tutela di DOP e IGP dell’Unione Europea nei seguenti paesi, magari meno rilevanti sul piano dell’export dei nostri vini, ma che – in assenza di tale trattato – avrebbero potuto costituire un “porto sicuro” per eventuali operazioni di contraffazione: Albania, Algeria, Bosnia ed Herzegovina, Burkina Faso, Congo, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana, Korea del Nord, Repubblica Dominicana, Gabon, Georgia, Haiti, Iran, Israele, Mexico, Montenegro, Nicaragua, Macedonia del Nord, Peru, Moldavia, Togo e Tunisia.


Disegni e paesaggi evocativi DOP IGP

Disegni e paesaggi evocativi di un territorio sono riservati ai suoi vini DOP e IGP (Disegni e paesaggi evocativi DOP IGP)


Un disegno oppure un paesaggio, quando particolarmente evocativi nel sentire collettivo (disegni e paesaggi evocativi DOP IGP), possono efficacemente richiamare alle mente dei consumatori un certo territorio.

Disegni e paesaggi evocativi DOP IGP

Qualora il nome di tale territorio sia protetto come denominazione di origine, è allora legittimo utilizzare disegni o immagini di paesaggio – aventi siffatta forte capacità evocativa – su etichette di prodotti agricoli, alimentari o vini che non rispondono alle specifiche fissate dal disciplinare di produzione di tale territorio?

Diversamente detto: l’uso in etichetta di disegni o immagini di paesaggio, fortemente evocativi di un territorio il cui nome è protetto, è  riservato solo ai suoi prodotti DOP, così escludendosi che essi siano apponibili sulle etichette di qualsiasi altro prodotto, che provenga o meno dal medesimo territorio?

Una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (resa il 2 maggio 2019 in causa C-614/2017) ha sancito che siffatta riserva sussiste, così rafforzando la tutela di tutte le denominazioni di origine.

Esaminare il caso deciso dalla Corte aiuta non solo a comprendere la situazione, ma anche a capire meglio quando si applica il principio così stabilito.

Una società spagnola commercializzava tre dei suoi formaggi – nessuno dei quali DOP – utilizzando etichette che non solo contenevano il disegno di un cavaliere che assomigliava alle raffigurazioni abituali di Don Chisciotte della Mancia, di un cavallo magro e di paesaggi con mulini a vento e pecore, ma anche i termini «Quesos Rocinante» («Formaggi Ronzinante»).

Tali immagini e il termine «Ronzinante» fanno riferimento al romanzo Don Chisciotte della Mancia, di Miguel de Cervantes, ove «Ronzinante» è il nome del cavallo montato da Don Chisciotte. I formaggi in questione non rientravano nella denominazione di origine protetta (DOP) «queso manchego», che protegge i formaggi lavorati nella regione La Mancia (Spagna) con latte di pecora e nel rispetto dei requisiti del disciplinare di tale DOP.

Insomma: usando in etichetta tali immagini (il disegno del cavaliere che ricordava Don Chisciotte ed il suo magro destriero, ambientati in un paesaggio di mulini a vento), il fabbricante del formaggio non a denominazione di origine riusciva ad evocare nei consumatori il territorio spagnolo La Mancia, nome protetto come DOP, così approfittando della sua notorietà e reputazione per vendere i propri prodotti.

Sebbene i giudici spagnoli di primo e secondo grado avessero escluso in tale condotta la presenza di una violazione della normativa comunitaria a tutela delle denominazioni di origine, il sospetto si è invece insinuato nella Suprema Corte di tale paese, che ha finalmente rinviato il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione, così consentendole di pronunciarsi nel modo che abbiamo riferito.

Il punto chiave è allora il seguente: il diritto dell’Unione non vieta di riprodurre in etichetta qualunque disegno o paesaggio di un territorio, il cui nome è protetto come denominazione di origine o indicazione geografica, ma solo quelli aventi la capacità e la forza di suscitare nel pubblico dei consumatori (la Corte fa riferimento al concetto di “consumatore europeo medio”) il ricordo dello stesso territorio, così evocandolo nella loro mente.

