usi civici fondi agricoli

Gli usi civici sui fondi agricoli rappresentano limiti al diritto di proprietà sui fondi agricoli e vanno adeguatamente acceratati prima di procedere alla compravendita (usi civici fondi agricoli)


Cosa sono gli usi civici

Per uso civico si intende un diritto perpetuo attribuito ai membri di una determinata collettività (un comune o un’associazione), consistente nel godimento, in modo indiviso, di fondi appartenenti al demanio o, altresì, a un privato (usi civici fondi agricoli).

Il diritto di esercizio degli usi civici è imprescrittibile e, di conseguenza, non si può estinguere per usucapione. Solitamente trova il suo riconoscimento in una fonte – fatto, la quale si identifica con azioni e comportamenti che l’ordinamento ritiene idonei alla produzione di norme giuridiche.

Al fine di addentrarci più approfonditamente nel concetto di uso civico, è indispensabile qualche breve cenno storico. Innanzitutto, la sua origine può essere fatta risalire al Medioevo, quando il sovrano concedeva al feudatario l’amministrazione del feudo ed il solo godimento dei beni concessigli, restando esclusa, tuttavia, la disponibilità di tali beni; infatti, ad esempio, l’alienazione del feudo restava prerogativa del monarca. All’incirca verso la metà del XVII secolo, si assistette a un decadimento degli usi civici, tuttavia i beneficiari si spesero in aspre lotte per conservare i loro diritti, i quali, in effetti, hanno resistito al trascorrere dei secoli.

Gli usi civici oggi

Oggi, sebbene sia ormai ampiamente superata la concezione su cui un tempo l’uso civico si fondava, secondo cui si poteva provvedere al proprio sostentamento avvalendosi del diritto di cogliere del legname o di condurre al pascolo i propri animali sui fondi gravati da tale diritto, le destinazioni d’uso sono rimaste quelle previste dalla Legge 16 giugno 1927, n.1766.

L’art.11 di detta legge distingue in due tipologie i terreni oggetto di usi civici: i terreni convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente (categoria A); i terreni convenientemente utilizzabili per la coltura agraria (categoria B).

Seppur l’uso civico spetti ad una determinata collettività, l’assegnazione dei terreni gravati da tale diritto è operata effettuando un bilanciamento tra i bisogni della popolazione con quelli della conservazione del patrimonio boschivo e pascolivo ed è attuata, come prescritto dagli artt. 19 e 20, a titolo di enfiteusi, diritto reale secondo il quale il titolare gode del dominio utile sul fondo, assumendosi l’obbligo di apportare migliorie e di corrispondere un canone annuo al proprietario.

Il canone è definito sulla base del prezzo dell’unità fondiaria, “realizzabile in libera contrattazione, tenuto conto dei vincoli giuridici apposti all’assegnazione e del precedente diritto dell’assegnatario”.

La liquidazione degli usi civici è affidata, ai sensi dell’art.27 e seguenti, ai commissari regionali degli usi civici. Costoro, dotati di funzioni giurisdizionali e amministrative, sono nominati dal Consiglio superiore della magistratura fra i magistrati di grado non inferiore a consigliere di Corte d’appello.

Contro le loro decisioni è ammesso reclamo alla Corte d’appello di Roma.

I commissari sono chiamati a decidere su tutte le controversie circa l’esistenza, la natura e la estensione dei diritti suddetti. Infatti, “sussiste la giurisdizione del Commissario regionale per la liquidazione degli usi civici ogni volta in cui oggetto della domanda principale sia l’accertamento della demanialità civica del bene, e le altre domande connesse siano conseguenza di tale accertamento.”(Corte di Cassazione, ordinanza n. 15530 del 16/05/2022).

Guardando alla normativa meno risalente, con la Legge 431/1985 gli usi civici sono stati inseriti nell’elenco dei beni sottoposti a tutela ambientale.

Ciò si caratterizza per essere una situazione giuridica di sostanziale non modificabilità dei luoghi, la quale sfocia in una serie di limitazioni sulle facoltà dei proprietari, possessori e/o detentori di tali beni.

È, dunque, possibile affermare che oggi l’uso civico si pone a difesa di un interesse generale di natura ambientale, il quale va oltre quello di sussistenza di una certa comunità che originariamente era riconosciuto. Si veda anche sul punto la pronuncia del T.A.R. Trento, (Trentino-Alto Adige) sez. I, con la sentenza 26/11/2021, n.187.

Trasferimenti della proprietà su fondi gravati da usi civici

Occupiamoci, ora, dell’alienazione di fondi su cui gravano degli usi civici. A tal proposito, è d’uopo distinguere tra terreni di proprietà privata e quelli che, diversamente, fanno parte del demanio civico.

Nel primo caso, il fondo può essere oggetto di compravendita, tuttavia questa non comporta l’estinzione dell’uso civico, il quale si mantiene.

Secondo il Procuratore Generale presso la Cassazione (Udienza del 3 aprile 2023, Ricorsi R.G. 18257/17 e 27601/17) a meno di specifiche ipotesi previste dalla legge, i diritti di uso civico gravanti su beni collettivi non possono essere posti nel nulla da un decreto di espropriazione per pubblica utilità.

La natura demaniale degli usi civici (o lato sensu demaniale) lo impedisce, imponendo un formale provvedimento di sdemanializzazione, la cui mancanza rende invalido il decreto di espropriazione per pubblica utilità che preveda l’estinzione di eventuali usi civici di questo tipo con trasferimento dei relativi diritti sull’indennità di espropriazione.

Si attende che la Suprema Corte si pronunci sul caso a Sezioni Unite.

Nondimeno, è ammesso che si liberi il terreno privato dall’uso civico prima di effettuare la vendita, mediante la procedura di affrancazione del fondo.

Questa consiste nella liquidazione monetaria dell’uso civico, operata la quale il fondo può essere alienato libero dal suddetto vincolo. Come si preannunciava, se questa, invece, non viene eseguita, il bene può essere trasferito, tuttavia resta gravato dall’uso civico secondo il principio “res transit cum onere suo” (il bene si trasferisce con il suo onere). Inoltre, la sua sussistenza deve essere precisata all’interno dell’atto notarile.

I fondi di proprietà collettiva (demanio civico) destinati a finalità agricole, come anticipato, sono sovente affidati a singoli membri della comunità esercente il diritto, i quali possono avvantaggiarsene a titolo di enfiteusi. In tal caso, i beneficiari hanno la possibilità di rendersi legittimi proprietari del terreno aderendo a particolari procedure che consentono loro di alienare e riscattare le quote enfiteutiche.

La legittimazione viene attestata avviando un procedimento che esordisce con una perizia istruttoria pubblicata, previo riscontro del Commissario per gli usi civici (di cui si è già detto più sopra), nell’albo del Comune. A seguito dell’emissione dell’ordinanza di legittimazione, il provvedimento necessita dell’approvazione del Ministero della Giustizia, sentita la Regione.

Una parte della giurisprudenza sostiene che il provvedimento di legittimazione sia idoneo a far decadere il vincolo di inalienabilità del terreno il quale, conseguentemente, diventa commerciabile.

Accertamento dell’esistenza di usi civici prima di trasferire la proprietà su fondi agricoli

Passando oltre, una menzione merita la competenza professionale del notaio in relazione agli usi civici. Essa consiste nel dovere di consiglio e di segnalazione alle parti delle ragioni che potrebbero incidere negativamente sugli effetti degli atti stipulati e sul risultato pratico perseguito dalle parti con detti atti, nell’ipotesi di immobili gravati da uso civico.

Pertanto, “viola il dovere di diligenza professionale, e incorre nella conseguente responsabilità, il notaio che, esercitando le proprie funzioni in zona che presenti potenziale rischio di sussistenza di vincoli pubblici, non abbia provveduto a svolgere indagini più approfondite rispetto a quelle ordinarie di consultazione dei registri immobiliari e catastali, onde accertare l’effettiva libertà degli immobili oggetto degli atti rogati da usi civici che ne determinano la sostanziale incommerciabilità” (Cassazione civile sez. III, 18/10/2022, n.30494).

