Fabbricati strumentali rurali

Fabbricati strumentali: quali caratteristiche devono avere per essere qualificati come “rurali” (fabbricati strumentali rurali)?


Fabbricati strumentali rurali: perché è importante individuare quali immobili possono essere così qualificati?

Come ben sappiamo, i beni immobili qualificati come “rurali” godono di un regime fiscale di favore.

Ma quali immobili possono essere qualificati come tali (fabbricati strumentali rurali) e possono quindi godere delle agevolazioni fiscali ?

I fabbricati rurali sono sostanzialmente quegli immobili posti al servizio di terreni agricoli, in quanto utilizzati come abitazione dell’imprenditore agricolo oppure in modo strumentale all’attività di coltivazione.

Con l’entrata in vigore dell’articolo 9 del D.L. n.557/1993 (poi convertito con L. n.133/1994) si è previsto l’inserimento nel catasto urbano anche delle costruzioni rurali, individuando criteri diversificati per il riconoscimento della ruralità tra abitazioni ed immobili rurali destinati ad usi diversi da quello squisitamente residenziale.

Mentre l’art.9, comma 3, del citato D.L. individua le caratteristiche per il riconoscimento della ruralità di fabbricati destinati ad edilizia abitativa, il comma 3 bis del medesimo articolo riconosce, ai fini fiscali, la “ruralità” alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’art. 2135 del codice civile.

Ed è proprio di tale ultimo comma che ci occuperemo di trattare.

Il comma 3 bis della norma in commento pone quale unico requisito, ai fini della ruralità, quello della concreta destinazione dei fabbricati strumentali ad una delle attività indicate dal suddetto art. 2135 c.c., andando ad effettuare una precisa elencazione delle stesse attività (tra cui si richiamano, a titolo esemplificativo, la protezione delle piante, la conservazione dei prodotti agricoli, l’allevamento e ricovero animali, l’attività di agriturismo, ecc.).

Dobbiamo però ritenere che non può certamente trattarsi di una elencazione esaustiva dei fabbricati così individuati in quanto rimane comunque aperta la possibilità di individuare e riconoscere come rurali altre fattispecie di fabbricati, anch’essi «strumentali», rispondenti all’esigenza di soddisfare anche le nuove attività agricole «connesse», così ampliando l’elenco delle attività (oltre a quelle elencate nell’art.2135 c.c.).

Ciò pare certamente logico non solo per l’evolversi della tecnologia, che coinvolge anche fortemente il comparto agricolo, ma anche per le nuove ed emergenti forme di agricoltura che si sono sviluppate e che si sviluppano via via negli anni.

I maggiori problemi sulla fiscalità delle costruzioni strumentali sono tuttavia sorti in ragione della loro qualificazione catastale.

Attualmente la ruralità dei fabbricati è certificata catastalmente mediante una specifica «annotazione» che attesta che l’immobile risponde ai requisiti fiscali richiesti dall’art. 9, comma 3 bis, del D.L. n.557/1993; per le costruzioni già censite nella categoria speciale D/10 l’annotazione tuttavia non compare in quanto ritenuta superflua proprio in ragione del fatto che l’inquadramento in detta categoria speciale già ne attesta la ruralità.

Le costruzioni strumentali all’esercizio dell’attività agricola diverse dalle abitazioni, comprese quelle destinate ad attività agrituristiche, vengono infatti censite nella categoria speciale «D/10 – fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole».

In precedenza non era così e la situazione era diversa poiché i fabbricati rurali erano censiti esclusivamente nel Catasto Terreni, proprio perché considerati pertinenze dei terreni agricoli su cui essi sorgevano, e pertanto privi di autonoma capacità reddituale.

La legge ha poi introdotto l’obbligo di censire le costruzioni rurali al catasto fabbricati, con le stesse modalità previste per le costruzioni urbane.

Questo ha ovviamente generato non poche difficoltà e vari contenziosi che hanno coinvolto soprattutto i titolari di imprese agricole i cui immobili strumentali erano appunto classificati a Catasto Fabbricati in categorie diverse da quella appositamente istituita (D/10: fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole).

Sorgeva quindi il problema di capire se tali fabbricati, censiti a catasto urbano e non rientranti nella categoria D/10 pur essendo beni strumentali all’attività agricola, potessero essere definiti “rurali” e quindi godere delle previste agevolazioni fiscali

La recentissima pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. Sez. VI Civ. 7 maggio 2019, n.11974, coeva a tutta una serie di altre conformi decisioni in merito) ha statuito che per la sussistenza del carattere di strumentalità è necessario che il fabbricato abbia una funzione produttiva connessa all’attività agricola, rilevabile dalle caratteristiche proprie dell’immobile, delle pertinenze e degli impianti installati; tipologia tale da renderlo insuscettibile di destinazione diversa da quella originaria, se non ricorrendo a radicali trasformazioni.

Ne deriva che oggi, quindi, non risulta più importante l’inquadramento catastale del fabbricato strumentale ed il suo classamento, ma ciò che assume esclusiva rilevanza ai fini della “ruralità” risulta appunto l’effettivo utilizzo del fabbricato secondo i canoni predetti ovvero, lo si ribadisce, “abbia una funzione produttiva connessa all’attività agricola, rilevabile dalle caratteristiche proprie dell’immobile, delle pertinenze e degli impianti installati”.

Resta ovviamente inteso che detta ruralità, da un punto di vista amministrativo, produce effetti (e quindi i benefici fiscali) solo dal momento in cui viene apposta la relativa annotazione in catasto. Ragion per cui in caso di perdita dei requisiti di ruralità, occorrerà rimuovere l’annotazione dalla banca dati catastale, mediante istanza di cancellazione.


Cassazione, ordinanza 7 maggio 2019, n.11974.

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Svolgimento del processo

La Commissione tributaria provinciale di Ravenna, con sentenza n. 18/2003, sez. 3, accoglieva il ricorso proposto dalla Cooperativa CEPAL avverso il classamento dell’immobile sito in Comune di Lugo nella categoria D8 anzichè D10.

Avverso detta decisione l’Agenzia delle entrate proponeva appello innanzi alla CTR E Romagna che, con sentenza 2374/2017, rigettava l’impugnazione confermando l’orientamento espresso dal giudice di primo grado.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi.

Ha resistito con controricorso la cooperativa CEPAL. La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso l’Ufficio contesta che l’immobile per cui è causa disponesse dei requisiti per essere classificato nella categoria D10 sostenendo che lo stesso aveva la struttura e le caratteristiche per lo svolgimento di una attività ed industriale.

Con il secondo motivo contesta la ritenuta carenza di motivazione del provvedimento amministrativo impugnato.

Osserva la Corte che la sentenza impugnata è basata su una ulteriore ratio decidendi che consiste alla avvenuta presentazione, ai sensi del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis e ss., da parte della contribuente della dichiarazione di classamento in categoria D/10.

Tale dichiarazione, costituente una autocertificazione, comporta, in virtù della norma citata, che alle costruzioni strumentali alle attività agricole sia attribuita la categoria D/10 con effetto retroattivo di 5 anni.

La mancata impugnazione di tale ratio decidendi rende il ricorso inammissibile.

Ancorchè superfluamente, a seguito di quanto appena detto, si osserva comunque che i due motivi sono manifestamente infondati.

La sentenza impugnata ha dato atto che la struttura ha sempre avuto fin dalla sua origine la funzione di stoccare, confezionare e distribuire i prodotti degli agricoltori soci della cooperativa e ciò sulla base dell’esame fatto delle planimetrie, delle fotografie, del libro soci e del bilancio.

Le censure che l’Agenzia ricorrente muove a tale motivazione tendono, per un verso, ad investire inammissibilmente il merito della decisione e, per altro verso, sono manifestamente infondate laddove si basano sulla circostanza che l’immobile, un tempo periferico, è ora divenuto centrale nell’ambito della città.

Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che in tema di classamento, il carattere rurale dei fabbricati diversi da quelli destinati ad abitazione (categoria D/10), non può essere negato ogniqualvolta essi siano strumentalmente destinati allo svolgimento di attività agricole contemplate dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 29 (ora 32) o anche di quelle aggiunte dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, comma 3-bis, e ciò a prescindere dal fatto che non coincidano la titolarità del fabbricato e la titolarità dei terreni da cui provengono i prodotti.

I presupposti per valutare la strumentalità, sussistono quando: 1) il fabbricato della cooperativa abbia una funzione produttiva connessa all’attività agricola dei soci; 2) tale funzione sia rivelata dalle caratteristiche proprie dell’immobile, delle pertinenze e degli impianti installati; 3) la tipologia del complesso sia tale da renderlo insuscettibile di destinazione diversa da quella originaria, se non ricorrendo a radicali trasformazioni). (Cass. 20953/08- Cass. 14013/12).

In particolare, si è già avuto modo di chiarire che “il carattere rurale dei fabbricati, diversi da quelli destinati ad abitazione, non può essere negato, ogniqualvolta essi siano strumentalmente destinati allo svolgimento di attività agricole contemplate dal cit. T.U.I.R., art. 29 (ora 32), od anche di quelle aggiunte dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis; a prescindere dal fatto che titolarità del fabbricato e titolarità dei terreni da cui provengono i prodotti agricoli coincidano nello stesso soggetto.” (Cass. 20953/08) Inoltre, per la sussistenza del carattere di “strumentalità” nel caso concreto, e per la conseguente iscrivibilità nella speciale categoria catastale D/10, ai sensi del D.P.R. n. 139 del 1998, art. 1, comma 5, è necessario che il fabbricato della cooperativa abbia una “funzione produttiva connessa all’attività agricola dei soci”; che tale funzione sia rivelata dalle caratteristiche proprie dell’immobile, delle pertinenze e degli impianti installati; che la tipologia del complesso sia tale da renderlo insuscettibile di destinazione diversa da quella originaria, se non ricorrendo a radicali trasformazioni. Di nessuna importanza è invece l’osservazione che lo stesso impianto potrebbe svolgere ordinarie attività commerciali o industriali, anche se non fosse posseduto dalla cooperativa. (Cass. 20953/08).

Tutte tali circostanze sono state accertate dalla sentenza di appello che ha dato atto, come già ricordato, di essersi basata sulle planimetrie, e le fotografie dell’edificio per verificarne la struttura e la destinazione nonchè sul libro soci e sul bilancio a riscontro del carattere agricolo dell’attività.

Il ricorso va, in conclusione, dichiarato inammissibile.

Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 3000,00 oltre spese forfettarie 15% ed accessori.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2019

Registro nazionale paesaggi rurali storici

 

Il Registro nazionale paesaggi rurali storici cataloga quelli più significativi del nostro paese sul piano storico o tradizionale.


 

Creato grazie aI decreto MIPAAF n. 17070 del 19 novembre 2012 (relativo all’istituzione dell’Osservatorio Nazionale del Paesaggio rurale, delle pratiche agricole e conoscenze tradizionali: ONPR), che ha previsto il “Registro nazionale dei paesaggi rurali di interesse storico, delle pratiche agricole e delle conoscenze tradizionali”.

Il Registro nazionale paesaggi rurali storici identifica e cataloga “i paesaggi rurali tradizionali o di interesse storico, le pratiche e le conoscenze tradizionali correlate”, definendo la loro significatività, integrità e vulnerabilità, tenendo conto sia di valutazioni scientifiche, sia dei valori che sono loro attribuiti dalle comunità, dai soggetti e dalle popolazioni interessate.

I paesaggi catalogatidevono soddisfare i requisiti approvati in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni.

L’iscrizione di un paesaggio nel registro prende l’avvio dalla sua candatura, presentata al Ministero dagli Enti interessati su tutto il territorio nazionale

A seguito dell’iter di verifica dei requisiti di ammissibilità espletato dall’ONPR, i paesaggi che superano l’esame vengono iscritti nel registro, mediante un decreto a firma del Ministro, contenente la menzione che esplicita i motivi del riconoscimento.