Tuttavia, affinché il divieto si concretizzi (e sia applicabile in tutta l’Unione), per la Corte è sufficiente che l’evocazione avvenga anche solo nei consumatori dello Stato cui appartiene il territorio in questione, i quali potrebbero essere più sensibili per ragioni culturali a determinate immagini e, magari, essere i soli ad identificarne la valenza territoriale.

Il criterio determinante per ravvisare la sussistenza dell’evocazione di una denominazione (e, quindi, la sua violazione, quando ad approfittarne è un prodotto che non può legittimamente fregiarsi della relativa DOP o IGP) è dunque quello di stabilire se il termine ovvero il disegno o il paesaggio evocativo “possa richiamare direttamente nella mente del consumatore, come immagine di riferimento, il prodotto che beneficia di tale denominazione”.

Anche in questo caso, l’azione a tutela della denominazione violata è stata intentata dal relativo consorzio di tutela.

Dichiarazione vendemmia produzione

Dichiarazione vendemmia produzione, il decreto MIPAAF 7701/2019 indica le nuove norme.


Mediante il decreto 7701/2019, il MIPAAFT ha dettato le nuove regole applicabili – a partire dalla campagna agricola 2018/2019 – per la dichiarazione vendemmia produzione.

Il decreto – attuativo della normativa comunitaria in materia nonché del Testo Unico Vino (art.58 di quest’ultimo) – stabilisce che la dichiarazione di vendemmia o produzione va presentata telematicamente e che, a tal fine, il sistema sarà disponibile dal 1 agosto al 31 dicembre di ogni anno.

La dichiarazione di vendemmia va presentata ogni anno entro il 30 novembre, fatte salve alcune regole particolari per le produzioni tardive (ciò anche per l’ipotesi in cui la vendemmia per la campagna intessata abbia dato una produzione pari a zero).

La dichiarazione di produzione va presentata ogni anno entro il 15 dicembre, con riferimento ai prodotti detenuti al 30 novembre (che concerne anche chi opera in conto-lavorazione).

Al più tardi della campagna 2020/2021, chi detiene il registro telematico avrà facoltà compilare la dichiarazione di produzione sulla base dei dati contenuti nel registro stesso, che sarano riportati in automatico, ma andranno corretti se necessario.

I coltivatori di uve che conferiscono interamente la propria produzione ad una associazione oppure una cantina sociale sono tenuti ad indicarlo, mediante la compilazione di appositi quadri (F2 e R). Questi ultimi entreranno a far parte della dichiarazione che l’associazione o la cantina dovrà depositare.

La dichiarazione di vendemmia contiene anche l’eventuale rivendicazione delle uve per la trasformazione in vini IGP o DOP, con l’indicazione degli esuberi delle rese delle stesse uve IGP o DOP, che devono essere nei limiti consentiti dai relativi disciplinari.

E’ prevista la possibilità di presentare dichiarazioni preventive per particolari vini IGP o DOP che siano commericializzati prima della data di presentazione delle dichiarazioni di vendemmia e/o produzione.

Il decreto indica anche i soggetti esonerati dal presentare le dichiarazioni.

AGEA ha il compito di indicare le modalità tecnico-operative.


La riforma dello schedario viticolo comporta variazioni anche per la dichiarazione annuale di vendemmia e produzione.


 

Viticultura eroica

 

PANTELLERIA

(1 giugno 2019, ore 10, presso il Castello Medievale)

 

“Diritto ed economia di una DOC eroica

 

Saluti istituzionali

Dott. Vincenzo Campo (Sindaco di Pantelleria)

Dott. Edy Bandiera (Assessore all’Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea, Regione Siciliana)


Presiede e coordina: Avv. Stefano Dindo – Presidente dell’UGIVI

Introduce: Avv. Diego Maggio – Vice Presidente dell’UGIVI


RELAZIONI


Economia delle aziende vitivinicole operanti a Pantelleria – Analisi delle principali realtà e considerazioni di sintesi

Prof. Sebastiano Torcivia (Ordinario di economia aziendale nell’Università di Palermo, Coordinatore Master MASV – manager aziende vitivinicole)


Garanzia del reddito, difesa del territorio e promozione del turismo: il ruolo della viticoltura

Avv. Filippo Moreschi (Mantova)

Parlamento Europeo - Riforma PAC post-2020

Tutela e promozione dei vigneti storici ed eroici: il regolamento ministeriale in itinere

Prof. Avv. Ermenegildo Mario Appiano (Alba e Torino)

Parentage Atlas of Italian Grapevine Varieties

L’enoturismo, alla luce del nuovo decreto attuativo

Avv. Floriana Risuglia (Roma)

Uniseco EU Project

Dibattito


Licenza Creative Commons
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.