Volgiamo, da ultimo, un ulteriore sguardo su alcune pronunce giurisprudenziali in materia di usi civici (usi civici fondi agricoli).

Ad esempio, ci si potrebbe domandare: il bene su cui verte un uso civico può essere oggetto di pignoramento?

La sentenza Cassazione civile sez. II, 23/11/2022, n.34476 ha chiarito che l’uso civico non sottrae il bene dal pignoramento se il debitore stesso utilizza il bene in modo incompatibile con l’esercizio collettivo. Il singolo, infatti, non può trincerarsi dietro la sussistenza di un uso civico per evitare il pignoramento su un bene che egli stesso utilizza in modo incompatibile con l’esercizio collettivo. Dunque, in quest’ultimo elemento si cristallizza la pignorabilità di detto bene.

Affitto fondi agricoli su cui gravano usi civici

Un altro quesito che potrebbe venire in rilievo: si possono concedere in affitto beni in uso civico?

La Cassazione civile sez. III, con la sentenza 21/10/2021, n.29344 ha risposto positivamente, a condizione che non ne sia alterata la qualità originaria.

Infatti, la concessione in godimento a privati attraverso un contratto di locazione di fondi interessati da un uso civico è ammissibile purché la destinazione concreta, impressa al bene, sia compatibile con l’esercizio del predetto uso e la stessa sia temporanea e tale da non comportare l’alterazione della qualità originaria del bene. In mancanza di tali requisiti il contratto di locazione è nullo per contrasto con la norma imperativa.

In conclusione, è possibile osservare come l’istituto degli usi civici, seppur derivante da una normativa risalente nel tempo ed apparentemente non più attuale, continua comunque oggi a mantenere una considerevole rilevanza applicativa, che comporta la necessità di un attento esame e di opportune indagini dirette ad accertarne la sussistenza, soprattutto ogni qualvolta si debba procedere con atti di alienazione.

(a cura della dott.ssa Gerarda Monaco)

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Contratto affitto agrario modello

Modello per concedere in affitto l’uso di un fondo agricolo (contratto affitto agrario modello)


CONTRATTO DI AFFITTO AGRARIO

TRA

Il signor __________ (c.f. _________________), nato a __________ il ____________, residente in __________,Via ______________, nel prosieguo anche denominato “concedente o parte proprietaria

da una parte

E

Il signor __________ (c.f. _________________), nato a __________ il ____________, residente in __________,Via ______________, nel prosieguo anche denominato “conduttore o parte affittuaria

dall’altra parte

PREMESSO

  1. che il signor ____________ è proprietario di alcuni terreni agricoli siti nel Comune di _________ così censiti catastalmente:

 

Comune

Foglio

Particella

Superfice catastale

Superfice grafica

Uso del suolo primario – coltivazione

 

  1. che il signor __________ è altresì proprietario dei seguenti beni fabbricati agricoli adibiti a _________ siti nel Comune di __________, censiti nel nuovo catasto fabbricati del predetto Comune come segue:

foglio____, particella ____, sub n__;

foglio____, particella ____, sub n.__;

  1. che il signor ____________ è intenzionato a concedere in affitto i predetti immobili, meglio identificati ai capi sub a) e b) e che il signor ___________ è al contempo interessato acquisirli in conduzione.

Tutto ciò premesso, tra le parti

SI CONVIENE E SI STIPULA QUANTO SEGUE

Art. 1

Le premesse costituiscono parte integrante del presente contratto;

Art. 2

Il signor _____________ concede in affitto alla parte affittuaria i beni immobili come sopra meglio descritti ai punti sub a) e b) della premessa;

Art. 3

I suddetti beni immobili vengono concessi in godimento a corpo e non a misura per la superficie censuaria sopra risultante, nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano, con i diritti ed oneri d’acqua che vi competono e che le parti dichiarano di ben conoscere.

Art. 4

Il presente contratto avrà una durata di ______ annate agrarie, con decorrenza dalla sottoscrizione della presente e quindi con scadenza al 10 novembre _________, previa disdetta da inviarsi da una delle parti con raccomandata a.r. almeno un anno prima della scadenza.

(Attenzione: la durata minima sono 15 anni, a meno che il contratto venga vidimato dalle organizzazioni di categoria, nel qual caso – ma solo in esso – si potrà pattuire una durata inferiore a 15 anni)

Alla scadenza la parte affittuaria dovrà restituire i beni oggetto del presente contratto nella piena disponibilità della parte concedente che, potrà ritornare in possesso dei medesimi beni senza che la parte affittuaria abbia nulla a chiedere ed a pretendere per il rapporto di affitto esistito e fatta salva la raccolta degli eventuali frutti pendenti. Per cui entro tale termine i beni immobili e fabbricati dovranno essere lasciati liberi da beni, persone, animali o case appartenenti alla parte affittuaria.

Art. 5

Il canone d’affitto viene convenuto ed accettato nella misura di € ___________ per ciascuna annata agraria e dovrà essere corrisposto a mezzo di bonifico bancario ed in una unica soluzione entro il giorno 10 novembre di ciascuna annata agraria.

Il canone sopra quantificato non è soggetto ad adeguamento per l’intera durata del presente contratto.

(in alternativa)

In conformità dell’art.10 della Legge 203 del 1982, le parti convengono e pattuiscono l’adeguamento del canone secondo i coefficienti di adeguamento all’uopo previsti e ciò avverrà a partire dalla ___________ annata agraria.

Art.6

E’ fatto divieto alla parte affittuaria – direttamente od indirettamente – di subaffittare, sublocare e di subconcedere ad altri il godimento a qualsiasi titolo, tutti i beni immobili oggetto del presente contratto, per qualsiasi durata di tempo, nonché di costituire o far costituire servitù passive sui terreni di cui sopra.

Art. 7

La parte affittuaria si impegna, per tutta la durata del contratto, a coltivare i terreni concessi in godimento secondo le regole della buona tecnica agraria e, in particolare, ad effettuarne la concimazione organica. Al contempo, parte affittuaria sarà responsabile della buona manutenzione dei fabbricati e dei fondi oltre che della buona e corretta coltivazione dei medesimi.

Art. 8

La parte proprietaria autorizza sin d’ora, e senza bisogno di ulteriore comunicazione o conferma, la parte affittuaria ad eseguire su ciascun bene oggetto del presente contratto di affitto opere di miglioramento fondiario in genere, addizione e trasformazione degli ordinamenti produttivi e dei fabbricati ivi presenti, purché nel rispetto delle vocazioni colturali della zona cui il fondo è ubicato. Resto in teso che in tali casi, la parte proprietaria sarà da considerarsi esente da ogni responsabilità conseguente ad eventuali danni che per effetto dell’esecuzione delle opere dovessero essere arrecati a persona o a beni pubblici o privati.

(oppure)

E’ fatto divieto alla conduttrice di effettuare addizione e/o opere di trasformazione degli ordinamenti produttivi insistenti sui fondi oggetto di affitto.

Art. 9

Per tutto quanto, non espressamente regolato dal presente contratto si rimanda alle vigenti disposizioni in materia e in particolare alla legge 203/82 e s.m.i..

Art. 10

(qualora si fosse in presenza di una famiglia coltivatrice ex art.48 L.203/82)

Il signor ___________, sottoscrive il presente contratto in proprio nonché in qualità di legale rappresentante della famiglia coltivatrice ex art.48 Legge 203/1982.

Art. 11

Le spese di registrazione sono e restando a carico solidale delle parti contraenti.

 

Art. 12

Il presente contratto di affitto viene redatto in carta libera, in triplice originale e, previa lettura e conferma, viene sottoscritto e accettato dalle parti con promessa di tenere fede agli impegni assunti.