Il Registro e le mappe dei paesaggi rurali


Alberi monumentali


Piemonte - Enoteche, fiere, paesaggi ed ecomusei


Paesaggi rurali di interesse storico

 

La Corona di Matilde. Alto Reno. Terra di Castagni

Paesaggio collinare policolturale di Pienza e Montepulciano

Paesaggio rurale storico delle praterie e dei canali irrigui della Val d’Enza

Il paesaggio del grano: L’area cerealicola di Melanico in Molise

Le colline terrazzate della Valpolicella

Paesaggio della bonifica romana e dei campi allagati della piana di Rieti

Paesaggio Policolturale di Fibbianello – Comune di Semproniano

Il paesaggio rurale dei “Vigneti terrazzati della Valle di Cembra”

Il paesaggio agro-silvo-pastorale del territorio di Tolfa

Il sistema agricolo terrazzato della Val di Gresta

Alti pascoli della Lessinia

Paesaggio storico della Bonifica Leopoldina in Valdichiana

Paesaggio agrario di olivastri storici del Feudo di Belvedere

Gli uliveti a terrazze e lunette dei monti Lucretili

Vigneti Terrazzati del Versante Retico della Valtellina

Limoneti, vigneti e boschi nel territorio del Comune di Amalfi

Vigneti del Mandrolisai

Il paesaggio rurale storico di Lamole – Greve in Chianti

Paesaggio della Pietra a Secco dell’Isola di Pantelleria

Fascia pedemontana olivata Assisi – Spoleto

Parco regionale Storico agricolo dell’olivo di Venafro

Colline vitate del Soave

I Paesaggi silvo-pastorali di Moscheta

Le Colline di Conegliano Valdobbiadene – Paesaggio del Prosecco Superiore

Oliveti terrazzati di Vallecorsa

Paesaggio Agrario della Piana degli Oliveti Monumentali di Puglia

Il Paesaggio Policolturale di Trequanda

 

Il 10 marzo 2023 ad Arezzo si è costituita  l’Associazione dei Paesaggi rurali di interesse  storico

Pratiche commerciali sleali filiera agricola alimentare

L’Unione Europea ha adottato la direttiva sulle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare (pratiche commerciali sleali filiera agricola alimentare)


Parlamento Europeo e Consiglio hanno emanato la direttiva del 17 aprile 2019, n.633, sulle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare.

Ecco il testo:

25.4.2019

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

L 111/59


IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,

visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare l’articolo 43, paragrafo 2,

vista la proposta della Commissione europea,

previa trasmissione del progetto di atto legislativo ai parlamenti nazionali,

visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (1),

visto il parere del Comitato delle regioni (2),

deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria (3),

considerando quanto segue:

(1)

Nella filiera agricola e alimentare sono comuni squilibri considerevoli nel potere contrattuale tra fornitori e acquirenti di prodotti agricoli e alimentari. È probabile che tali squilibri nel potere contrattuale comportino pratiche commerciali sleali nel momento in cui partner commerciali più grandi e potenti cerchino di imporre determinate pratiche o accordi contrattuali a proprio vantaggio relativamente a un’operazione di vendita. Tali pratiche possono ad esempio: discostarsi nettamente dalle buone pratiche commerciali, essere in contrasto con i principi di buona fede e correttezza ed essere imposte unilateralmente da un partner commerciale alla sua controparte, imporre un trasferimento ingiustificato e sproporzionato del rischio economico da un partner commerciale alla sua controparte, oppure imporre un significativo squilibrio di diritti e doveri a uno dei partner commerciali. Alcune pratiche potrebbero essere manifestatamente sleali anche quando entrambe le parti le accettano. È opportuno introdurre, nell’Unione, un livello minimo di tutela rispetto alle pratiche commerciali sleali per ridurne la frequenza, in quanto possono avere un effetto negativo sul tenore di vita della comunità agricola. L’approccio di armonizzazione minima della presente direttiva consente agli Stati membri di adottare o mantenere norme nazionali che vanno al di là delle pratiche commerciali sleali elencate nella presente direttiva.

(2)

Dal 2009 tre pubblicazioni della Commissione (la comunicazione della Commissione del 28 ottobre 2009 sul migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa, la comunicazione della Commissione del 15 luglio 2014 per affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese, e la relazione della Commissione del 29 gennaio 2016 sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese) si sono incentrate sul funzionamento della filiera alimentare, comprese le pratiche commerciali sleali che vi sono attuate. La Commissione ha suggerito gli elementi specifici da includere preferibilmente in eventuali quadri di gestione, su base nazionale e volontaria, riguardanti le pratiche commerciali sleali attuate nella filiera alimentare. Non essendo tali elementi entrati tutti a far parte del quadro giuridico o dei regimi di gestione volontaria degli Stati membri, il verificarsi di tali pratiche è rimasto al centro del dibattito politico nell’Unione.

(3)

Nel 2011, il Forum di alto livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare, guidato dalla Commissione, ha approvato una serie di principi di buone prassi nelle relazioni verticali nella filiera alimentare, concordati dalle organizzazioni che rappresentano la maggioranza degli operatori della filiera alimentare. Tali principi sono diventati la base per l’iniziativa della filiera avviata nel 2013.

(4)

Nella sua risoluzione del 7 giugno 2016 sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare (4) il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a presentare una proposta relativa a un quadro giuridico dell’Unione in materia di pratiche commerciali sleali. Nelle sue conclusioni del 12 dicembre 2016 sul rafforzamento della posizione degli agricoltori nella filiera alimentare e sulla lotta contro le pratiche commerciali sleali, il Consiglio ha invitato la Commissione ad avviare tempestivamente una valutazione d’impatto al fine di proporre un quadro legislativo dell’Unione o misure non legislative per affrontare le pratiche commerciali sleali. La Commissione ha preparato una valutazione d’impatto, preceduta da una consultazione pubblica aperta e da consultazioni mirate. Inoltre, durante il processo legislativo la Commissione ha fornito informazioni che dimostrano come i grandi operatori rappresentino una percentuale considerevole del valore complessivo della produzione.

(5)

Nella filiera agricola e alimentare operano diversi soggetti, a livelli diversi delle fasi di produzione, trasformazione, marketing, distribuzione e vendita al dettaglio dei prodotti agricoli e alimentari. Per questi prodotti, tale filiera è di gran lunga il più importante canale di transito «dal produttore al consumatore». Gli operatori commercializzano i prodotti agricoli e alimentari, segnatamente i prodotti agricoli primari, inclusi quelli della pesca e dell’acquacoltura, elencati nell’allegato I del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), e i prodotti non elencati in tale allegato ma trasformati per uso alimentare a partire dai prodotti elencati in tale allegato.

(6)

Che il rischio commerciale sia implicito in qualunque attività economica è un dato di fatto, ma la produzione agricola è caratterizzata anche da un’estrema incertezza dovuta sia alla dipendenza dai processi biologici sia all’esposizione ai fattori meteorologici. Tale incertezza è aggravata dal fatto che i prodotti agricoli e alimentari sono più o meno deperibili e stagionali. In un contesto di politica agricola decisamente più orientato al mercato rispetto al passato, proteggersi dalle pratiche commerciali sleali è ora più importante per gli operatori presenti nella filiera agricola e alimentare.

(7)

In particolare è probabile che tali pratiche commerciali sleali abbiano un impatto negativo sul tenore di vita della comunità agricola. Tale impatto è ritenuto sia diretto, in quanto riguarda i produttori agricoli e le loro organizzazioni in qualità di fornitori, che indiretto, poiché le conseguenze delle pratiche commerciali sleali che avvengono nella filiera agricola e alimentare si ripercuotono «a cascata» con effetti negativi sui produttori primari in tale filiera.

(8)

Nella maggior parte degli Stati membri, anche se non in tutti, esistono norme nazionali specifiche che tutelano i fornitori dalle pratiche commerciali sleali attuate nei rapporti tra imprese lungo la filiera agricola e alimentare. Anche quando è possibile fare affidamento sul diritto contrattuale o su iniziative di autoregolamentazione, il timore di ritorsioni commerciali nei confronti di un denunciante, così come i rischi finanziari associati al contrasto di tali pratiche, limitano di fatto l’utilità tali mezzi di ricorso previsti. Di conseguenza, alcuni Stati membri che dispongono di norme specifiche in materia di pratiche commerciali sleali affidano l’applicazione di tali norme alle autorità amministrative. Laddove esistono, tuttavia, le norme degli Stati membri contro le pratiche commerciali sleali sono caratterizzate da notevoli differenze tra uno Stato membro e l’altro.

(9)

Il numero e le dimensioni degli operatori variano tra una fase e l’altra della filiera agricola e alimentare. È probabile che le differenze nel potere contrattuale, che corrispondono alla dipendenza economica del fornitore dall’acquirente, portino gli operatori più grandi a imporre agli operatori più piccoli pratiche commerciali sleali. Un approccio dinamico, basato sulle dimensioni relative del fornitore e dell’acquirente in termini di fatturato, dovrebbe fornire agli operatori che ne hanno maggiormente bisogno una maggiore tutela contro le pratiche commerciali sleali. Le pratiche commerciali sleali sono dannose soprattutto per le imprese di dimensioni medio-piccole (PMI) presenti nella filiera agricola e alimentare. Anche le imprese più grandi delle PMI ma con un fatturato annuale non superiore a 350 000 000 EUR dovrebbero essere tutelate dalle pratiche commerciali sleali, onde evitare che il costo di tali pratiche sia trasferito ai produttori agricoli. L’effetto a cascata sui produttori agricoli sembra essere particolarmente significativo per le imprese il cui fatturato annuale arriva a un massimo di 350 000 000 EUR. La tutela dei fornitori intermedi di prodotti agricoli ed alimentari, inclusi i prodotti trasformati, può servire anche a evitare una diversione degli scambi dai produttori agricoli e dalle loro associazioni, che producono prodotti trasformati, verso fornitori non tutelati.

(10)

Della tutela garantita dalla presente direttiva dovrebbero beneficiare i produttori agricoli e le persone fisiche e giuridiche che forniscono prodotti agricoli e alimentari, comprese le organizzazioni di produttori, riconosciute o meno, e le associazioni di organizzazioni di produttori, riconosciute o meno, in funzione del loro potere contrattuale relativo. Tali organizzazioni di produttori e associazioni di organizzazioni di produttori comprendono le cooperative. Tali produttori e persone sono particolarmente vulnerabili alle pratiche commerciali sleali e meno in grado di farvi fronte senza subirne un impatto negativo sulla loro sostenibilità economica. Per quanto riguarda le categorie di fornitori che dovrebbero essere tutelati ai sensi della presente direttiva, va rilevato che parte rilevante delle cooperative composte da agricoltori sono imprese più grandi delle PMI ma con un fatturato annuale non superiore a 350 000 000 EUR.

(11)

Nella presente direttiva dovrebbero rientrare le transazioni commerciali indipendentemente dal fatto che siano effettuate tra imprese oppure tra imprese e autorità pubbliche, dato che queste ultime dovrebbero essere vincolate al rispetto delle stesse norme quando acquistano prodotti agricoli e alimentari. La presente direttiva si dovrebbe applicare a tutte le autorità pubbliche che agiscono quali acquirenti.

(12)

È opportuno tutelare i fornitori nell’Unione non solo dalle pratiche commerciali sleali attuate da acquirenti che sono nello stesso Stato membro dell’acquirente o in uno Stato membro diverso da quello dell’acquirente, ma anche contro pratiche commerciali sleali attuate da acquirenti stabiliti al di fuori dell’Unione. Tale tutela potrebbe evitare eventuali conseguenze indesiderate, quali la scelta del luogo di stabilimento sulla base delle norme applicabili. Anche i fornitori stabiliti al di fuori dell’Unione dovrebbero beneficiare della tutela da pratiche commerciali sleali qualora vendano prodotti agricoli e alimentari nell’Unione. Non solo tali fornitori sono probabilmente altrettanto vulnerabili rispetto a pratiche commerciali sleali, ma un ambito di applicazione più ampio potrebbe evitare la diversione indesiderata degli scambi verso fornitori non tutelati, che vanificherebbe la tutela dei fornitori nell’Unione.

(13)

L’ambito di applicazione della presente direttiva dovrebbe comprendere alcuni servizi accessori alla vendita di prodotti agricoli e alimentari.