La partecipazione al convegno è aperta a tutti gli interessati,

senza la necessità di aderire al programma di soggiorno proposto ai soci UGIVI

Disegno legge su riforma reati alimentari



 


Disegno legge su riforma reati alimentari


Codice enologico europeo

La Commissione ha adottato il regolamento 934/2019, portante il nuovo codice enologico europeo.


La novità principale del nuovo codice enologico europeo (uno degli atti fondamentali di attuazione della OCM Unica nel settore vitivinicolo) è l’introduzione della distinzione tra “ingredienti” ed “eccipienti” dei vini.

Tale distinzione è stata adottata in vista della futura entrata in vigore (al momento nulla è ancora stato deciso al riguardo) dell’obbligo di indicare sull’etichetta dei vini i relativi ingredienti.

Quest’ultimo discende dalla circostanza che anche ai vini – in quanto alimenti – si applica il regolamento UE 1169/2011 sulle informazioni ai consumatori riguardo ai prodotti alimentari.

Sino ad ora i vini (grazie all’art.41 di detto regolamento) sono stati esentati dall’obbligo di indicare in etichetta gli ingredienti, poiché mancavano regole specifiche in sede di Unione Europea, ma adesso quest’ultima intende colmare la lacuna.

Le sostanze usate durante le pratiche enologiche potrebbero allora dover essere in futuro indicate nell’etichetta.

 

Codice enologico comunitario etichette

La distinzione tra “ingredienti” ed “eccipienti” dei vini, adesso introdotta nel nuovo Codice enologico comunitario, cerca di contenere l’obbligo di indicare in etichetta alle sole sostanze – impiegate durante le pratiche enologiche – considerate come veri e propri tra “ingredienti”, mentre potrebbe portare ad escludere dall’indicazione obbligatoria in etichetta quelle qualificate come meri “eccipienti” dei vini.


In effetti, l’art. 20 del citato regolamento UE 1169/2011 dispone:

“Omissione dei costituenti di un prodotto alimentare dall’elenco degli ingredienti.

Fatto salvo l’articolo 21, nell’elenco degli ingredienti non è richiesta la menzione dei seguenti costituenti di un alimento:

a) ..

b) gli additivi e gli enzimi alimentari:

i) …

ii) che sono utilizzati come coadiuvanti tecnologici“;


La differenza consiste nella circostanza che, come meglio chiarito dal regolamento di Consiglio e Parlamento UE/1333/2008 (art.3),

  • gli additivi sono “qualsiasi sostanza abitualmente non consumata come alimento in sé e non utilizzata come ingrediente caratteristico di alimenti, con o senza valore nutritivo, la cui aggiunta intenzionale ad alimenti per uno scopo tecnologico nella fabbricazione, nella trasformazione, nella preparazione, nel trattamento, nell’imballaggio, nel trasporto o nel magazzinaggio degli stessi, abbia o possa presumibilmente avere per effetto che la sostanza o i suoi sottoprodotti diventino, direttamente o indirettamente, componenti di tali alimenti“;
  • mentre i coadiuvanti sono “ogni sostanza che: i) non è consumata come un alimento in sé;  ii) è intenzionalmente utilizzata nella trasformazione di materie prime, alimenti o loro ingredienti, per esercitare una determinata funzione tecnologica nella lavorazione o nella trasformazione; e  iii) può dar luogo alla presenza, non intenzionale ma tecnicamente inevitabile, di residui di tale sostanza o di suoi derivati nel prodotto finito, a condizione che questi residui non costituiscano un rischio per la salute e non abbiano effetti tecnologici sul prodotto finito”.

Detto regolamento si applica solo alle sostanze qualificabili come additivi e, pertanto, prevede solo per esse l’obbligo di indicarne la presenza sull’etichetta degli alimenti che le contengono (art.21 e seguenti).