Per ogni comunicazione e notificazione relativa al presente contratto di affitto ed ai rapporti da esso nascenti, le parti dichiarano di eleggere domicilio:

      • quanto alla “parte proprietaria” presso la residenza come indicata in epigrafe (o specificare altro indirizzo);
      • quanto alla “parte affittuaria” presso la residenza come indicata in epigrafe (o specificare altro indirizzo).

 

Letto, approvato e sottoscritto.

Luogo, addì ______________

IL CONCEDENTE    _______________________________________________________

PARTE AFFITTUARIA

_______________________________________________________

 

contratto comodato agrario

IL CONTRATTO COMODATO AGRARIO


Il COMODATO (contratto comodato agrario), nella sua accezione più generica, è ”il contratto col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta”. Questa è la definizione data al contratto di comodato dall’articolo 1803 del nostro codice civile. Nell’ambito del rapporto contrattuale in esame si individuano, quindi, due soggetti (o meglio, due parti contrattuali), che sono da un lato il proprietario del bene concesso in comodato, che viene definito COMODANTE, e dall’altro il soggetto che riceva il bene in comodato, definito COMODATARIO.

Il contratto di comodato è di regola gratuito, con la conseguenza che la sua causa va rinvenuta nello spirito di liberalità ed è basata proprio sul rapporto di fiducia tra le parti. Affinché detto contratto non perda la sua detta natura, l’interesse del comodante non deve avere contenuto o natura patrimoniale. Ciò non esclude tuttavia l’esistenza, in capo al comodante, di un interesse che può comunque consistere in mero vantaggio (diretto o indiretto) come quello della manutenzione o conservazione del bene (appunto non patrimoniale).

Sotto l’aspetto giuridico, il comodato è un contratto reale, ovvero che si perfeziona con la semplice consegna della cosa, e a forma libera, cioè che per il suo perfezionamento e la sua validità non è necessaria alcuna forma canonica. Ecco quindi che il contratto di comodato può essere correttamente stipulato anche con la sola forma verbale.

Quanto alla durata, il contratto di comodato può essere a tempo determinato (art.1803 c.c.), e quindi con scadenza convenuta tra espressamente le parti, oppure la durata può essere desunta e/o determinarsi in relazione all’uso e/o all’utilizzo che si può fare del bene, in conformità del contratto. L’art.1809 c.c. prevede infatti che “Il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto.”.

Il comodato, diversamente, può essere stipulato anche per un tempo indeterminato. Si parla a tal proposito di comodato precario. L’art.1810 c.c. stabilisce che “Se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede.”. In tale caso, il comodante può in ogni momento domandare al comodatario la restituzione del bene.

OBBLIGHI E DIRITTI DEL COMODATARIO

Il comodatario è anzitutto tenuto a custodire e a conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia. Egli non può servirsene che per l’uso determinato dal contratto o dalla natura della cosa. Inoltre, il comodatario non può concedere a un terzo il godimento della cosa senza il consenso del comodante. Se il comodatario non adempie gli obblighi suddetti, il comodante può chiedere l’immediata restituzione della cosa, oltre al risarcimento del danno (art.1804 c.c.).

Il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa. Tale principio trova giustificazione nel fatto che le spese sostenute dal comodatario per l’uso della cosa sono finalizzate proprio a servirsi del bene e quindi ad un suo interesse. Egli però ha diritto di essere rimborsato delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, se queste erano necessarie e urgenti (art.1807 c.c.). Ciò poiché dette spese sono dirette alla conservazione duratura della cosa.

Il comodatario, infine, ha l’obbligo di restituire il bene alla scadenza del contratto (o a richiesta del comodante per il caso di comodato precario) ovvero quando si è servito del bene in conformità al contratto.


IL COMODATO IN AGRICOLTURA

Il contratto di comodato è una fattispecie molto diffusa in agricoltura, anche se poco garantista per il coltivatore che si trova ad assumere la posizione di comodatario (al contrario del contratto di affitto agrario).

Ecco perché si tratta di una tipologia contrattuale che viene maggiormente utilizzata per la concessione in godimento di fondi (o fabbricati) rustici tra soggetti legati da rapporti di parentela (o comunque di stretta amicizia e fiducia).

Risulta certamente lecito ed ammissibile concedere in comodato d’uso sia un fondo agricolo con annesso fabbricato rurale, sia le attrezzature necessarie alla coltivazione dei fondi (con la Circolare del 16 gennaio 2018 l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto i contratti di comodato stipulati verbalmente quali validi titoli di conduzione dei terreni agricoli per i quali può essere chiesto ed assegnato il carburante ad accisa agevolata).

Quanto alla sua forma, come il contratto di affitto agrario anche il contratto di comodato avente ad oggetto terreni agricoli non necessità della forma scritta. Ecco che, come è valido un contratto di affitto agrario verbale è da considerarsi valido titolo di conduzione dei terreni agricoli anche il contratto di comodato d’uso di fondi rustici stipulato nella forma verbale. Occorre però tenere ben a mente che il contratto di comodato di fondi rustici non può essere qualificato come “contratto agrario” (nei contratti agrari la causa, non presente nel comodato, è quella di costituire l’impresa agraria sul fondo altrui). Ragion per cui, in tema di rapporti agrari, la disposizione dell’art.27 della L.203/1982 – secondo cui le norme regolatrici dell’affitto di fondi rustici si applicano anche a tutti i contratti agrari – non trova applicazione nell’ipotesi di concessione in comodato di un fondo rustico (Cass. 2 agosto 2016, n.16105).

Il comodato di fondi rustici, inoltre, è soggetto a registrazione se viene redatto in forma scritta (in tal caso la registrazione deve essere effettuata entro 20 giorni dalla data dell’atto) oppure se stipulato in forma verbale ma dello stesso viene fatta menzione in un altro atto sottoposto a registrazione. Per cui se stipulato in forma orale e dello steso non vi è menzione in altri contratti registrati, non sarà necessario procedere a registrazione.

Da ultimo, occorre ricordare (anche se dovrebbe essere circostanza oramai notoria) che il contratto di comodato non riconosce al comodatario insediato sul fondo il diritto di prelazione agraria del conduttore coltivatore diretto. Ciò poiché la prelazione agraria viene riconosciuta solamente al coltivatore diretto munito di regolare contratto di affitto agrario. Al contempo, il diritto di prelazione del coltivatore diretto, proprietario del fondo confinante con quello posto in vendita, potrebbe essere escluso dalla presenza sul proprio fondo, di un soggetto comodatario. Circostanza, quest’ultima, che trova il suo fondamento nell’art.7 della Legge n.817 del 1971 il quale richiede, ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione, che il confinante che intende esercitare detto diritto coltivi da almeno un biennio il suo fondo (adiacente a quello posto in vendita). Va da sé che la concessione in godimento del fondo mediante comodato d’uso escluderebbe la sussistenza del presupposto della conduzione/coltivazione (almeno) biennale del fondo confinante rispetto a quello oggetto di compravendita.


Modello contrartto comodato agrario


Comodato fondo agricolo modello

Modello per concedere in comodato l’uso di un fondo agricolo (comodato fondo agricolo modello)


CONTRATTO DI COMODATO

AVENTE AD OGGETTO TERRENI AGRICOLI

TRA

Il signor __________ (c.f. _________________), nato a __________ il ____________, residente in __________,Via ______________, nel prosieguo anche denominato “comodante

da una parte

E

Il signor __________ (c.f. _________________), nato a __________ il ____________, residente in __________,Via ______________, nel prosieguo anche denominato “comodatario

dall’altra parte

PREMESSO

  • che il signor ____________ è proprietario dei beni immobili siti nel Comune di _________ così censiti catastalmente: __________________________________________;
  • che il signor ____________ è intenzionato a concedere in godimento i predetti immobili e che il signor ___________ è al contempo interessato al godimento degli stessi;

 

Ciò premesso,

SI CONVIENE E SI STIPULA QUANTO SEGUE

Art. 1

Le premesse costituiscono parte integrante della presente convenzione;

Art. 2

La parte comodante concede in comodato d’uso al signor ___________________________, che accetta senza riserva alcuna per lo stesso titolo, gli appezzamenti di terreno/immobili di proprietà del comodante, identificati al Catasto Terreni del Comune di __________ al foglio n.___ particelle n.__________, di cui alle premesse, per una estensione complessiva di mq._________.