(14)

La presente direttiva dovrebbe applicarsi al comportamento commerciale degli operatori più grandi rispetto agli operatori con un minor potere contrattuale. Un’approssimazione adeguata del potere contrattuale relativo è il fatturato annuale dei diversi operatori. Pur essendo un’approssimazione, questo criterio consente agli operatori di poter prevedere i propri diritti e obblighi ai sensi della presente direttiva. Un limite massimo dovrebbe impedire che la tutela sia accordata a operatori che non sono vulnerabili o lo sono considerevolmente meno rispetto alle controparti o ai concorrenti più piccoli. La presente direttiva stabilisce pertanto categorie di operatori della filiera definite sulla base del fatturato, in base alle quali è accordata la tutela.

(15)

Poiché le pratiche commerciali sleali possono verificarsi in qualsiasi fase della vendita di un prodotto agricolo o alimentare, prima, durante o dopo un’operazione di vendita, gli Stati membri dovrebbero far sì che la presente direttiva si applichi a questo tipo di pratiche indipendentemente dal momento in cui si verificano.

(16)

Nel decidere se una particolare pratica commerciale è da considerarsi sleale è importante ridurre il rischio che il ricorso ad accordi equi tra le parti, volti a creare efficienza, venga limitato. È quindi opportuno operare una distinzione tra le pratiche che sono previste in termini chiari ed univoci negli accordi di fornitura o in accordi successivi fra le parti e pratiche messe in atto dopo l’inizio dell’operazione, senza essere state preventivamente concordate, in modo tale da vietare unicamente le modifiche unilaterali e retroattive apportate alle condizioni chiare ed univoche pertinenti dell’accordo di fornitura. Alcune pratiche commerciali sono però considerate sleali per loro stessa natura e non dovrebbero essere soggette alla libertà contrattuale delle parti.

(17)

I ritardi di pagamento dei prodotti agricoli e alimentari, compresi i ritardi di pagamenti per prodotti deperibili, e gli annullamenti di ordini di prodotti deperibili con un breve preavviso incidono negativamente sulla sostenibilità economica del fornitore, senza fornire alcuna forma di beneficio compensativo. Tali pratiche dovrebbero pertanto essere vietate. In tale contesto, ai fini della presente direttiva è opportuno prevedere una definizione di prodotti agricoli e alimentari deperibili. Le definizioni utilizzate negli atti dell’Unione connessi alla legislazione alimentare hanno obiettivi diversi, ad esempio la salute e la sicurezza alimentare, e pertanto non sono appropriate ai fini della presente direttiva. Un prodotto dovrebbe essere considerato deperibile se si può presumere che diventerà inadatto alla vendita entro 30 giorni dall’ultima fase della raccolta, produzione o trasformazione da parte del fornitore, indipendentemente dall’ulteriore trasformazione del prodotto dopo la vendita e dal fatto che esso sia trattato dopo la vendita conformemente ad altre norme, in particolare quelle in materia di sicurezza alimentare. I prodotti deperibili sono generalmente utilizzati o venduti rapidamente. Non sono compatibili con la correttezza delle transazioni commerciali i pagamenti per prodotti deperibili effettuati a oltre 30 giorni dalla consegna, oppure oltre 30 giorni dopo il termine di un periodo di consegna convenuto in cui i prodotti sono consegnati periodicamente, oppure oltre 30 giorni dopo la data in cui è stato stabilito l’importo da corrispondere. Al fine di garantire una maggiore tutela agli agricoltori e alla loro liquidità, i fornitori di altri prodotti agricoli e alimentari non dovrebbero dover aspettare i pagamenti oltre 60 giorni dalla consegna, oppure oltre 60 giorni dal termine di un periodo di consegna convenuto in cui i prodotti sono consegnati periodicamente, oppure oltre 60 giorni dalla data in cui è stato stabilito l’importo da corrispondere.

Tali limiti dovrebbero applicarsi solo ai pagamenti connessi alla vendita di prodotti agricoli e alimentari e non ad altri pagamenti, quali i pagamenti supplementari versati da una cooperativa ai propri membri. Conformemente alla direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (5), dovrebbe anche essere possibile considerare la data in cui è stato stabilito l’importo da corrispondere per un periodo di consegna concordato, ai fini della presente direttiva, la data di emissione della fattura, oppure la data della sua ricezione da parte dell’acquirente.

(18)

Le disposizioni stabilite dalla presente direttiva in merito ai ritardi di pagamento costituiscono norme specifiche per il settore agricolo e alimentare in relazione alle disposizioni sui periodi di pagamento definite nella direttiva 2011/7/UE. Le disposizioni stabilite dalla presente direttiva in merito ai ritardi di pagamento non dovrebbero ripercuotersi su accordi relativi a clausole di ripartizione del valore ai sensi dell’articolo 172 bis del regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (6). Al fine di salvaguardare lo svolgimento regolare del programma destinato alle scuole di cui all’articolo 23 del regolamento (UE) n. 1308/2013, le disposizioni stabilite dalla presente direttiva in merito ai ritardi di pagamento non dovrebbero applicarsi a pagamenti effettuati da un acquirente (ossia richiedente dell’aiuto) a un fornitore nel quadro del programma destinato alle scuole. Tenendo conto del fatto che per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria dare priorità all’assistenza sanitaria in modo da trovare un equilibrio tra le esigenze dei singoli pazienti e le risorse finanziarie rappresenta una sfida, queste disposizioni non dovrebbero applicarsi nemmeno agli enti pubblici ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/7/UE.

(19)

Le uve e il mosto per la produzione di vino hanno specifiche caratteristiche in quanto le uve sono raccolte solo nel corso di un periodo dell’anno molto limitato, ma sono utilizzate per produrre vino che in alcuni casi sarà venduto solo molti anni dopo. Al fine di rispondere a tale situazione specifica, le organizzazioni di produttori e le organizzazioni interprofessionali hanno tradizionalmente sviluppato per la fornitura di tali prodotti contratti tipo. Tali contratti tipo prevedono specifici termini di pagamento a rate. Poiché sono utilizzati dai fornitori e dagli acquirenti nell’ambito di accordi pluriennali, tali contratti tipo non si limitano pertanto a fornire ai produttori agricoli la sicurezza di relazioni di vendita durature, ma contribuiscono anche alla stabilità della filiera. Qualora detti contratti tipo siano stati elaborati da parte di organizzazioni di produttori, organizzazioni interprofessionali o associazioni di organizzazioni di produttori riconosciute e siano stati resi vincolanti da uno Stato membro entro il 1o gennaio 2019 ai sensi dell’articolo 164 del regolamento (UE) n. 1308/2013 («estensione») oppure qualora l’estensione dei contratti tipo sia rinnovata da uno Stato membro senza che ai termini di pagamento siano apportate modifiche significative svantaggiose per i fornitori di uve e mosto, le disposizioni stabilite dalla presente direttiva in merito ai ritardi di pagamento non dovrebbero applicarsi ai contratti tra fornitori di uve e mosto per la produzione di vino e i loro acquirenti diretti. Gli Stati membri hanno l’obbligo di notificare alla Commissione i relativi accordi di organizzazioni di produttori, organizzazioni interprofessionali e associazioni di organizzazioni di produttori riconosciute ai sensi dell’articolo 164, paragrafo 6, del regolamento (UE) n. 1308/2013.

(20)

Un preavviso di annullamento per prodotti deperibili inferiore a 30 giorni dovrebbe essere considerato sleale in quanto il fornitore non sarebbe in grado di trovare uno sbocco alternativo per tali prodotti. Tuttavia, nel caso di prodotti in determinati settori, anche un preavviso di annullamento più breve potrebbe comunque lasciare ai fornitori tempo sufficiente per vendere i prodotti altrove oppure utilizzarli essi stessi. È pertanto opportuno consentire agli Stati membri di prevedere, per questi settori, preavvisi di annullamento più brevi in casi debitamente giustificati.

(21)

Gli acquirenti più forti non dovrebbero modificare unilateralmente condizioni contrattuali concordate, ad esempio eliminando dal listino prodotti coperti da un accordo di fornitura. Ciò non dovrebbe tuttavia applicarsi a situazioni in cui tra il fornitore e l’acquirente esiste un accordo che stipuli espressamente la possibilità che l’acquirente specifichi in un momento successivo un elemento specifico della transazione relativamente a ordini futuri. Ciò potrebbe riguardare ad esempio le quantità ordinate. Un accordo non è necessariamente concluso in un momento preciso per tutti gli aspetti della transazione tra il fornitore e l’acquirente.

(22)

Fornitori e acquirenti di prodotti agricoli e alimentari dovrebbero poter negoziare liberamente operazioni di vendita, compresi i prezzi. Tali negoziati comprendono anche pagamenti per servizi forniti dall’acquirente al fornitore, quali l’inserimento in listino, il marketing e la promozione. Qualora tuttavia un acquirente imponga al fornitore pagamenti non connessi a una specifica operazione di vendita, tale pratica dovrebbe essere ritenuta sleale ed essere vietata dalla presente direttiva.

(23)

Anche se non dovrebbe sussistere alcun obbligo di ricorrere a contratti scritti, il loro uso nella filiera agricola e alimentare può contribuire a evitare determinate pratiche commerciali sleali. Pertanto, e al fine di tutelare i fornitori da tali pratiche sleali, è opportuno che i fornitori o le loro associazioni abbiano il diritto di richiedere una conferma scritta delle condizioni di un accordo di fornitura quando tali condizioni siano già state concordate. In questi casi il rifiuto di un acquirente di confermare per iscritto le condizioni dell’accordo di fornitura dovrebbe essere ritenuta una pratica commerciale sleale e dovrebbe essere vietata. Inoltre gli Stati membri potrebbero individuare, condividere e promuovere le migliori pratiche in materia di conclusione di contratti a lungo termine, al fine di rafforzare il potere contrattuale dei produttori nella filiera agricola e alimentare.

(24)

La presente direttiva non armonizza le norme relative all’onere della prova applicabili nei procedimenti dinanzi alle autorità nazionali di contrasto, né la definizione di accordi di fornitura. Le norme relative all’onere della prova e la definizione di accordi di fornitura sono pertanto quelle stabilite dal diritto nazionale degli Stati membri.

(25)

A norma della presente direttiva, i fornitori dovrebbero poter denunciare determinate pratiche commerciali sleali. Le ritorsioni commerciali da parte degli acquirenti contro i fornitori che esercitano i propri diritti, o la minaccia di ricorrervi, ad esempio eliminando prodotti dal listino, riducendo le quantità dei prodotti ordinati oppure interrompendo determinati servizi forniti dall’acquirente al fornitore, quali il marketing o le promozioni sui prodotti del fornitore, dovrebbero essere vietate e considerate come pratiche commerciali sleali.

(26)

Normalmente è l’acquirente a farsi carico dei costi dell’immagazzinamento, dell’esposizione, dell’inserimento in listino di prodotti agricoli e alimentari, o della messa a disposizione sul mercato. La presente direttiva dovrebbe pertanto vietare che a un fornitore sia imposto un pagamento a favore dell’acquirente o di una terza parte per tali servizi, a meno che il pagamento sia stato concordato in termini chiari e univoci al momento della conclusione dell’accordo di fornitura o in eventuali accordi successivi tra l’acquirente e il fornitore. Qualora tale pagamento sia stato concordato, dovrebbe fondarsi su stime oggettive e ragionevoli.

(27)

Affinché i contributi di un fornitore ai costi della promozione, del marketing o della pubblicità dei prodotti agricoli e alimentari, comprese l’esposizione promozionale nei punti vendita e le campagne di vendita, siano considerati equi, è opportuno che siano concordati in termini chiari e univoci al momento della conclusione dell’accordo di fornitura o in eventuali accordi successivi tra l’acquirente e il fornitore. In caso contrario, dovrebbero essere vietati dalla presente direttiva. Qualora tale contributo sia stato concordato, dovrebbe fondarsi su stime oggettive e ragionevoli.