Nonostante la distinzione adesso introdotta nel Codice enologico comunitario, quale sarà la futura disciplina dipende da cosa verrà deciso in sede europea circa la portata dell’obbligo di etichettatura dei vini.


 Nel contesto delle discussioni sulla riforma della PAC post-2020 si sta discutendo come applicare anche ai vini le norme che impongono di indicare sia gli ingredienti, sia il contenuto calorico.


Oltre al problema di “cosa” si dovrà scrivere in etichetta in merito agli ingredienti, sussiste anche la questione di “dove” tali indicazioni debbano comparire.

La questione è delicata, giacché tale elenco potrebbe sottrarre molto spazio dalla superficie delle etichette dei vini (che, sopratutto per le bottiglie sino a 0,75 l.) non è notoriamente ampio.

Le industrie del settore (riunite in sede di CEEV) hanno proposto di inserire sull’etichetta dei Q-Code, che rinviino ad appositi siti internet.

Tale proposta sembra essere stata adesso accolta dal Parlamento Europeo (emendamento 102, punto 3 ter, alla riforma PAC post-2020).


Proposta del CEEV su etichettatura ingredienti vini


La nuova formulazione del Codice enologico comunitario – sopratutto nel suo allegato I – sovverte quindi la struttura del precedente analogo codice, portato dal regolamento 606/2008 (adesso abrogato), che invece manteneva una certa continuità con quello ancora precedenti (regolamento 423/2008 e regolamento 1622/2000).

Quest’ultimo rappresenta il riferimento normativo recepito dall’Accordo UE/USA del 2006 sul commercio del vino.

Di conseguenza, potrebbe generarsi qualche incertezza al riguardo, per quanto concerne le pratiche di cantina della UE riconosciute ed ammesse dagli USA.


In adempimento a quanto previsto nel Codice enologico europeo,   la Commissione ha pubblicato l’elenco delle pratiche di cantina ammesse da OIV (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino), giacché esse sono richiamate dalle stesse tabelle di detto Codice, che individuano le pratiche ed i composti enologici da esso autorizzati (tabelle 1 e 2, portate dall’allegato I al Codice stesso: in entrambe, si veda la colonna n.3).

In effetti, in base a quanto sancito nella regolamento base sulla OCM Unica (regolamento di Consiglio e Parlamento Europeo UE/1308/2013, art.80, comma 5), la Commissione ha sì ricevuto la delega a disciplinare le pratiche di cantina ed i composti enologi, ma nel farlo essa deve adesso basarsi

“sui metodi pertinenti raccomandati e pubblicati dall’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (OIV), a meno che tali metodi siano inefficaci o inadeguati per conseguire l’obiettivo perseguito dall’Unione”.

Circa i requisiti di purezza di additivi e coadivuanti per il vino, Il Codice enologico europeo (art.9) rinvia – per quanto non specificamente disciplinato dalla normativa comunitaria (costituita dal regolamento della Commissione UE/231/2012)  – al Codice enologico internazionale elaborato sempre da OIV.

La Commissione ha comunque evidenziato che – in caso di contrasto tra  quanto rispettivamente consentito dal Codice enologico europeo e quanto da OIV – prevalgono le disposizioni del primo.

Per quanto concerne gli enzimi (quelli autorizzati dal Codice enologico europeo, che costituiscono dei coadiuvanti tecnologici), sempre all’art.9 quest’ultimo stabilisce che:

 “gli enzimi e i preparati enzimatici utilizzati nelle pratiche e nei trattamenti enologici autorizzati elencati nell’allegato I, parte A, rispondono ai requisiti di cui al regolamento (CE) n. 1332/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio.

 


Ricordiamo che – in base al Codice enologico europeo – nessun vino può essere legalmente commercializzato nell’Unione Europea, se prodotto utilizzando:

  • tecniche e/o ingredienti enologici diverse da quelle autorizzate dal Codice stesso (salve sperimentazioni nazionali, debitamente autorizzate seguendo le procedure previste dal Codice in questione)
  • tecniche e/o ingredienti enologici  autorizzati, ma violando i limiti eventualmente stabiliti dal Codice enologico per il loro utilizzo.