Art. 3

Il rapporto contrattuale avrà decorrenza dalla sottoscrizione del presente accordo e terminerà il ________, senza necessità di disdetta, già data ed accettata ora per allora. Le parti, nel caso in cui ritenessero rinnovare il presente accordo per un ulteriore egual periodo, dovranno predisporre nuovo contratto scritto.

Il Comodatario si impegna a rilasciare a scadenza il fondo concesso in comodato alla libera e piena disponibilità del Comodante, senza nulla avere a pretendere anche per frutti pendenti, per le coltivazioni in corso, ecc.

Il comodatario si impegna a custodire i beni con la diligenza di cui all’art.1804 c.c..

Fermo restando l’obbligo di conservare e custodire i fondi oggetto del presente comodato con cura e diligenza, i terreni dovranno essere restituiti al proprietario nello stato di fatto e diritto in cui sono stati consegnati. E’ fatto divieto per il Comodatario di concedere in godimento, anche temporaneamente, detti

beni a terzi, sia a titolo gratuito, sia a titolo oneroso.

(è anche possibile eventualmente inserire la seguente penale per ritardata restituzione)

Nell’ipotesi di ritardato rilascio dei beni concessi in comodato sarà dovuta dal comodatario ed in favore del comodante una penale giornaliera di euro __________ fermo restando il diritto al maggior danno patito.

Art. 4

Il rapporto che le parti intendono costituire con la sottoscrizione della presente ha carattere assolutamente precario in quanto nulla sarà dovuto al comodatario per la custodia e nulla sarà dovuto al comodante per il godimento.

Art. 5

Sono a carico del Comodatario le spese sostenute per la manutenzione ordinaria del fondo. Il Comodatario potrà effettuare sui terreni oggetto di comodato le normali e necessarie operazioni agricole secondo le regole della buona tecnica agraria.

Per i miglioramenti sussistenti al momento della restituzione dei fondi concessi in comodato non sarà riconosciuta a favore del Comodatario alcuna indennità, alla quale lo stesso Comodatario fin da ora, rinuncia.

Art. 6

L’inadempimento da parte del Comodatario ad uno qualsiasi dei patti contenuti nel presente contratto produrrà di diritto la risoluzione. Il Comodante non sarà da considerarsi responsabile dei danni a cose e/o a persone derivanti dall’attività svolta dal Comodatario.

Il Comodatario si intende soggetto, per ciò che lo riguarda, a tutte le leggi, regolamenti ed ordinamenti di igiene e polizia rurale e quindi si obbliga espressamente a lasciare indenne il Comodante concedente da ogni conseguenza per l’inosservanza di essi.

Art.7

Per quanto non espressamente previsto nella presente convenzione, le parti contraenti si danno reciprocamente atto che il presente contratto è regolato dalle norme sul comodato contenute nel codice civile (art. 1803 c.c. e seguenti), alle quali si fa integrale rimando.

Si specifica, pertanto, che avendo il presente comodato natura assolutamente precaria, e quindi gratuito, il Comodatario dichiara ad ogni effetto di legge di rinunciare sin d’ora ad avvalersi della facoltà prevista dall’art.27 della legge n.203 del 1982 (disciplina dell’affitto dei fondi rustici).

Art. 9

Qualunque modifica al presente contratto non può aver luogo, e non può essere provata, se non mediante atto scritto approvato e sottoscritto da entrambe le parti.

Art. 10

Le spese di registrazione del presente contratto sono a carico solidale delle parti.

Art. 11

Per ogni comunicazione e notificazione relativa al presente accordo ed ai rapporti da esso nascenti, le parti dichiarano di eleggere domicilio:

  • quanto al “Comodatario” presso la residenza come indicata in epigrafe (o specificare altro indirizzo);

  • quanto al “Comodante” presso la residenza come indicata in epigrafe (o specificare altro indirizzo).

Letto, approvato e sottoscritto.

Luogo, addì ______________

IL COMODANTE

IL COMODATARIO

__________________________ _________________________

Agli effetti degli artt. 1341 e 1342 c.c. le parti dichiarano di aver letto e di approvare tutti gli articoli del presente contratto ed in particolare gli artt. 3-4-5-6-7-8-9.

Luogo, addì ______________

IL COMODANTE

IL COMODATARIO

__________________________ _________________________

Passaggio generazionale imprese agricole

Il passaggio generazionale nelle aziende agricole a conduzione famigliare (Passaggio generazionale imprese agricole)


Il passaggio generazionale nelle piccole e medie imprese a conduzione famigliare è un tema di estrema attualità (Passaggio generazionale imprese agricole).

Ciò anche in stretta relazione al contesto storico e sociale in cui ci troviamo.

La fondazione di maggior parte delle aziende italiane risale agli anni 70 del secolo scorso e quasi il 70% di queste risulta aver mantenuto sino ad oggi la conduzione famigliare. Si può ben comprendere, quindi, come la necessità attuale di guardare all’avvicendamento nell’azienda di famiglia sia dettata anche da elementi di carattere anagrafico. Infatti oggi gli imprenditori italiani con più di sessant’anni, da una analisi statistica, risultano circa il 60% del totale, mentre nel 2007 erano il 43%.

A breve saremo, quindi, testimoni di un ricambio generazionale massivo, che comporta già oggi la necessità, in capo agli imprenditori di aziende a conduzione famigliare, di effettuare valutazioni su chi porterà avanti l’attività imprenditoriale, decidendo se trasferire la propria impresa (e la propria storia) a terzi o lasciarne la conduzione ai figli o ai nipoti.

Un dato è certo. Occorrerà non farsi trovare impreparati nel momento di tale scelta. Innanzitutto perché ciò implica il trasferimento delle conoscenze aziendali (c.d. know-how) da una generazione all’altra, un patrimonio di competenze e abilità che andrebbe trasmesso ai propri successori nel corso del tempo, con la giusta formazione in azienda.

Essendo quindi il passaggio generazionale un momento così delicato, deve essere valutato e pianificato con largo anticipo.

L’aspetto dell’avvicendamento aziendale viene spesso ignorato da chi lascia la propria azienda in mano agli “eredi”.

Da un lato, l’imprenditore tende quasi sempre a considerare le fortune dell’impresa legate alle sue capacità imprenditoriali e di gestione e ne vorrebbe garantire la continuità, evitando di lasciare il timone dell’azienda, se non quando si trova costretto a farlo (per ragioni di salute o quanto oramai non è più in grado di provvedervi, avendo raggiunto un’età considerevole). Molto spesso ciò avviene anche in considerazione della scarsa  volontà dell’imprenditore di prima generazione di passare il testimone, magari ritenendo i propri successori inadeguati.

Dall’altro lato, capita anche si dia per scontata la volontà di figli o nipoti di seguire le orme del proprio predecessore, ma a volte non è così:   il passaggio si trasforma in qualcosa di molto simile ad una imposizione, con ovvi e conseguenti effetti negativi.

Ma a parte tali quetioni, seppur importanti da un punto di vista sociologico, occorre senza dubbio focalizzare l’attenzione sugli aspetti giuridici utili – o meglio, essenziali – a rendere il passaggio generazionale  come un momento pianificato e ben ponderato.

Dovrà certamente l’imprenditore conoscere le fattispecie giuridiche che possono interessare tale processo le quali comprendono ipotesi di trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie. Le forme negoziali utili ad attuare detto trasferimento possono essere sia contrattuali (inter vivos) oppure di carattere successorio (mortis causa).