(28)

Gli Stati membri dovrebbero designare autorità di contrasto al fine di garantire l’efficace applicazione dei divieti previsti dalla presente direttiva. Tali autorità dovrebbero essere in grado di agire di propria iniziativa o sulla base di denunce presentate dalle parti vittime di pratiche commerciali sleali nella filiera agricola e alimentare, di denunce provenienti da informatori, o sulla base di denunce anonime. Un’autorità di contrasto potrebbe ritenere che non vi siano motivi sufficienti per dare seguito a una denuncia. Tale conclusione potrebbe essere dovuta anche a priorità amministrative. Nel caso in cui l’autorità di contrasto ritenga di non essere in grado di dare priorità a una denuncia, dovrebbe informarne il denunciante indicandone le motivazioni. Quando un denunciante chiede che la sua identità rimanga riservata per paura di ritorsioni commerciali, le autorità di contrasto dello Stato membro dovrebbero adottare opportuni provvedimenti.

(29)

Se uno Stato membro dispone di più di un’autorità di contrasto, dovrebbe designare un unico punto di contatto al fine di facilitare una cooperazione efficace tra le autorità di contrasto e la cooperazione con la Commissione.

(30)

I fornitori potrebbero avere più facilità a presentare denunce all’autorità di contrasto del proprio Stato membro, ad esempio per motivi linguistici. Ciononostante, in termini di esecuzione, potrebbe risultare più efficace presentare una denuncia all’autorità di contrasto dello Stato membro in cui è stabilito l’acquirente. Ai fornitori dovrebbe essere lasciata la scelta dell’autorità a cui desiderano rivolgere le denunce.

(31)

Le denunce da parte di organizzazioni di produttori, altre organizzazioni di fornitori e associazioni di tali organizzazioni, organizzazioni rappresentative comprese, possono servire a tutelare le identità dei singoli membri dell’organizzazione che si ritengono colpiti da pratiche commerciali sleali. Altre organizzazioni che hanno un interesse legittimo a rappresentare i fornitori dovrebbero anche avere il diritto di presentare denunce, su richiesta di un fornitore e nel suo interesse, a condizione che dette organizzazioni siano persone giuridiche indipendenti senza scopo di lucro. Le autorità di contrasto degli Stati membri dovrebbero pertanto essere in grado di ricevere e dar seguito alle denunce presentate da tali entità, salvaguardando nel contempo i diritti processuali dell’acquirente.

(32)

Al fine di garantire l’efficace applicazione del divieto di pratiche commerciali sleali, le autorità di contrasto designate dovrebbero disporre di tutte le risorse e le competenze necessari.

(33)

Le autorità di contrasto degli Stati membri dovrebbero disporre dei poteri e delle competenze necessari a condurre indagini. Il conferimento di tali poteri alle autorità non comporta l’obbligo di utilizzarli in ciascuna indagine che esse effettuano. I poteri delle autorità di contrasto dovrebbero ad esempio consentire loro di raccogliere efficacemente informazioni fattuali; esse dovrebbero altresì avere il potere di ordinare, se del caso, la cessazione di una pratica vietata.

(34)

Eventuali elementi deterrenti, quali il potere di imporre o avviare procedimenti, per esempio procedimenti giurisdizionali per l’imposizione di sanzioni pecuniarie e altre sanzioni altrettanto efficaci, e la pubblicazione dei risultati delle indagini, compresa la pubblicazione di informazioni relative all’acquirente che ha commesso la violazione, possono favorire un cambiamento dei comportamenti e soluzioni tra le parti in fase di precontenzioso e, pertanto, dovrebbero essere parte integrante dei poteri conferiti alle autorità di contrasto. Le sanzioni pecuniarie possono essere particolarmente effettive e dissuasive. Tuttavia, dovrebbe spettare all’autorità di contrasto decidere quali dei suoi poteri eserciterà in ciascuna indagine e se imporrà o avvierà un procedimento per l’imposizione di una sanzione pecuniaria o un’altra sanzione altrettanto efficace.

(35)

L’esercizio dei poteri conferiti alle autorità di contrasto ai sensi della presente direttiva dovrebbe essere soggetto a opportune salvaguardie, che soddisfino gli standard dei principi generali del diritto dell’Unione e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, tra cui il rispetto dei diritti della difesa dell’acquirente.

(36)

La Commissione e le autorità di contrasto degli Stati membri dovrebbero collaborare strettamente per garantire un approccio comune in merito all’applicazione delle norme stabilite nella presente direttiva. In particolare, le autorità di contrasto dovrebbero fornirsi assistenza reciproca, ad esempio scambiandosi informazioni e dando supporto alle indagini che hanno una dimensione transfrontaliera.

(37)

Per favorire un contrasto efficace, la Commissione dovrebbe contribuire all’organizzazione di riunioni periodiche tra le autorità di contrasto degli Stati membri in cui sia possibile scambiarsi informazioni pertinenti, migliori pratiche, nuovi sviluppi, pratiche di contrasto e raccomandazioni relative all’applicazione delle disposizioni stabilite dalla presente direttiva.

(38)

Per agevolare questo tipo di scambi, la Commissione dovrebbe creare sito Internet pubblico che contenga riferimenti alle autorità nazionali di contrasto, comprese informazioni sulle misure nazionali di recepimento della presente direttiva.

(39)

Poiché la maggior parte degli Stati membri dispone già di norme nazionali in materia di pratiche commerciali sleali, ancorché discordanti, è opportuno usare lo strumento della direttiva per introdurre un livello minimo di tutela disciplinato dal diritto dell’Unione. In tal modo gli Stati membri dovrebbero poter integrare le norme pertinenti nel loro ordinamento giuridico nazionale così da rendere possibile l’istituzione di regimi coerenti. Si dovrebbe lasciare agli Stati membri la possibilità di mantenere o introdurre nel loro territorio norme nazionali più rigorose che prevedano un livello più alto di tutela dalle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese lungo la filiera agricola e alimentare, rispettando i limiti imposti dal diritto dell’Unione applicabile al funzionamento del mercato interno, a condizione che tali norme siano proporzionate.

(40)

Gli Stati membri dovrebbero anche poter mantenere o introdurre norme nazionali volte a contrastare le pratiche commerciali sleali che non rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, rispettando i limiti imposti dal diritto dell’Unione applicabile al funzionamento del mercato interno, a condizione che tali norme siano proporzionate. Tali norme nazionali potrebbero andare al di là della presente direttiva, ad esempio per quanto riguarda le dimensioni di acquirenti e fornitori, la tutela degli acquirenti, il ventaglio di prodotti interessati nonché il ventaglio di servizi. Esse potrebbero altresì andare al di là del numero e del tipo di pratiche commerciali sleali vietate elencate nella presente direttiva.

(41)

Tali norme nazionali si applicherebbero parallelamente a misure di gestione volontarie, quali i codici di condotta nazionali o l’iniziativa sulla catena di approvvigionamento. Il ricorso a volontario a risoluzioni alternative delle controversie tra acquirenti e fornitori è espressamente incoraggiato, fatto salvo il diritto del fornitore di presentare una denuncia o di rivolgersi a giudici competenti in materia civile.

(42)

È opportuno che la Commissione abbia una visione d’insieme dell’attuazione della presente direttiva negli Stati membri. Essa, inoltre, dovrebbe essere in grado di valutare l’efficacia della presente direttiva. A tal fine, le autorità di contrasto degli Stati membri dovrebbero presentarle relazioni annuali. Tali relazioni dovrebbero, se del caso, fornire informazioni quantitative e qualitative in merito a denunce, indagini e decisioni adottate. È opportuno attribuire alla Commissione competenze di esecuzione in modo da garantire condizioni uniformi di esecuzione dell’obbligo di presentare relazioni. Tali competenze dovrebbero essere esercitate conformemente al regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio (7).

(43)

Ai fini di un’efficace attuazione della politica riguardante le pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, è opportuno che la Commissione riesamini l’applicazione della presente direttiva e presenti una relazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Tale riesame dovrebbe valutare, in particolare, l’efficacia delle misure nazionali tese a combattere le pratiche commerciali sleali nella filiera agricola e alimentare nonché l’efficacia della cooperazione tra le autorità di contrasto. Il riesame dovrebbe inoltre soffermarsi su un’eventuale giustificazione, in futuro, della tutela, oltre che dei fornitori, anche degli acquirenti di prodotti agricoli e alimentari lungo la filiera. La relazione dovrebbe essere corredata, se del caso, delle proposte legislative.

(44)

Poiché gli obiettivi della presente direttiva, vale a dire stabilire un livello minimo di tutela da parte dell’Unione armonizzando le misure divergenti in materia di pratiche commerciali sleali degli Stati membri, non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, ma, a motivo della portata e dei suoi effetti, possono essere conseguiti meglio a livello dell’Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tali obiettivi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo,

HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:

Articolo 1

Oggetto e ambito di applicazione

1.   Allo scopo di contrastare le pratiche che si discostano nettamente dalle buone pratiche commerciali, sono contrarie ai principi di buona fede e correttezza e sono imposte unilateralmente da un partner commerciale alla sua controparte, la presente direttiva definisce un elenco minimo di pratiche commerciali sleali vietate nelle relazioni tra acquirenti e fornitori lungo la filiera agricola e alimentare e stabilisce norme minime concernenti l’applicazione di tali divieti, nonché disposizioni per il coordinamento tra le autorità di contrasto.

2.   La presente direttiva si applica a determinate pratiche commerciali sleali attuate nella vendita di prodotti agricoli e alimentari:

a)

da parte di fornitori con un fatturato annuale pari o inferiore a 2 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 2 000 000 EUR;

b)

da parte di fornitori con un fatturato annuale compreso tra 2 000 000 EUR e 10 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 10 000 000 EUR;

c)

da parte di fornitori con un fatturato annuale compreso tra 10 000 000 EUR e 50 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 50 000 000 EUR;

d)

da parte di fornitori con un fatturato annuale compreso tra 50 000 000 EUR e 150 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 150 000 000 EUR;

e)

da parte di fornitori con un fatturato annuale compreso tra 150 000 000 EUR e 350 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 350 000 000 EUR.

Il fatturato annuale dei fornitori e degli acquirenti di cui al primo comma, lettere da a) a e) è da intendersi in conformità delle parti pertinenti dell’allegato della raccomandazione 2003/361/CE della Commissione (8), in particolare degli articoli 3, 4 e 6, comprese le definizioni di «impresa autonoma», «impresa associata», «impresa collegata», e altre questioni relative al fatturato annuale.

In deroga al primo comma, la presente direttiva si applica in relazione alle vendite di prodotti agricoli e alimentari da parte di fornitori con un fatturato annuale pari o inferiore a 350 000 000 EUR ad acquirenti che siano autorità pubbliche.

La presente direttiva si applica alle vendite in cui il fornitore o l’acquirente, o entrambi, sono stabiliti nell’Unione.

Nella misura in cui vi è fatto esplicito riferimento all’articolo 3, la presente direttiva si applica anche ai servizi forniti dall’acquirente al fornitore.

La presente direttiva non si applica agli accordi tra fornitori e consumatori.

3.   La presente direttiva si applica ai contratti di fornitura conclusi dopo la data di applicazione delle misure di recepimento della presente direttiva ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma.

4.   Gli accordi di fornitura conclusi prima della data di pubblicazione delle misure che recepiscono la presente direttiva in conformità dell’articolo 13, paragrafo 1, primo comma, sono resi conformi alla presente direttiva entro 12 mesi da tale data di pubblicazione.

Articolo 2

Definizioni

Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

1)   «prodotti agricoli e alimentari»: i prodotti elencati nell’allegato I del TFUE e i prodotti non elencati in tale allegato, ma trasformati per uso alimentare a partire dai prodotti elencati in tale allegato;

2)   «acquirente»: qualsiasi persona fisica o giuridica, indipendentemente dal luogo di stabilimento di tale persona, o qualsiasi autorità pubblica nell’Unione che acquista prodotti agricoli e alimentari; il termine «acquirente» può includere un gruppo di tali persone fisiche e giuridiche;

3)   «autorità pubblica»: autorità nazionali, regionali o locali, organismi di diritto pubblico o le associazioni costituite da una o più di tali autorità o da uno o più di tali organismi di diritto pubblico;

4)   «fornitore»: qualsiasi produttore agricolo o persona fisica o giuridica, indipendentemente dal suo luogo di stabilimento, che vende prodotti agricoli e alimentari. Il termine «fornitore» può includere un gruppo di tali produttori agricoli o un gruppo di tali persone fisiche e giuridiche, come le organizzazioni di produttori, le organizzazioni di fornitori e le associazioni di tali organizzazioni;

5)   «prodotti agricoli e alimentari deperibili»: i prodotti agricoli e alimentari che per loro natura o nella fase della loro trasformazione potrebbero diventare inadatti alla vendita entro 30 giorni dalla raccolta, produzione o trasformazione.