Per i vini importati da Stati terzi valgono i medesimi principi, a meno che non siano derogati da appositi accordi internazionali conclusi in materia dall’Unione Europea con lo Stato terzo produttore (si pensi a quello con gli Stati Uniti d’America, fatto nel 2006).


codice enologico europeo

Normativa acqueviti e liquori

Adottato dall’Unione Europea il nuovo regolamento UE/787/2019 sulle bevande spiritose (normativa acqueviti e liquori).


Le norme dell’Unione Europea applicabili alle bevande spiritose (normativa acqueviti e liquori) si prefiggono di:

Normativa acqueviti e liquori

  • contribuire al raggiungimento di un livello elevato di protezione dei consumatori
  • eliminare le asimmetrie informative
  • prevenire le pratiche ingannevoli
  • rendere trasparente il mercato e consentire eque condizioni di concorrenza.

Il nuovo regolamento sulle bevande spiritose si propone di salvaguardare la loro reputazione sul mercato nonchè garantire un certo equlibrio tra il rispetto dei metodi tradizionali di produzione e l’innovazione tecnologica.

L’Unione riconosce che le bevande spiritose rappresentano uno sbocco importante per il proprio settore agricolo, cui sono strettamente legate.

Il nuovo regolamento abroga quello precedente (regolamento UE/2008/110), si applicherà però dal 25/5/2021, fatte salve le disposizioni sulle denominazioni che entrano subito in vigore.

Il regolamento UE/787/2019 sulle bevande spiritose contiene le regole applicabili al tale settore per la tutela delle denominazioni di origine e sulle regole di produzione (si ricorda che per i vini tali materie sono invece disciplinate dal regolamento UE/1308/2013 sulla OCM Unica).


Modificando le pertinenti disposizioni del nuovo regolamento UE/787/2019 sulle bevande spiritose (normativa acqueviti e liquori), mediante il successivo regolamento delegato (UE) 2021/1096 la Comissione del 21 aprile 2021 ha stabilito nuove regole in materia di etichettatura delle “bevande assemblate“.

Successivamente, sempre in tema di etichettatura delle “bevande spiritose” (e cioè degli alcolici), sono stati adottati due ulteriori regolamenti, anche essi modificativi dei citato regolamento UE/787/2019 (suoi art.11 e 12):

      • il regolamento delegato UE n. 2021/1334, concernente le allusioni a denominazioni legali  di bevande spiritose o loro indicazioni geografiche nella designazione, nella presentazione e nell’etichettatura di altre bevande spiritosee
      • il regolamento delegato UE n. 2021/1335, relativo  all’etichettatura delle bevande spiritose risultanti dalla combinazione di una bevanda spiritosa con uno o più prodotti alimentari.

Linee-guida UE su etichettatura bevande spiritose


Schema controlli su distillati

Linee guida su piano controlli per i distillati


I consorzi di tutela delle bevande spiritose recanti una indicazione geografica sono disciplinati dal D.M. 29 agosto 2023, n. 244.

Alcune caratteristiche della nuova regolamentazione sui consorzi di tutela per le bevande spiritose:

    • soggetti partecipanti (volontariamente) possono appartenere alle seguenti categorie:

a) conferitori di materia prima;
b) distillatori;
c) elaboratori;
d) imbottigliatori

    • Il voto di ciascun consorziato e’ determinato dal valore ponderale rapportato alla quantita’ di prodotto conferito, distillato, elaborato, imbottigliato nell’anno solare immediatamente precedente la data dell’assemblea
    • qualora il consorziato svolga contemporaneamente due o piu’ attivita’ produttive, il voto è cumulativo delle attivita’ svolte
    • lo Statuto consortile deve fra l’altro determinare le norme relative alle modalita’ di voto e rappresentanza delle diverse categorie della filiera all’interno del Consorzio che assicurino l’espressione del voto a ciascun consorziato;
    • criteri minimi di rappresentatività:
      • almeno il 66 per cento della quantita’ in litri anidri prodotta (intesa come media, negli ultimi due anni precedenti la data di presentazione della domanda)
      • e almeno il 30 per cento dei distillatori o degli elaboratori (riferiti
        agli ultimi due anni precedenti la data di presentazione della
        domanda, ed inseriti nel sistema di controllo della IG in questione),
        anche se non aderenti al Consorzio di tutela.