Nell’ambito dei rapporti inter vivos, l’imprenditore potrebbe pensare a devolvere l’azienda – ed il suo patrimonio aziendale – direttamente ai figli appunto quando è ancora in vita. Tale operazione potrebbe avvenire o mediante atti di donazione oppure mediante il noto “patto di famiglia”.

La donazione costituisce uno dei negozi maggiormente utilizzati, ma critico in presenza di più figli e nell’ipotesi in cui l’azienda venga lasciata ad uno o solamente ad alcuni di loro. Detta criticità sorge in relazione al rischio di lesione della quota di legittima in capo ai figli – o al figlio – esclusi dalla donazione. Occorrerà, quindi, in tali casi effettuare una preventiva quantificazione dell’azienda e conguagliare con altra donazione il figlio o i figli esclusi.

Il patto di famiglia invece, disciplinato dall’art.768 bis c.c., è il contratto con il quale l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda (e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote) ad uno o più discendenti. Il patto di famiglia è un contratto plurilaterale (al quale dovranno partecipare anche tutti i futuri eredi del disponente), che consente di realizzare un duplice obiettivo:

  • da un lato, prevenire il radicamento di liti ereditarie e la disgregazione di aziende o partecipazioni societarie;
  • dall’altro lato, addivenire all’assegnazione di tale complesso di beni a soggetti idonei ad assicurare la continuità gestionale dell’impresa.

Occorre però considerare che il Patto di Famiglia impone la liquidazione dei legittimari non assegnatari da parte del disponente, il che pone un sensibile problema finanziario, qualora il valore dell’azienda sia molto alto: di conseguenza, bisogna capire come trovare i fondi necessari.

Inoltre, il Patto di famiglia può essere oggetto di impugnazione da parte dei partecipanti ai sensi dell’art. 1427 c.c. attraverso l’esercizio dell’azione di annullamento del contratto, dall’altro.

Ovviamente quelli testé evidenziati non sono gli unici contratti o negozi giuridici attuabili, ma sono quelli maggiormente utilizzati.

Qualora l’imprenditore, invece, nel corso della vita, non programmi il passaggio generazionale della sua azienda, questo si realizza naturalmente al momento della sua morte con l’apertura della successione.

Come per qualunque altro trasferimento di beni per successione, anche nel caso in cui l’imprenditore lasci in eredità la propria azienda, la stessa sarà devoluta secondo le ordinarie regole successorie, secondo le proporzioni previste per legge. Qualora vi fosse, invece, un testamento, i trasferimenti avverranno secondo le disposizioni nello stesso contenute.

Anche in ambito testamentario, come per l’ipotesi di donazione sopra citata, il de cuius (imprenditore) dovrà tenere in considerazione, per evitare lesioni delle quote di legittima, il valore dell’azienda oggetto di lascito a seconda che la stessa venga trasferita come legato, legato in sostituzione di legittima o secondo le regole ordinarie dell’eredità.

Nemmeno in queste ipotesi va dunque trascurato il problema finanziario, che comprenderà l’esborso per le tasse successorie, se il valore dell’asse ereditario supera la franchigia d’imposta attualmente in essere.

Resta ovviamente inteso che gli eredi, che si troveranno a dover condurre l’azienda, potranno ben decidere di portare avanti l’attività o cederla a Terzi.

Insomma, le questioni sul tavolo sono alla fine le stesse, cambia solo il momento e le relative condizioni economiche in cui vanno affrontate. Alla luce di ciò, appare quindi opportuno esaminare la situazione in anticipo, onde programmare adeguatamente il passaggio generazionale.

 

 

Subentro eredi affittuario fondo agricolo

Il subentro eredi affittuario fondo agricolo.


Il subentro degli eredi dell’affittuario nella conduzione del fondo agricolo (subentro eredi affittuario fondo agricolo) rappresenta un caso sul quale risulta ad oggi difficile dare una risposta univoca, sussistendo teorie dottrinali e pronunce giurisprudenziali contrastanti.

Proviamo comunque a fare chiarezza almeno sotto l’aspetto normativo di riferimento.

Ovviamente siamo in tema di affitto di fondi rustici. La materia risulta quindi disciplinata Legge n.203 del 1982, che stabilisce le norme in materia di contratti agrari, tra cui quello di  affitto.

La fattispecie da Lei rappresentata trova chiaro riferimento all’art.49, primo ed ultimo comma della citata legge. Il primo comma afferma che: “Nel caso di morte del proprietario di fondi rustici condotti o coltivati direttamente da lui o dai suoi familiari, quelli tra gli eredi che, al momento dell’apertura della successione, risultino avere esercitato e continuino ad esercitare su tali fondi attività agricola, in qualità di imprenditori a titolo principale […] o di coltivatori diretti, hanno diritto a continuare nella conduzione o coltivazione dei fondi stessi […].” L’ultimo comma, invece, afferma che:  “In caso di morte dell’affittuario il contratto si scioglie alla fine dell’annata agraria in corso, salvo che tra gli eredi vi sia persona che abbia esercitato e continui ad esercitare attività agricola in qualità di coltivatore diretto o di imprenditore a titolo principale, come previsto dal primo comma”.

Come si può ben notare, il primo comma fa riferimento alle ipotesi di subentro degli eredi nella conduzione del fondo in caso di morte del proprietario. L’ultimo comma (che è quello che da risposta al Suo quesito), invece, fa riferimento al caso di morte dell’affittuario. Seppur i predetti commi mirino a regolare ipotesi differenziate, debbono in ogni caso essere trattati congiuntamente per via del rimando che proprio l’ultimo comma fa nei confronti del primo (si legge, infatti, al fondo dell’ultimo comma, “… come previsto dal primo comma”).

Identificato il quadro normativo di riferimento, proviamo ora ad addentrarci nel merito della questione.

Primo aspetto su cui focalizzare l’attenzione  risulta l’attuale possesso e la conduzione dei fondi già condotti in affitto dal defunto padre. L’art.49, ultimo comma, precisa innanzitutto che il contratto di affitto non si soglie immediatamente con la morte dell’affittuario, bensì alla fine dell’annata agraria in corso. Ciò sta a significare che il contratto continuerà ad essere efficace nei confronti degli eredi i quali potranno legittimamente condurre i fondi sino alla fine dell’annata agraria in corso e quindi sino all’11 Novembre 2019.

Più articolato e complesso è invece capire se vi siano, e quali siano, i requisiti affinché il contratto di affitto continui con l’erede o gli eredi del defunto affittuario sino alla sua naturale scadenza. La norma prevede detta eventualità solamente se tra gli eredi vi sia persona che abbia esercitato e continui ad esercitare attività agricola in qualità di coltivatore diretto. Il tenore letterale di detto inciso non lascerebbe trasparire, quindi, alcun dubbio sul fatto che, affinché l’erede subentri nel contratto di affitto, è sufficiente aver esercitato (prima della morte del de cuius) e continuare ad esercitare (dopo la sua morte) attività agricola, non necessariamente connessa o attinente a quella del dante causa e per di più anche su altri fondi rispetto a quelli condotti dall’affittuario deceduto. In senso conforme si è espressa la Cassazione con sentenza n.7468/1986 che, seppur risalente, individua (a parere di chi scrive) la vera portata applicativa della norma e del comma in esame.

Di diverso avviso è stato, invece, un recente e diverso orientamento espresso dalla Cassazione (sentenza n.2254/2013), secondo cui se l’erede intende subentrare nel contratto di affitto, egli  deve dimostrare due cose: non solo di essere coltivatore diretto, ma altresì di aver esercitato e continuare ad esercitare, al momento dell’apertura della successione, attività agricola sugli stessi terreni coltivati e condotti in affitto dal de cuius. In base a quest’ultima decisione della Cassazione, infatti, l’inciso “…come previsto dal primo comma” richiamerebbe la necessità, anche per l’ultimo comma, non solo dei requisiti della diretto coltivazione in capo all’erede, bensì anche della conduzione degli stessi fondi oggetto di subentro.