Articolo 3

Divieto di pratiche commerciali sleali

1.   Gli Stati membri provvedono affinché almeno tutte le seguenti pratiche commerciali sleali siano vietate:

a)

l’acquirente versa al fornitore il corrispettivo a lui spettante,

i)

se l’accordo di fornitura comporta la consegna dei prodotti su base regolare:

per i prodotti agricoli e alimentari deperibili, dopo oltre 30 giorni dal termine di un periodo di consegna convenuto in cui le consegne sono state effettuate oppure dopo oltre 30 giorni dalla data in cui è stato stabilito l’importo da corrispondere per il periodo di consegna in questione, a seconda di quale delle due date sia successiva;

per gli altri prodotti agricoli e alimentari, dopo oltre 60 giorni dal termine di un periodo di consegna convenuto in cui le consegne sono state effettuate oppure dopo oltre 60 giorni dalla data in cui è stato stabilito l’importo da corrispondere per il periodo di consegna in questione, a seconda di quale delle due date sia successiva;

ai fini dei periodi di pagamento di cui al presente punto, si considera che i periodi di consegna convenuti non superino comunque un mese;

ii)

se l’accordo di fornitura non comporta la consegna dei prodotti su base regolare:

per i prodotti agricoli e alimentari deperibili, dopo oltre 30 giorni dalla data di consegna oppure dopo oltre 30 giorni dalla data in cui è stabilito l’importo da corrispondere a seconda di quale delle due date sia successiva;

per gli altri prodotti agricoli e alimentari, dopo oltre 60 giorni dalla data di consegna oppure dopo oltre 60 giorni dalla data in cui è stabilito l’importo da corrispondere, a seconda di quale delle due date sia successiva;

Fatti salvi i punti i) e ii) della presente la lettera, se l’acquirente stabilisce l’importo da corrispondere:

i periodi di pagamento di cui al punto i) decorrono a partire dal termine di un periodo di consegna convenuto in cui le consegne sono state effettuate; e

i periodi di pagamento di cui al punto ii) decorrono a partire dalla data di consegna;

b)

l’acquirente annulla ordini di prodotti agricoli e alimentari deperibili con un preavviso talmente breve da far ragionevolmente presumere che il fornitore non riuscirà a trovare un’alternativa per commercializzare o utilizzare tali prodotti; per preavviso breve si intende sempre un preavviso inferiore a 30 giorni; in casi debitamente giustificati e in determinati settori gli Stati membri possono stabilire periodi di durata inferiore a 30 giorni;

c)

l’acquirente modifica unilateralmente le condizioni di un accordo di fornitura di prodotti agricoli e alimentari relative alla frequenza, al metodo, al luogo, ai tempi o al volume della fornitura o della consegna dei prodotti agricoli e alimentari, alle norme di qualità, ai termini di pagamento o ai prezzi oppure relative alla prestazione di servizi nella misura in cui vi è fatto esplicito riferimento al paragrafo 2;

d)

l’acquirente richiede al fornitore pagamenti che non sono connessi alla vendita dei prodotti agricoli e alimentari del fornitore;

e)

l’acquirente richiede che il fornitore paghi per il deterioramento o la perdita, o entrambi, di prodotti agricoli e alimentari che si verificano presso i locali dell’acquirente o dopo che tali prodotti sono divenuti di sua proprietà, quando tale deterioramento o perdita non siano stati causati dalla negligenza o colpa del fornitore;

f)

l’acquirente rifiuta di confermare per iscritto le condizioni di un accordo di fornitura tra l’acquirente e il fornitore per il quale quest’ultimo abbia richiesto una conferma scritta; ciò non si applica quando l’accordo di fornitura riguardi prodotti che devono essere consegnati da un socio di un’organizzazione di produttori, compresa una cooperativa, all’organizzazione di produttori della quale il fornitore è socio, se lo statuto di tale organizzazione di produttori o le regole e decisioni previste in detto statuto o ai sensi di esso contengono disposizioni aventi effetti analoghi alle disposizioni dell’accordo di fornitura;

g)

l’acquirente acquisisce, utilizza o divulga illecitamente segreti commerciali del fornitore ai sensi della direttiva (UE) 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio (9);

h)

l’acquirente minaccia di mettere in atto, o mette in atto, ritorsioni commerciali nei confronti del fornitore quando quest’ultimo esercita i diritti contrattuali e legali di cui gode, anche presentando una denuncia alle autorità di contrasto o cooperando con le autorità di contrasto durante un’indagine;

i)

l’acquirente chiede al fornitore il risarcimento del costo sostenuto per esaminare i reclami dei clienti relativi alla vendita dei prodotti del fornitore, benché non risultino negligenze o colpe da parte del fornitore;

Il divieto di cui al primo comma, lettera a), è fatto salvo:

le conseguenze dei ritardi di pagamento e i mezzi di ricorso di cui alla direttiva 2011/7/UE, che si applicano, in deroga ai periodi di pagamento stabiliti nella suddetta direttiva, sulla base dei periodi di pagamento di cui alla presente direttiva;

la possibilità che un acquirente e un fornitore concordino una clausola di ripartizione del valore ai sensi dell’articolo 172 bis del regolamento (UE) n. 1308/2013.

Il divieto di cui al primo comma, lettera a) non si applica ai pagamenti:

effettuati da un acquirente a un fornitore quando tali pagamenti siano effettuati nel quadro del programma destinato alle scuole a norma dell’articolo 23 del regolamento (UE) n. 1308/2013;

effettuati da enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria a norma dell’articolo 4, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/7/UE;

nell’ambito di contratti di fornitura tra fornitori di uve o mosto per la produzione di vino e i loro acquirenti diretti, a condizione che:

i)

i termini di pagamento specifici delle operazioni di vendita siano inclusi nei contratti tipo resi vincolanti dallo Stato membro a norma dell’articolo 164 del regolamento (UE) n. 1308/2013 prima del 1o gennaio 2019 e che tale estensione dei contratti tipo sia rinnovata dallo Stato membro a decorrere da tale data senza modificare sostanzialmente i termini di pagamento a danno dei fornitori di uve o mosto; e

ii)

che i contratti di fornitura tra fornitori di uve o mosto per la produzione di vino e i loro acquirenti diretti siano pluriennali o lo diventino.

2.   Gli Stati membri provvedono affinché almeno tutte le seguenti pratiche commerciali siano vietate, a meno che non siano state precedentemente concordate in termini chiari ed univoci nell’accordo di fornitura o in un altro accordo successivo tra il fornitore e l’acquirente:

a)

l’acquirente restituisce al fornitore prodotti agricoli e alimentari rimasti invenduti, senza corrispondere alcun pagamento per tali prodotti invenduti o senza corrispondere alcun pagamento per il loro smaltimento, o entrambi;

b)

al fornitore è richiesto un pagamento come condizione per l’immagazzinamento, l’esposizione, l’inserimento in listino dei suoi prodotti agricoli e alimentari, o per la messa a disposizione sul mercato;

c)

l’acquirente richiede al fornitore di farsi carico, in toto o in parte, del costo degli sconti sui prodotti agricoli e alimentari venduti dall’acquirente come parte di una promozione;

d)

l’acquirente richiede al fornitore di pagare i costi della pubblicità, effettuata dall’acquirente, dei prodotti agricoli e alimentari;

e)

l’acquirente richiede al fornitore di pagare i costi del marketing, effettuato dall’acquirente, dei prodotti agricoli e alimentari;

f)

l’acquirente richiede al fornitore di pagare i costi del personale incaricato di organizzare gli spazi destinati alla vendita dei prodotti del fornitore.

Gli Stati membri provvedono affinché la pratica commerciale di cui al primo comma, lettera c) sia vietata a meno che, prima di una promozione avviata dall’acquirente, quest’ultimo ne specifichi il periodo e indichi la quantità prevista dei prodotti agricoli e alimentari da ordinare a prezzo scontato.

3.   Se l’acquirente richiede un pagamento nelle situazioni di cui al paragrafo 2, primo comma, lettere b), c), d), e) o f), l’acquirente fornisce al fornitore, qualora questi ne faccia richiesta, una stima per iscritto dei pagamenti unitari o dei pagamenti complessivi a seconda dei casi e, per le situazioni di cui al paragrafo 2, primo comma, lettere b), d), e) e f), fornisce anche una stima, per iscritto, dei costi per il fornitore e i criteri alla base di tale stima.

4.   Gli Stati membri provvedono affinché i divieti di cui ai paragrafi 1 e 2 costituiscano disposizioni imperative prioritarie, applicabili a tutte le situazioni che rientrano nel campo di applicazione di tali divieti, qualunque sia la legge altrimenti applicabile al contratto di fornitura tra le parti.

Articolo 4

Autorità di contrasto designate

1.   Ogni Stato membro designa una o più autorità incaricate di applicare i divieti di cui all’articolo 3 a livello nazionale («autorità di contrasto») e informa la Commissione di tale designazione.

2.   Se uno Stato membro designa più di una autorità di contrasto nel suo territorio, designa un unico punto di contatto sia per la cooperazione tra autorità di contrasto sia per la cooperazione con la Commissione.

Articolo 5

Denunce e riservatezza

1.   I fornitori possono presentare denunce all’autorità di contrasto dello Stato membro in cui essi sono stabiliti oppure all’autorità di contrasto dello Stato membro in cui è stabilito l’acquirente sospettato di avere attuato una pratica commerciale vietata. L’autorità di contrasto a cui è presentata la denuncia è competente per applicare i divieti di cui all’articolo 3.

2.   Le organizzazioni di produttori, altre organizzazioni di fornitori e le associazioni di tali organizzazioni hanno il diritto di presentare una denuncia su richiesta di uno o più dei loro membri o, se del caso, su richiesta di uno o più dei soci delle rispettive organizzazioni membro, qualora tali membri si ritengano vittime di una pratica commerciale vietata. Altre organizzazioni che hanno un interesse legittimo a rappresentare i fornitori hanno il diritto di presentare denunce su richiesta di un fornitore, e nell’interesse di tale fornitore, a condizione che dette organizzazioni siano persone giuridiche indipendenti senza scopo di lucro.

3.   Gli Stati membri provvedono affinché, qualora il denunciante lo richieda, l’autorità di contrasto adotti le misure necessarie per tutelare adeguatamente l’identità del denunciante o dei membri o fornitori di cui al paragrafo 2 e per tutelare adeguatamente qualunque altra informazione la cui divulgazione, secondo il denunciante, sarebbe lesiva degli interessi del denunciante o di quei membri o fornitori. Il denunciante specifica le informazioni per le quali chiede un trattamento riservato.

4.   Gli Stati membri provvedono affinché l’autorità di contrasto che riceve la denuncia informi il denunciante, entro un periodo di tempo ragionevole dal ricevimento della denuncia, di come intende dare seguito alla denuncia.

5.   Gli Stati membri provvedono affinché, se ritiene che non vi siano ragioni sufficienti per agire a seguito della denuncia, l’autorità di contrasto informi il denunciante dei motivi della sua decisione entro un periodo di tempo ragionevole dal ricevimento della denuncia.

6.   Gli Stati membri provvedono affinché, se ritiene che vi siano ragioni sufficienti per agire a seguito della denuncia, l’autorità di contrasto avvii, conduca e concluda un’indagine sulla denuncia entro un periodo di tempo ragionevole.

7.   Gli Stati membri fanno in modo che, una volta accertata la violazione dei divieti di cui all’articolo 3, l’autorità di contrasto imponga all’acquirente di porre fine alla pratica commerciale vietata.