In sintesi: sulla scorta del più recente orientamento della Cassazione, solo l’erede che sia stato nella conduzione degli stessi fondi già condotti dal de cuius (prima della sua morte) ha il diritto di subentrare nel contratto di affitto.

Ciò contraddice la propria più datata giurisprudenza, fondata sulla circostanza che l’ultimo comma dell’art.49 citato non fornisce detta precisazione, dicendo semplicemente che l’erede deve “esercitare attività agricola in qualità di coltivatore diretto o di imprenditore a titolo principale” e, quindi,  non richiede affatto che detta attività sia svolta proprio sui terreni oggetto di affitto.

Per cui oggi solamente un intervento della Cassazione a Sezioni Unite potrebbe oggi dirimere l’evidenziato contrasto.

Nel frattempo gli operatori economici sono lasciati nell’incertezza, a loro discapito.

 

Fabbricati strumentali rurali

Fabbricati strumentali: quali caratteristiche devono avere per essere qualificati come “rurali” (fabbricati strumentali rurali)?


Fabbricati strumentali rurali: perché è importante individuare quali immobili possono essere così qualificati?

Come ben sappiamo, i beni immobili qualificati come “rurali” godono di un regime fiscale di favore.

Ma quali immobili possono essere qualificati come tali (fabbricati strumentali rurali) e possono quindi godere delle agevolazioni fiscali ?

I fabbricati rurali sono sostanzialmente quegli immobili posti al servizio di terreni agricoli, in quanto utilizzati come abitazione dell’imprenditore agricolo oppure in modo strumentale all’attività di coltivazione.

Con l’entrata in vigore dell’articolo 9 del D.L. n.557/1993 (poi convertito con L. n.133/1994) si è previsto l’inserimento nel catasto urbano anche delle costruzioni rurali, individuando criteri diversificati per il riconoscimento della ruralità tra abitazioni ed immobili rurali destinati ad usi diversi da quello squisitamente residenziale.

Mentre l’art.9, comma 3, del citato D.L. individua le caratteristiche per il riconoscimento della ruralità di fabbricati destinati ad edilizia abitativa, il comma 3 bis del medesimo articolo riconosce, ai fini fiscali, la “ruralità” alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’art. 2135 del codice civile.

Ed è proprio di tale ultimo comma che ci occuperemo di trattare.

Il comma 3 bis della norma in commento pone quale unico requisito, ai fini della ruralità, quello della concreta destinazione dei fabbricati strumentali ad una delle attività indicate dal suddetto art. 2135 c.c., andando ad effettuare una precisa elencazione delle stesse attività (tra cui si richiamano, a titolo esemplificativo, la protezione delle piante, la conservazione dei prodotti agricoli, l’allevamento e ricovero animali, l’attività di agriturismo, ecc.).

Dobbiamo però ritenere che non può certamente trattarsi di una elencazione esaustiva dei fabbricati così individuati in quanto rimane comunque aperta la possibilità di individuare e riconoscere come rurali altre fattispecie di fabbricati, anch’essi «strumentali», rispondenti all’esigenza di soddisfare anche le nuove attività agricole «connesse», così ampliando l’elenco delle attività (oltre a quelle elencate nell’art.2135 c.c.).

Ciò pare certamente logico non solo per l’evolversi della tecnologia, che coinvolge anche fortemente il comparto agricolo, ma anche per le nuove ed emergenti forme di agricoltura che si sono sviluppate e che si sviluppano via via negli anni.

I maggiori problemi sulla fiscalità delle costruzioni strumentali sono tuttavia sorti in ragione della loro qualificazione catastale.

Attualmente la ruralità dei fabbricati è certificata catastalmente mediante una specifica «annotazione» che attesta che l’immobile risponde ai requisiti fiscali richiesti dall’art. 9, comma 3 bis, del D.L. n.557/1993; per le costruzioni già censite nella categoria speciale D/10 l’annotazione tuttavia non compare in quanto ritenuta superflua proprio in ragione del fatto che l’inquadramento in detta categoria speciale già ne attesta la ruralità.

Le costruzioni strumentali all’esercizio dell’attività agricola diverse dalle abitazioni, comprese quelle destinate ad attività agrituristiche, vengono infatti censite nella categoria speciale «D/10 – fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole».

In precedenza non era così e la situazione era diversa poiché i fabbricati rurali erano censiti esclusivamente nel Catasto Terreni, proprio perché considerati pertinenze dei terreni agricoli su cui essi sorgevano, e pertanto privi di autonoma capacità reddituale.

La legge ha poi introdotto l’obbligo di censire le costruzioni rurali al catasto fabbricati, con le stesse modalità previste per le costruzioni urbane.

Questo ha ovviamente generato non poche difficoltà e vari contenziosi che hanno coinvolto soprattutto i titolari di imprese agricole i cui immobili strumentali erano appunto classificati a Catasto Fabbricati in categorie diverse da quella appositamente istituita (D/10: fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole).

Sorgeva quindi il problema di capire se tali fabbricati, censiti a catasto urbano e non rientranti nella categoria D/10 pur essendo beni strumentali all’attività agricola, potessero essere definiti “rurali” e quindi godere delle previste agevolazioni fiscali

La recentissima pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. Sez. VI Civ. 7 maggio 2019, n.11974, coeva a tutta una serie di altre conformi decisioni in merito) ha statuito che per la sussistenza del carattere di strumentalità è necessario che il fabbricato abbia una funzione produttiva connessa all’attività agricola, rilevabile dalle caratteristiche proprie dell’immobile, delle pertinenze e degli impianti installati; tipologia tale da renderlo insuscettibile di destinazione diversa da quella originaria, se non ricorrendo a radicali trasformazioni.

Ne deriva che oggi, quindi, non risulta più importante l’inquadramento catastale del fabbricato strumentale ed il suo classamento, ma ciò che assume esclusiva rilevanza ai fini della “ruralità” risulta appunto l’effettivo utilizzo del fabbricato secondo i canoni predetti ovvero, lo si ribadisce, “abbia una funzione produttiva connessa all’attività agricola, rilevabile dalle caratteristiche proprie dell’immobile, delle pertinenze e degli impianti installati”.

Resta ovviamente inteso che detta ruralità, da un punto di vista amministrativo, produce effetti (e quindi i benefici fiscali) solo dal momento in cui viene apposta la relativa annotazione in catasto. Ragion per cui in caso di perdita dei requisiti di ruralità, occorrerà rimuovere l’annotazione dalla banca dati catastale, mediante istanza di cancellazione.


Cassazione, ordinanza 7 maggio 2019, n.11974.

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Svolgimento del processo

La Commissione tributaria provinciale di Ravenna, con sentenza n. 18/2003, sez. 3, accoglieva il ricorso proposto dalla Cooperativa CEPAL avverso il classamento dell’immobile sito in Comune di Lugo nella categoria D8 anzichè D10.

Avverso detta decisione l’Agenzia delle entrate proponeva appello innanzi alla CTR E Romagna che, con sentenza 2374/2017, rigettava l’impugnazione confermando l’orientamento espresso dal giudice di primo grado.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi.

Ha resistito con controricorso la cooperativa CEPAL. La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso l’Ufficio contesta che l’immobile per cui è causa disponesse dei requisiti per essere classificato nella categoria D10 sostenendo che lo stesso aveva la struttura e le caratteristiche per lo svolgimento di una attività ed industriale.

Con il secondo motivo contesta la ritenuta carenza di motivazione del provvedimento amministrativo impugnato.

Osserva la Corte che la sentenza impugnata è basata su una ulteriore ratio decidendi che consiste alla avvenuta presentazione, ai sensi del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis e ss., da parte della contribuente della dichiarazione di classamento in categoria D/10.

Tale dichiarazione, costituente una autocertificazione, comporta, in virtù della norma citata, che alle costruzioni strumentali alle attività agricole sia attribuita la categoria D/10 con effetto retroattivo di 5 anni.