Articolo 6

Poteri dell’autorità di contrasto

1.   Gli Stati membri provvedono affinché tutte le autorità di contrasto nazionali dispongano delle risorse e delle competenze necessarie per assolvere i propri doveri e conferiscono loro i poteri seguenti:

a)

il potere di avviare e condurre indagini di propria iniziativa o a seguito di una denuncia;

b)

il potere di chiedere agli acquirenti e ai fornitori di fornire tutte le informazioni necessarie al fine di condurre indagini sulle pratiche commerciali vietate;

c)

il potere di effettuare ispezioni in loco, senza preavviso, nel quadro delle indagini, in conformità delle norme e delle procedure nazionali;

d)

il potere di adottare decisioni in cui accerta la violazione dei divieti di cui all’articolo 3 e impone all’acquirente di porre fine alla pratica commerciale vietata; l’autorità può astenersi dall’adottare una siffatta decisione qualora tale decisione rischi di rivelare l’identità del denunciante o qualsiasi altra informazione la cui divulgazione, secondo il denunciante stesso, potrebbe essere lesiva dei suoi interessi, e a condizione che egli abbia specificato quali sono tali informazioni conformemente all’articolo 5, paragrafo 3;

e)

il potere di imporre o avviare procedimenti finalizzati all’imposizione di sanzioni pecuniarie e altre sanzioni di pari efficacia e provvedimenti provvisori, nei confronti dell’autore della violazione, in conformità delle norme e procedure nazionali;

f)

il potere di pubblicare regolarmente le decisioni adottate ai sensi delle lettere d) ed e).

Le sanzioni di cui al primo comma, lettera e), sono efficaci, proporzionate e dissuasive e tengono conto della natura, della durata, della frequenza e della gravità della violazione.

2.   Gli Stati membri provvedono affinché l’esercizio dei poteri di cui al paragrafo 1 sia soggetto a opportune tutele riguardo ai diritti della difesa, conformemente ai principi generali del diritto dell’Unione e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, compreso nei casi in cui il denunciante chiede il trattamento riservato delle informazioni a norma dell’articolo 5, paragrafo 3.

Articolo 7

Risoluzione alternativa delle controversie

Fatto salvo il diritto dei fornitori di presentare denunce a norma dell’articolo 5, e fatti salvi i poteri delle autorità di contrasto di cui all’articolo 6, gli Stati membri possono promuovere il ricorso volontario a meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie efficaci e indipendenti, quali la mediazione, allo scopo di risolvere le controversie tra fornitori e acquirenti relative all’attuazione di pratiche commerciali sleali.

Articolo 8

Cooperazione tra autorità di contrasto

1.   Gli Stati membri provvedono affinché le autorità di contrasto cooperino efficacemente tra loro e con la Commissione e affinché si prestino reciproca assistenza nelle indagini che presentano una dimensione transfrontaliera.

2.   Le autorità di contrasto si riuniscono almeno una volta all’anno per discutere dell’applicazione della presente direttiva sulla base delle relazioni annuali di cui all’articolo 10, paragrafo 2. Le autorità di contrasto discutono delle migliori pratiche, dei nuovi casi e degli ultimi sviluppi nell’ambito delle pratiche commerciali sleali nella filiera agricola e alimentare e scambiano informazioni, in particolare sulle misure di attuazione che hanno adottato ai sensi della presente direttiva e sulle rispettive pratiche di contrasto. Le autorità di contrasto possono adottare raccomandazioni volte a promuovere l’applicazione coerente della presente direttiva e a potenziare il contrasto. La Commissione agevola lo svolgimento di tali riunioni.

3.   La Commissione istituisce e gestisce un sito web che consenta lo scambio di informazioni tra le autorità di contrasto e la Commissione, in particolare per quanto riguarda le riunioni annuali. La Commissione crea un sito web pubblico che riporta i recapiti delle autorità di contrasto designate e i link ai siti web delle autorità di contrasto nazionali o di altre autorità degli Stati membri che a loro volta contengono informazioni sulle misure di recepimento della presente direttiva di cui all’articolo 13, paragrafo 1.

Articolo 9

Norme nazionali

1.   Per garantire un più alto livello di tutela, gli Stati membri possono mantenere o introdurre norme nazionali volte a contrastare le pratiche commerciali sleali più rigorose di quelle previste nella presente direttiva, a condizione che esse siano compatibili con le norme relative al funzionamento del mercato interno.

2.   La presente direttiva lascia impregiudicate le norme nazionali finalizzate a contrastare le pratiche commerciali sleali che non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva, a condizione che esse siano compatibili con le norme relative al funzionamento del mercato interno.


Nota all’art.9

Per quanto concerne l’Italia, prima che venisse attuata la direttiva mediante il D. Lgs. 198/2021, le pratiche sleali nel settore agricolo erano:


Articolo 10

Relazioni

1.   Gli Stati membri provvedono affinché le loro autorità di contrasto pubblichino una relazione annuale sulle loro attività che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, che, tra l’altro, indichi il numero delle denunce ricevute e il numero delle indagini da esse aperte o concluse nel corso dell’anno precedente. Per ogni indagine conclusa, la relazione contiene un’illustrazione sommaria del caso, l’esito dell’indagine e, se del caso, la decisione presa, nel rispetto degli obblighi di riservatezza di cui all’articolo 5, paragrafo 3.

2.   Entro il 15 marzo di ogni anno, gli Stati membri trasmettono alla Commissione una relazione sulle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare. Tale relazione contiene, in particolare, tutti i dati pertinenti riguardanti il contrasto e l’applicazione delle norme ai sensi della presente direttiva nello Stato membro interessato nel corso dell’anno precedente.

3.   La Commissione può adottare atti di esecuzione che stabiliscano:

a)

le norme relative alle informazioni necessarie ai fini dell’applicazione del paragrafo 2;

b)

le disposizioni riguardanti la gestione delle informazioni da inviare dagli Stati membri alla Commissione e le norme sul contenuto e sulla forma di tali informazioni;

c)

le modalità relative alla trasmissione o alla messa a disposizione delle informazioni e dei documenti agli Stati membri, alle organizzazioni internazionali, alle autorità competenti dei paesi terzi o al pubblico, fermi restando la protezione dei dati personali e i legittimi interessi dei produttori agricoli e delle imprese alla tutela dei segreti aziendali.

Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 11, paragrafo 2.

Articolo 11

Procedura di comitato

1.   La Commissione è assistita dal comitato per l’organizzazione comune dei mercati agricoli istituito dall’articolo 229 del regolamento (UE) n. 1308/2013. Tale comitato è un comitato ai sensi del regolamento (UE) n. 182/2011.

2.   Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applica l’articolo 5 del regolamento (UE) n. 182/2011.

Articolo 12

Valutazione

1.   Entro il 1o novembre 2025, la Commissione procede a una prima valutazione della presente direttiva e presenta al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni una relazione in cui espone le principali conclusioni di tale valutazione. Tale relazione è corredata, se del caso, da proposte legislative.

2.   Tale valutazione esamina almeno i seguenti aspetti:

a)

l’efficacia delle misure attuate a livello nazionale volte a contrastare le pratiche commerciali sleali nella filiera agricola e alimentare;

b)

l’efficacia della cooperazione tra le autorità di contrasto competenti e, se del caso, i modi in cui è possibile migliorare tale cooperazione.

3.   Per la relazione di cui al paragrafo 1, la Commissione si basa anzitutto sulle relazioni annuali di cui all’articolo 10, paragrafo 2. Se necessario, la Commissione può chiedere agli Stati membri informazioni aggiuntive, comprese informazioni sull’efficacia delle misure attuate a livello nazionale e sull’efficacia della cooperazione e dell’assistenza reciproca.

4.   Entro il 1o novembre 2021, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni una relazione intermedia sullo stato del recepimento e dell’attuazione.

Articolo 13

Recepimento

1.   Entro il 1o maggio 2021, gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarvisi. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali misure.

Gli Stati membri applicano le suddette misure entro il 1o novembre 2021.

Le misure adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di tale riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono stabilite dagli Stati membri.

2.   Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni fondamentali di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

Articolo 14

Entrata in vigore

La presente direttiva entra in vigore il quinto giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

Articolo 15

Destinatari

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

Fatto a Strasburgo, il 17 aprile 2019

Per il Parlamento europeo

Il presidente

A. TAJANI

Per il Consiglio

Il presidente

G. CIAMBA


(1)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 165.

(2)  GU C 387 del 25.10.2018, pag. 48.

(3)  Posizione del Parlamento europeo del 12 marzo 2019 (non ancora pubblicata nella Gazzetta ufficiale) e decisione del Consiglio del 9 aprile 2019.

(4)  GU C 86 del 6.3.2018, pag. 40.

(5)  Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (GU L 48 del 23.2.2011, pag. 1).

(6)  Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio (GU L 347 del 20.12.2013, pag. 671).

(7)  Regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (GU L 55 del 28.2.2011, pag. 13).

(8)  Raccomandazione della Commissione 2003/361/CE, del 6 maggio 2003, relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese (GU L 124 del 20.5.2003, pag. 36).

(9)  Direttiva (UE) 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti (GU L 157 del 15.6.2016, pag. 1).



Entro il 10 maggio 2021 gli Stati membri erano tenuti ad la direttiva UE/2019/633 sulle pratiche commerciali sleali filiera agricola alimentare, in modo da tutelare in modo adeguato le imprese agricole.

L’Italia ha provveduto mediante il decreto legislativo 8 novembre 2021, n.198.


 

Scioglimento comunione su terre assegnazione agraria

Scioglimento comunione su terre assegnazione agraria:  se muore l’assegnatario, gli eredi possono sì chiedere lo scioglimento della comunione creatasi con la successione sul fondo, ma non  il suo frazionamento.


Procedendosi allo scioglimento comunione su terre assegnazione agraria, il fondo andrà quindi assegnato nella sua interezza ad uno dei coeredi (che pagherà  agli altri il controvalore delle loro quote) oppure venduto a terzi (e si dividerà allora il prezzo incassato tra i coeredi)


La legge n.1078/1940, rubricata “Norme per evitare il frazionamento delle unità poderali assegnate a contadini diretti coltivatori”, prescrive una serie di regole finalizzate ad evitare il frazionamento di unità poderali, costituite in comprensori di bonifica da enti di colonizzazione o da consorzi di bonifica ed assegnate in proprietà a contadini diretti coltivatori (Art.1). Tale scelta di limitazione trova giustificazione nei principi di cui agli artt. 41, 42, 44 e 47 Cost.: le dimensioni minime del fondo oggetto di assegnazione sono strettamente correlate –  condizionando la produttività e l’autosufficienza dell’impresa diretta coltivatrice –  alla destinazione del fondo e, quindi, in linea con gli obiettivi preposti dalla norma. Pertanto le citate unità poderali non possono essere frazionate per effetto di trasferimenti a causa di morte o per atti tra vivi. Onde mantenere consolidata l’integrità dei detti fondi rustici, assicurando così il risultato che si prefigge la norma, il successivo articolo 2 prevede anche che gli enti di colonizzazione o i consorzi di bonifica debbano far risultare l’esistenza del vincolo di indivisibilità dei fondi dalle note di trascrizione degli atti di assegnazione di unità poderali. Il difetto di trascrizione (elemento essenziale onde garantirne la conoscibilità), comporta, quale conseguenza che il vincolo di indivisibilità non potrà essere opposto a terzi acquirenti o aventi causa (di buona fede).

L’’art.5 della citata legge 1078/1940 prescrive poi che:

Nel caso di morte del titolare dell’unità poderale, essa è assegnata al coerede designato dal testatore e, in mancanza, ad uno dei coeredi che sia disposto ad accettarne l’attribuzione e sia idoneo ad assumerne l’esercizio (ndr. ovvero con il fine di assicurare la continuità della conduzione e la concentrazione dei fondi in capo ad un soggetto idoneo ad una efficiente coltivazione).  Nel caso in cui nessuno dei coeredi sia disposto ad accettarne l’attribuzione si procede alla vendita dell’unità poderale con le modalità concordate fra gli interessati o stabilite, in caso di disaccordo tra i coeredi, dall’autorità giudiziaria e si provvede col prezzo alla soddisfazione delle quote ereditarie. In caso di disaccordo tra i coeredi, decide l’autorità giudiziaria con riguardo alle condizioni e attitudini personali. L’autorità giudiziaria, su istanza dei coeredi che rappresentino la maggioranza delle quote ereditarie, può anche decidere che il fondo sia assegnato in comunione a tutti gli eredi e a quelli fra essi che intendano vivere in comunione. Chiunque degli interessati può chiedere lo scioglimento della comunione dopo trascorso un anno dall’inizio di essa. In tal caso si procede alla vendita dell’unità poderale, con le modalità di cui al comma secondo del presente articolo”.

Con la sentenza 27644/2018, la Corte di Cassazione ha adesso statuito che, in tema di assegnazione di terre di riforma agraria, il principio riportato dall’art.5 della Legge in commento (secondo cui ognuno dei coeredi può richiedere lo scioglimento della comunione) si applica non solo nell’ipotesi di comunione disposta dall’Autorità giudiziaria, ma anche qualora – pur in difetto di un provvedimento del giudice –  a seguito dell’apertura della successione sia insorta da oltre un anno la comunione incidentale tra i coeredi dell’originario proprietario e la domanda di divisione sia proposta da almeno uno dei comproprietari. La Suprema Corte sottolinea infatti che non è precluso dalla legge lo scioglimento della comunione, ma unicamente il frazionamento del bene.

La Suprema Corte ritiene infatti che la comunione espressamente prevista dalla legge citata (e cioè quella che nasce su disposizione dell’Autorità Giudiziaria, ad istanza dei titolari della maggioranza delle quote) non è dissimile dalla comunione che automaticamente insorge, senza alcun provvedimento del giudice,  una volta decorso  oltre un anno dall’apertura della successione dell’originario proprietario. Nel primo caso come nel secondo, infatti, quel che rileva per la Cassazione è la presenza di una comunione, la sua costituzione da oltre un anno e la presenza della domanda di divisione proposta da almeno uno dei comproprietari.

Dunque, la legge speciale non preclude affatto lo scioglimento comunione su terre assegnazione agraria. Anzi, le sue modalità di scioglimento sono regolate dettagliatamente proprio dall’art. 5 della citata legge 1078/1940, la quale vieta soltanto il frazionamento del bene, a condizione che il relativo vincolo sia stato trascritto e sia quindi utilmente opponibile ai terzi.

Decreto controlli vini DOC DOCG IGT

l controlli sui vini a denominazione o indicazione geografica (decreto controlli vini doc docg igt) sono disciplinati dall’apposito decreto ministeriale 7552/2018,   attuativo del Testo Unico Vino.


Purtroppo nel decreto controlli vini DOC DOCG IGT è stata stralciata – non trovandosi accordo – la parte più significativa della riforma in materia portata dal Testo Unico Vino, e cioè il controllore unico (art.64 T.U.).

Ad integrare la disciplina sui controlli interviene il regolamento sugli esami analitici ed organolettici nonchè sulle commissioni di degustazione dei vini a denominazione di origine ed indicazione geografica (art.64  e 65 T.U.):  D.M. 12 marzo 2019.

I controlli sui vini privi di denominazione o indicazione geografica, ma rencanti indicazione annata e/o della varietà di vite,  sono invece disciplinati dal D.M. 6778 del 18 luglio 2018.


DECRETO MINISTERIALE 2 agosto 2018, n. 7552.

Sistema dei controlli e vigilanza sui vini a DO e IG, ai sensi dell’articolo 64, della legge 12 dicembre 2016, n. 238 recante la disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino.

    • Pubblicato nella Gazz. Uff. 30 ottobre 2018, n. 253.
    • Emanato dal Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo.

IL MINISTRO DELLE POLITICHE

AGRICOLE ALIMENTARI, FORESTALI

E DEL TURISMO

Visto il regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio;

Visto il regolamento (UE) n. 1306/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della politica agricole comune e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 352/78, (CE) n. 165/92, (CE) n. 2799/98, (CE) n. 814/2000, (CE) n. 1290/2005 e (CE) n. 485/2008 e, in particolare, l’art. 90 rubricato controlli connessi alle denominazioni di origine, alle indicazioni geografiche e alle menzioni tradizionali protette;

Visto il regolamento delegato (UE) n. 2018/273 della Commissione dell’11 dicembre 2017 che integra il regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda il sistema di autorizzazioni per gli impianti viticoli, lo schedario viticolo, i documenti di accompagnamento e la certificazione, il registro delle entrate e delle uscite, le dichiarazioni obbligatorie, le notifiche e la pubblicazione delle informazioni notificate, che integra il regolamento (UE) n. 1306/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i pertinenti controlli e le pertinenti sanzioni, e che modifica i regolamenti (CE) n. 555/2008, (CE) n. 606/2009 e (CE) n. 607/2009 della Commissione e abroga il regolamento (CE) n. 436/2009 della Commissione e il regolamento delegato (UE) n. 2015/560 della Commissione;

Visto il regolamento di esecuzione (UE) n. 2018/274 della Commissione, dell’11 dicembre 2017, recante modalità di applicazione del regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda il sistema di autorizzazioni per gli impianti viticoli, la certificazione, il registro delle entrate e delle uscite, le dichiarazioni e le notifiche obbligatorie, e del regolamento (UE) n. 1306/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i controlli pertinenti, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 2015/561 della Commissione;

Visto il regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali;

Visto il regolamento (CE) n. 607/2009 della Commissione del 14 luglio 2009, e successive modifiche ed integrazioni, recante Modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio per quanto riguarda le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali, l’etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli;

Vista la legge 12 dicembre 2016, n. 238 recante la disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino e, in particolare, gli articoli 59, 64 e 90;

Visto il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali del 16 febbraio 2012 recante «Sistema nazionale di vigilanza sulle strutture autorizzate al controllo delle produzioni agroalimentari regolamentate»;

Visto il decreto dipartimentale 12 marzo 2015, n. 271, che, in attuazione alle disposizioni di cui all’art. 6, commi 1 e 2, del citato decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali del 16 febbraio 2012, ha stabilito le modalità di funzionamento della banca dati vigilanza;

Visto il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 20 marzo 2015, n. 293 recante disposizioni per la tenuta in forma dematerializzata dei registri nel settore vitivinicolo, ai sensi dell’ art. 1-bis, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116;

Visto il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 14 giugno 2012, n. 794, recante «approvazione dello schema di piano dei controlli, in applicazione dell’art. 13, comma 17, del decreto legislativo 8 aprile 2010, n. 61»;

Ritenuto di procedere, al fine di dare attuazione alle disposizioni di cui all’art. 64, comma 20, ed all’art. 90 della legge n. 238/2016, all’emanazione di norme sul sistema dei controlli e vigilanza sui vini a DO e IG;

Sentite le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale;

Sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e Province autonome in data 19 aprile 2018;

Decreta:

Art. 1. Scopo e ambito di applicazione

Il presente decreto ministeriale, di seguito decreto, disciplina, in attuazione dell’art. 64, comma 20, della legge 12 dicembre 2016, n. 238, di seguito legge, il sistema di controllo e vigilanza dei vini a denominazione di origine e a indicazione geografica, ai sensi dell’art. 90 del regolamento (UE) n. 1306/2013 e degli articoli 4 e 5 del regolamento (CE) n. 882/2004 e successive modifiche.

Art. 2. Definizioni e termini

1. Ai fini del presente decreto, si intende per:

a) «Ministero» e «Ministro»: il Ministero e il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo;
b) «ICQRF»: il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari del Ministero;
c) «ufficio territoriale» l’ufficio territoriale dell’ICQRF competente per il luogo ove ha sede lo stabilimento o il deposito dell’operatore obbligato o interessato;
d) «Regioni e PP.AA.»: le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano;
e) «categorie di operatori della filiera vitivinicola»: viticoltori, vinificatori, imbottigliatori, etichettatori, intermediari e altri specifiche categorie di operatori non classificabili tra le precedenti categorie, inseriti nel sistema di controllo;
f) «DO», «DOP», «DOCG» e «DOC»: le sigle utilizzate per i prodotti vitivinicoli a denominazione di origine;
g) «IG», «IGP» e «IGT»: le sigle utilizzate per i prodotti vitivinicoli a indicazione geografica;
h) «SIAN»: il sistema informativo agricolo nazionale, di cui all’art. 15 della legge 4 giugno 1984, n. 194 e i Sistemi informativi regionali, ove presenti;
i) «organismo di controllo/organismi di controllo»: persona giuridica pubblica o privata a cui l’autorità competente ha delegato compiti di controllo, ai sensi dell’art. 2, comma 2, punto 5), del regolamento (CE) n. 882/2004 c ss..mm.., e che operano come organismi di certificazione dei prodotti secondo i criteri fissati nell’art. 5 di detto regolamento;
j) «fascicolo di controllo»: insieme delle informazioni e dei documenti funzionali all’attività di controllo di cui dispongono gli organismi di controllo, relativi a ogni operatore immesso nel sistema di controllo e alle attività di tale operatore;
k) «vigilanza»: complesso delle attività svolte dall’autorità competente, attraverso l’organizzazione di audit o ispezioni, finalizzate a verificare che non sussistano carenze di requisiti e carenze dell’organismo di controllo nell’espletamento dei compiti delegati e che per la risoluzione di tali carenze, ove rilevate, lo stesso abbia adottato correttivi appropriati e tempestivi;
l) «BdV»: l’acronimo di Banca dati Vigilanza istituita ai sensi decreto ministeriale del 16 febbraio 2012 recante Sistema nazionale di vigilanza sulle strutture autorizzate al controllo delle produzioni agroalimentari regolamentate;
m) «schedario viticolo»: lo strumento previsto dall’art. 145 del regolamento (UE) n. 1308/2013 e dal regolamento delegato (UE) n. 2018/273 della Commissione dell’11 dicembre 2017, parte integrante del SIAN nonché del Sistema integrato di gestione e controllo (SIGC) e dotato di un sistema di identificazione geografica (GIS), contenente informazioni aggiornate sul potenziale produttivo;
n) «registro telematico»: il registro tenuto con modalità telematiche, ai sensi del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 20 marzo 2015, n. 293 nel quale, per ogni stabilimento e deposito dell’ impresa, sono indicate le operazioni relative ai prodotti vitivinicoli;
o) «imbottigliamento»: la definizione riportata all’art. 56 del regolamento (CE) n. 607/2009 della Commissione del 14 luglio 2009;
p) «operazioni di etichettatura»: apposizione sui prodotti già imbottigliati delle informazioni sui recipienti;
q) «R.U.C.I.»: Registro unico dei controlli ispettivi di cui all’art. 1, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014, e di cui al decreto interministeriale del 20 luglio 2015.

Art. 3. Sistema di controllo

1. Il Ministero è l’autorità competente per l’organizzazione dei controlli ufficiali nel settore dei vini a DO e IG.

2. Il Ministero delega i compiti di controllo ad uno o più organismi di controllo ed è, altresì, l’autorità responsabile della vigilanza sugli organismi di controllo, ai sensi dell’art. 64, commi 1, 2 e 17, della legge.

3. Il Ministero esercita i compiti di cui ai commi 1 e 2 attraverso l’ICQRF.

4. La verifica annuale del rispetto del disciplinare nel corso della produzione e durante o dopo il condizionamento del vino è effettuata da organismi di controllo iscritti nell’ «Elenco degli organismi di controllo per le denominazioni di origine protetta (DOP) e le indicazioni geografiche protette (IGP) del settore vitivinicolo», di cui all’art. 64, comma 3, della legge.

5. La scelta dell’organismo di controllo è effettuata secondo le modalità stabilite nell’art. 64, commi 12, 13 e 14 della legge e dell’art. 4 del decreto.

6. Gli organismi di controllo possono svolgere la loro attività per una o più produzioni riconosciute, ai sensi della vigente normativa dell’Unione europea.

7. Ogni produzione riconosciuta, comprese le eventuali sottozone e tipologie previste dal disciplinare di produzione, è soggetta al controllo di un solo organismo di controllo, salvo il caso di cui all’art. 64, comma 14, ultimo periodo.

Art. 4. Scelta dell’organismo di controllo

1. La scelta dell’organismo di controllo è effettuata, tra quelli iscritti nell’elenco di cui all’art. 64, comma 4, della legge, dai soggetti proponenti le registrazioni, contestualmente alla presentazione dell’istanza di riconoscimento della DO o della IG e, per le denominazioni o indicazioni già riconosciute, dai Consorzi di tutela incaricati dal Ministero.