La mancata impugnazione di tale ratio decidendi rende il ricorso inammissibile.

Ancorchè superfluamente, a seguito di quanto appena detto, si osserva comunque che i due motivi sono manifestamente infondati.

La sentenza impugnata ha dato atto che la struttura ha sempre avuto fin dalla sua origine la funzione di stoccare, confezionare e distribuire i prodotti degli agricoltori soci della cooperativa e ciò sulla base dell’esame fatto delle planimetrie, delle fotografie, del libro soci e del bilancio.

Le censure che l’Agenzia ricorrente muove a tale motivazione tendono, per un verso, ad investire inammissibilmente il merito della decisione e, per altro verso, sono manifestamente infondate laddove si basano sulla circostanza che l’immobile, un tempo periferico, è ora divenuto centrale nell’ambito della città.

Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che in tema di classamento, il carattere rurale dei fabbricati diversi da quelli destinati ad abitazione (categoria D/10), non può essere negato ogniqualvolta essi siano strumentalmente destinati allo svolgimento di attività agricole contemplate dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 29 (ora 32) o anche di quelle aggiunte dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, comma 3-bis, e ciò a prescindere dal fatto che non coincidano la titolarità del fabbricato e la titolarità dei terreni da cui provengono i prodotti.

I presupposti per valutare la strumentalità, sussistono quando: 1) il fabbricato della cooperativa abbia una funzione produttiva connessa all’attività agricola dei soci; 2) tale funzione sia rivelata dalle caratteristiche proprie dell’immobile, delle pertinenze e degli impianti installati; 3) la tipologia del complesso sia tale da renderlo insuscettibile di destinazione diversa da quella originaria, se non ricorrendo a radicali trasformazioni). (Cass. 20953/08- Cass. 14013/12).

In particolare, si è già avuto modo di chiarire che “il carattere rurale dei fabbricati, diversi da quelli destinati ad abitazione, non può essere negato, ogniqualvolta essi siano strumentalmente destinati allo svolgimento di attività agricole contemplate dal cit. T.U.I.R., art. 29 (ora 32), od anche di quelle aggiunte dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis; a prescindere dal fatto che titolarità del fabbricato e titolarità dei terreni da cui provengono i prodotti agricoli coincidano nello stesso soggetto.” (Cass. 20953/08) Inoltre, per la sussistenza del carattere di “strumentalità” nel caso concreto, e per la conseguente iscrivibilità nella speciale categoria catastale D/10, ai sensi del D.P.R. n. 139 del 1998, art. 1, comma 5, è necessario che il fabbricato della cooperativa abbia una “funzione produttiva connessa all’attività agricola dei soci”; che tale funzione sia rivelata dalle caratteristiche proprie dell’immobile, delle pertinenze e degli impianti installati; che la tipologia del complesso sia tale da renderlo insuscettibile di destinazione diversa da quella originaria, se non ricorrendo a radicali trasformazioni. Di nessuna importanza è invece l’osservazione che lo stesso impianto potrebbe svolgere ordinarie attività commerciali o industriali, anche se non fosse posseduto dalla cooperativa. (Cass. 20953/08).

Tutte tali circostanze sono state accertate dalla sentenza di appello che ha dato atto, come già ricordato, di essersi basata sulle planimetrie, e le fotografie dell’edificio per verificarne la struttura e la destinazione nonchè sul libro soci e sul bilancio a riscontro del carattere agricolo dell’attività.

Il ricorso va, in conclusione, dichiarato inammissibile.

Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 3000,00 oltre spese forfettarie 15% ed accessori.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2019

Scioglimento comunione su terre assegnazione agraria

Scioglimento comunione su terre assegnazione agraria:  se muore l’assegnatario, gli eredi possono sì chiedere lo scioglimento della comunione creatasi con la successione sul fondo, ma non  il suo frazionamento.


Procedendosi allo scioglimento comunione su terre assegnazione agraria, il fondo andrà quindi assegnato nella sua interezza ad uno dei coeredi (che pagherà  agli altri il controvalore delle loro quote) oppure venduto a terzi (e si dividerà allora il prezzo incassato tra i coeredi)


La legge n.1078/1940, rubricata “Norme per evitare il frazionamento delle unità poderali assegnate a contadini diretti coltivatori”, prescrive una serie di regole finalizzate ad evitare il frazionamento di unità poderali, costituite in comprensori di bonifica da enti di colonizzazione o da consorzi di bonifica ed assegnate in proprietà a contadini diretti coltivatori (Art.1). Tale scelta di limitazione trova giustificazione nei principi di cui agli artt. 41, 42, 44 e 47 Cost.: le dimensioni minime del fondo oggetto di assegnazione sono strettamente correlate –  condizionando la produttività e l’autosufficienza dell’impresa diretta coltivatrice –  alla destinazione del fondo e, quindi, in linea con gli obiettivi preposti dalla norma. Pertanto le citate unità poderali non possono essere frazionate per effetto di trasferimenti a causa di morte o per atti tra vivi. Onde mantenere consolidata l’integrità dei detti fondi rustici, assicurando così il risultato che si prefigge la norma, il successivo articolo 2 prevede anche che gli enti di colonizzazione o i consorzi di bonifica debbano far risultare l’esistenza del vincolo di indivisibilità dei fondi dalle note di trascrizione degli atti di assegnazione di unità poderali. Il difetto di trascrizione (elemento essenziale onde garantirne la conoscibilità), comporta, quale conseguenza che il vincolo di indivisibilità non potrà essere opposto a terzi acquirenti o aventi causa (di buona fede).

L’’art.5 della citata legge 1078/1940 prescrive poi che:

Nel caso di morte del titolare dell’unità poderale, essa è assegnata al coerede designato dal testatore e, in mancanza, ad uno dei coeredi che sia disposto ad accettarne l’attribuzione e sia idoneo ad assumerne l’esercizio (ndr. ovvero con il fine di assicurare la continuità della conduzione e la concentrazione dei fondi in capo ad un soggetto idoneo ad una efficiente coltivazione).  Nel caso in cui nessuno dei coeredi sia disposto ad accettarne l’attribuzione si procede alla vendita dell’unità poderale con le modalità concordate fra gli interessati o stabilite, in caso di disaccordo tra i coeredi, dall’autorità giudiziaria e si provvede col prezzo alla soddisfazione delle quote ereditarie. In caso di disaccordo tra i coeredi, decide l’autorità giudiziaria con riguardo alle condizioni e attitudini personali. L’autorità giudiziaria, su istanza dei coeredi che rappresentino la maggioranza delle quote ereditarie, può anche decidere che il fondo sia assegnato in comunione a tutti gli eredi e a quelli fra essi che intendano vivere in comunione. Chiunque degli interessati può chiedere lo scioglimento della comunione dopo trascorso un anno dall’inizio di essa. In tal caso si procede alla vendita dell’unità poderale, con le modalità di cui al comma secondo del presente articolo”.

Con la sentenza 27644/2018, la Corte di Cassazione ha adesso statuito che, in tema di assegnazione di terre di riforma agraria, il principio riportato dall’art.5 della Legge in commento (secondo cui ognuno dei coeredi può richiedere lo scioglimento della comunione) si applica non solo nell’ipotesi di comunione disposta dall’Autorità giudiziaria, ma anche qualora – pur in difetto di un provvedimento del giudice –  a seguito dell’apertura della successione sia insorta da oltre un anno la comunione incidentale tra i coeredi dell’originario proprietario e la domanda di divisione sia proposta da almeno uno dei comproprietari. La Suprema Corte sottolinea infatti che non è precluso dalla legge lo scioglimento della comunione, ma unicamente il frazionamento del bene.

La Suprema Corte ritiene infatti che la comunione espressamente prevista dalla legge citata (e cioè quella che nasce su disposizione dell’Autorità Giudiziaria, ad istanza dei titolari della maggioranza delle quote) non è dissimile dalla comunione che automaticamente insorge, senza alcun provvedimento del giudice,  una volta decorso  oltre un anno dall’apertura della successione dell’originario proprietario. Nel primo caso come nel secondo, infatti, quel che rileva per la Cassazione è la presenza di una comunione, la sua costituzione da oltre un anno e la presenza della domanda di divisione proposta da almeno uno dei comproprietari.

Dunque, la legge speciale non preclude affatto lo scioglimento comunione su terre assegnazione agraria. Anzi, le sue modalità di scioglimento sono regolate dettagliatamente proprio dall’art. 5 della citata legge 1078/1940, la quale vieta soltanto il frazionamento del bene, a condizione che il relativo vincolo sia stato trascritto e sia quindi utilmente opponibile ai terzi.

affitto agrario

IL CONTRATTO DI AFFITTO AGRARIO

(ovvero affitto fondi rustici)


AFFITTO AGRARIO: ASPETTI GENERALI DEL CONTRATTO

contratto affitto agrario (ovvero affitto fondi rustici)

In materia di affitto agrario (affitto fondi rustici), l’intervento dello Stato ha inciso notevolmente sul contratto, andando a sottrarre, all’autonomia delle parti, la disciplina del rapporto negoziale proprio in relazione all’interesse pubblico che la terra (adatta all’agricoltura) sia gestita in modo produttivo.


Certo è che la compressione dell’autonomia negoziale non può definirsi integrale ed inderogabile, potendo comunque le parti:

  • da un lato, decidere se ed a chi concedere in affitto;
  • dall’altro,  stipulare accordi in deroga alle norme cogenti (purché ovviamente assistiti dalle rispettive organizzazioni professionali – art.45 della legge 203/1982).

L’oggetto immediato del contratto di affitto agrario (ovvero affitto fondi rustici) è appunto il “fondo”.

Il fondo, deve quindi essere inteso quale bene che il locatore mette a disposizione dell’affittuario, al quale ultimo viene trasferito l’esercizio del potere di gestione della terra per un determinato periodo di tempo.

Il principale onere del locatore, in esito alla stipula di un contratto di affitto agrario (ovvero affitto fondi rustici) è appunto quello di immettere l’affittuario nel godimento della cosa produttiva (art.1617 c.c.).  Oltre a ciò il locatore ha l’obbligo di astenersi da ogni attività sul bene produttivo una volta fattane la consegna all’affittuario.

In caso di vendita del fondo, al suo affittuario (se coltivatore diretto) compete il diritto di prelazione agraria).

 

DURATA DEL CONTRATTO

La legislazione, in tema di affitto agrario (ovvero affitto fondi rustici), si pone quale obbiettivo (degno di tutela) lo stabile insediamento dell’affittuario sul fondo agricolo andando ad incidere nell’autonomia della parti nella determinazione della durata del contratto.

La legge 3 maggio 1982, n.203, ha portato a 15 anni la durata minima del contratto, sia a coltivatore (art.1) sia a conduttore (art.22), ferma restando la possibilità per le parti di prevedere accordi in deroga ex art.45 (disciplinando una durata contrattuale inferiore a quella di legge, purché ciò avvenga con l’assistenza delle organizzazione professionali di categoria).

 

COSTITUZIONE e RISOLUZIONE

La costituzione dell’affitto di beni produttivi richiede la forma scritta solo se il contratto è ultranovennale.

Caso diverso è quello relativo all’affitto agrario (ovvero affitto fondi rustici),  in cui la forma del contratto assume rilevanza a seconda che il conduttore sia “capitalista” oppure “coltivatore diretto”.

La Suprema Corte ha stabilito che soltanto l’affitto a coltivatore diretto non richiede né forma scritta per essere valido tra le parti, né trascrizione per essere opponibile a terzi, mentre l’affitto a conduttore richiede la scrittura ma solo ad probationem (ovvero ai soli fini della prova dell’esistenza del contratto stesso) e pretende la trascrizione ai fini dell’opponibilità.

Altro problema da risolvere nell’ambito della stipulazione di contratto in esame è quello della necessaria presenza di entrambe le contrapposte organizzazioni professionali agricole, al momento della stipula, affinché queste provvedano all’apposizione del “visto”.

Invero, la legge pretende che l’assistenza sindacale si concreti in una attività di consulenza, di indirizzo e di cooperazione protettiva, al fine di evitare la prevaricazione  di un contraente sull’altro o comunque pregiudizi verso la parte più debole.

L’assistenza delle organizzazione di categoria permette, inoltre alle parti di poter derogare  alle disposizioni contrattuali cogenti e comunque sulle disposizioni  che garantiscono nell’affittuario la posizione di imprenditore.

Ne consegue che potranno essere oggetto di disciplina pattizia la durata, il canone, il termine di disdetta e il potere di migliorare, ma non  potranno essere incisi i poteri di gestione imprenditoriale.

L’affitto dei beni produttivi si risolve per inadempimento  dell’affittuario in ordine ai suoi obblighi, contrattualmente assunti, ovverosia quelli di destinare, al servizio della cosa, i mezzi necessari per la sua gestione, di rispettare la destinazione economica del fondo nonché di corrispondere il canone pattuito. Al pari di ogni contratto, quindi, anche l’affitto agrario (ovvero affito fondi rustici)  si risolve per inadempimento dell’affittuario ma, in deroga alle disposizioni del codice civile, questo deve essere “grave”. E’ quindi necessaria la presenza di un grave inadempimento.

Quanto alla morosità, invece, affinché si concretizzi l’inadempimento occorre che questa sia di almeno una annualità e che il locatore contesti all’affittuario l’inadempimento diffidandolo ad adempiere entro il termine legale di tre mesi.

 

CESSIONE DEL CONTRATTO DI AFFITTO AGRARIO (ovvero affitto fondi rustici).

Come sopra già precisato, la legislazione speciale sui contratti agrari differenzia l’affitto agrario (ovvero affotto fondi rustici) dall’affitto di cose produttive.

L’interesse generale alla lavorazione della terra determina, appunto, una tutela differenziata nell’affitto di fondi rustici rispetto all’affitto di generici beni produttivi.

Più precisamente, mentre nell’affitto di generici beni produttivi continua a valere la regola del codice civile, per l’affitto agrario (ovvero affitto fondi rustici) di fondi rustici viene introdotto l’art.21 della l. n.203/1982 che vieta i contratti di subaffitto, di sublocazione e comunque di subconcessione di fondi rustici.

Tale disposizione normativa, tuttavia, non contempla la cessione del contratto del contratto di affitto che è quindi da considerarsi legittima. La ratio di tale riconoscimento di ammissibilità risiederebbe nella circostanza che, mentre il subaffitto darebbe origine a due contratti (il contratto di affitto e quello di subaffitto), la cessione manterrebbe in vita un unico contratto (quello originario tra locatore ed affittuario).

Pertanto, va riconosciuto che oggi la cessione del contratto agrario (ovvero affitto fondi rustici) non può ritenersi vietata, rimettendone la disciplina agli ordinari artt.1406 e 1594 c.c. che richiedono il consenso del ceduto, salvo nelle ipotesi dell’art.21 della l. n.203/1982 e dell’art.2558 c.c. in cui tale consenso non è necessario.

 

SUCCESSIONE MORTIS CAUSA NEL CONTRATTO DI AFFITTO AGRARIO (ovvero affitto fondi ristici) 

Anche con riguardo alla successione nel contratto di affitto agrario (ovvero affitto fondi ristici) la legislazione speciale agraria è intervenuta differenziando la posizione degli eredi dall’affittuario deceduto.

In forza dell’ultimo comma dell’art.49 della legge 203/1982, in caso di morte dell’affittuario, il contratto non si scioglie ma continua “qualora tra gli eredi vi sia persona che abbia esercitato e continui ad esercitare attività agricola  in qualità di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo professionale (IAP)”.

La giurisprudenza in materia, purtroppo, presenta alcuni significativi contrasti.


Modello contratto affitto agrario