2. In assenza dei Consorzi di tutela, le Regioni e PP.AA., nelle cui aree geografiche ricadono le produzioni delle uve e del vino rivendicati, sentite le organizzazioni rappresentative della filiera vitivinicola, indicano al Ministero, per ciascuna DO e IG, l’organismo di controllo tra quelli iscritti nell’elenco di cui all’art. 64, comma 4, della legge. Nel caso di denominazioni interregionali e nel caso di mancato accordo, la scelta è effettuata dalla Regione o dalla Provincia Autonoma nel cui territorio ricade la maggiore produzione di uve e di vino rivendicati, con riferimento alla media dell’ultimo biennio.

3. I soggetti di cui ai commi 1 e 2 comunicano all’ICQRF, almeno sessanta giorni prima della scadenza dell’autorizzazione, l’organismo di controllo scelto per la singola DO o IG.

Art. 5. Iscrizione nell’elenco, autorizzazione, revoca e sospensione degli organismi di controllo

1. L’organismo di controllo che intende proporsi per il controllo delle denominazioni di origine o delle indicazioni geografiche, presenta apposita istanza al Ministero, ai sensi dell’art. 64, comma 3, della legge, unitamente alla documentazione indicata nell’ allegato 1 e redatta secondo le istruzioni ivi previste.

2. L’organismo di controllo scelto per il controllo della specifica DO o IG presenta all’ICQRF, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione sul sito internet del Ministero del documento unico e del disciplinare di produzione, un’istanza di autorizzazione, unitamente al certificato di accreditamento aggiornato, se organismo di controllo privato, alla procedura di controllo e certificazione aggiornata, se organismo di controllo pubblico, al piano di controllo e al tariffario, per ciascuna DO e IG per la quale è richiesta l’autorizzazione.

3. Il piano di controllo si compone di una parte generale, facente esplicito riferimento alle disposizioni di cui all’allegato 2, e di un’eventuale parte speciale contenente disposizioni specifiche di controllo rese necessarie dal disciplinare di produzione di ciascuna DO/IG ovvero dalla scelta di effettuare controlli analitici e organolettici a campione per le DO con produzione annuale certificata inferiore a 10.000 hl, ai sensi dell’art. 65, comma 5, lettera b) della legge.

4. Il tariffario è redatto secondo i criteri previsti dall’allegato 3.

5. Il provvedimento di autorizzazione contiene la descrizione dei compiti che l’organismo di controllo può espletare e delle condizioni alle quali può svolgerli. L’autorizzazione è rilasciata dall’ICQRF entro sessanta giorni dalla data di ricevimento dell’istanza.

6. L’autorizzazione ha durata triennale ed è rinnovabile a seguito di conferma della scelta effettuata ai sensi dell’art. 64, commi 12, 13 e 14, della legge. In caso di riconoscimento di nuove DO o IG, la relativa autorizzazione all’organismo di controllo avrà la medesima scadenza delle autorizzazioni già rilasciate per il triennio in corso.

7. La documentazione di cui all’art. 64, comma 5, della legge è approvata con apposito provvedimento in caso di modifica della stessa nel corso del triennio di validità dell’autorizzazione a seguito di presentazione di istanza motivata, dimostrando la preventiva comunicazione al Consorzio di tutela riconosciuto o alla Regioni e PP.AA. competenti.

8. Ai sensi dell’art. 64, comma 7, l’autorizzazione può essere sospesa in caso di:

a) mancato rispetto delle percentuali di controllo stabilite nel piano di controllo;
b) mancato rispetto delle procedure di controllo e certificazione;
c) inadempimento delle prescrizioni impartite dall’autorità competente;
d) carenze generalizzate nel sistema dei controlli che possono compromettere l’affidabilità e l’efficacia del sistema e dell’organismo di controllo stesso;
e) adozione di comportamenti discriminatori nei confronti degli operatori assoggettati al controllo.

9. La sospensione, a seconda della gravità dei casi, può avere una durata da tre a sei mesi. Al termine del periodo, l’organismo di controllo deve provare di aver risolto le criticità rilevate. L’organismo di controllo, durante il periodo di sospensione, è sottoposto, in ogni caso, ad attività di vigilanza da parte dell’ICQRF.

10. L’autorizzazione di cui al comma 5 è revocata in caso di:

a) perdita dell’accreditamento, se organismo privato;
b) tre provvedimenti di sospensione, ovvero un periodo di sospensione complessivamente superiore a nove mesi nel triennio di durata dell’autorizzazione.

11. La revoca è immediata nel caso di perdita dell’accreditamento. L’organismo di controllo, tuttavia, continua a svolgere l’attività di controllo fino a sostituzione. Nelle altre ipotesi, la revoca dell’autorizzazione decorre dalla data di scadenza della stessa e comporta l’impossibilità di rinnovo dell’autorizzazione al controllo per la denominazione in questione.

12. In caso di revoca immediata, i soggetti legittimati di cui all’art. 64, commi 12, 13 e 14, comunicano, nel termine di venti giorni, la scelta del nuovo organismo di controllo.

13. La revoca e la sospensione dell’autorizzazione possono riguardare anche una singola produzione riconosciuta ovvero una singola sede operativa dell’organismo di controllo.

14. Prima della scadenza del triennio, i soggetti legittimati, ai sensi dell’art. 64, commi 12, 13 e 14 della legge, possono, a seguito di provvedimenti di sospensione o a seguito di ordinanza ingiunzione emessa per gli illeciti di cui all’art. 80 della legge, scegliere un altro organismo di controllo tra quelli iscritti nell’elenco di cui all’art. 64, comma 4, della legge. La nuova scelta deve essere comunicata all’ICQRF per l’apertura del nuovo procedimento di autorizzazione.

15. L’ICQRF comunica ai soggetti legittimati di cui all’art. 64, commi 12, 13 e 14 i provvedimenti rilevanti ai fini dei commi 8 e 11.

16. L’ICQRF pubblica, sul sito internet del Ministero, i piani di controllo e i tariffari approvati e cura la tenuta dell’elenco di cui all’art. 64, comma 4 della legge.

17. Gli organismi di controllo sono cancellati dall’elenco di cui all’art. 64, comma 4, in caso di revoca e se, al termine del quarto anno di iscrizione nello stesso, non sono stati scelti per effettuare il controllo di alcuna DO o IG. In caso di revoca, la nuova iscrizione nell’elenco può essere richiesto solo dopo che siano trascorsi quattro anni dalla cancellazione.

18. L’organismo di controllo autorizzato per la specifica DO o IG può avvalersi, delle strutture e del personale di altri soggetti iscritti nell’elenco di cui all’art. 64, comma 4, della legge. In tal caso le relative attività devono essere svolte conformemente a quanto disposto dalla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17065:2012, sulla base di una convenzione. L’organismo di controllo autorizzato è responsabile delle attività affidate ad altro organismo di controllo. Le attività di certificazione non possono essere affidate a terzi.

Art. 6. Obblighi degli organismi di controllo

1. Gli organismi di controllo assicurano per l’intera durata dell’autorizzazione:

a) la verifica dell’idoneità morale, dell’imparzialità e dell’assenza di conflitto di interesse dei propri rappresentanti, degli amministratori, del personale addetto all’attività di controllo e certificazione; prevedendo anche a tal fine, un numero dispari di componenti per gli organi collegiali che deliberano su certificazione, non conformità e ricorsi e per quest’ ultimo che lo stesso sia indipendente dalla struttura gerarchica dell’organismo;
b) che i componenti degli organi collegiali non partecipino alla composizione di altri organi collegiali dello stesso organismo di controllo, ad esclusione delle commissioni di degustazione;
c) che i componenti degli organi collegiali non partecipino alla composizione di altri organi collegiali di altri organismi di controllo ad esclusione dei Comitati di salvaguardia;
d) che il ruolo di valutazione sia distinto dal ruolo di riesame e di decisione nell’organizzazione dell’organismo di controllo;
e) l’adeguatezza delle strutture e delle risorse umane e strumentali rispetto ai compiti delegati;
f) l’impiego esclusivo di risorse umane dotate di esperienza e competenza specifica per i compiti e i ruoli svolti per ciascuna funzione del processo di controllo e certificazione;
g) una formazione periodica sui processi di controllo e certificazione specifici;
h) la rotazione del personale impiegato nell’attività di controllo, compreso il personale addetto al prelievo dei campioni, prevedendo almeno che gli operatori non possono essere controllati dal medesimo ispettore per più di tre visite ispettive consecutive.

2. Gli organismi di controllo comunicano al Ministero le modifiche giuridiche o organizzative intervenute successivamente all’autorizzazione.

3. Gli organismi di controllo non svolgono né direttamente né indirettamente attività di consulenza e di servizi, ivi compreso la fornitura a titolo oneroso di applicativi informatici.

4. Il personale degli organismi di controllo nello svolgimento dell’attività di controllo è incaricato di pubblico servizio, ai sensi dell’art. 358 del codice penale.

5. Gli organismi di controllo utilizzano esclusivamente i laboratori di analisi autorizzati dal Ministero.

6. L’accertamento di non conformità comporta l’applicazione puntuale del livello di gravità e del trattamento previsto dal piano di controllo autorizzato.

7. In caso di subentro, nel corso dell’anno, da parte di altro organismo nell’attività di controllo e certificazione, a ciascuno degli organismi spetta la parte dei proventi delle tariffe approvate relativa al servizio effettivamente svolto fino al momento del subentro.

8. Nell’esercizio dell’attività di controllo, gli organismi di controllo hanno, inoltre, l’obbligo di:

a) comunicare all’ICQRF e, per gli aspetti di competenza, alle Regioni e PP.AA., territorialmente competenti, i risultati dei controlli effettuati in modo regolare e ogniqualvolta sia richiesto;
b) deliberare, entro quindici giorni lavorativi, la non conformità rilevata nel corso delle verifiche;
c) di decidere i ricorsi entro trenta giorni dalla presentazione;
d) trasferire i fascicoli di controllo all’organismo di controllo subentrante entro trenta giorni dalla pubblicazione del provvedimento di autorizzazione e concludere le attività di controllo in corso;
e) adempiere alle richieste e prescrizioni impartite dalle autorità di cui all’art. 3.

Art. 7. I soggetti della filiera vitivinicola

1. L’attività di controllo e certificazione per i vini a DO e IG è svolta dagli organismi di controllo su tutti i soggetti della filiera di produzione della singola DO o IG secondo i criteri e con le modalità stabiliti nei rispettivi piani di controllo e nei tariffari approvati.

2. Ai sensi dell’art. 64, comma 16, della legge, tutti i soggetti di cui all’art. 2, comma 1, lettera e) partecipanti alla filiera di produzione della singola DO o IG sono automaticamente inseriti nel sistema di controllo al momento della rivendicazione della produzione tutelata e accettano le condizioni del servizio di controllo e certificazione.

3. La dichiarazione di vendemmia e di produzione vitivinicola costituiscono causa di inserimento nel sistema di controllo per la relativa produzione DO o IG.

4. Gli imbottigliatori e gli etichettatori, per l’inserimento nel sistema di controllo, inviano all’organismo di controllo autorizzato la comunicazione di imbottigliamento o di etichettatura.

5. L’organismo di controllo assoggetta al controllo anche gli imbottigliatori esteri ove previsto dal piano dei controlli della singola DO/IG.

6. Il piano dei controlli approvato e il prospetto tariffario, per le singole DO o IG, sono resi disponibili ai soggetti della filiera vitivinicola interessata anche attraverso la loro pubblicazione sul sito internet dell’organismo di controllo.

7. L’organismo di controllo deve tenere un elenco aggiornato dei soggetti iscritti.

Art. 8. Attività di controllo e certificazione

1. Gli organismi di controllo svolgono l’attività di controllo e certificazione nel rispetto del piano di controllo e del tariffario approvato, delle norme cogenti, delle istruzioni impartite dall’autorità competente e delle procedure e istruzioni contenute nella documentazione di sistema, per gli organismi privati, e nella procedura di controllo e certificazione, per gli organismi pubblici.

2. L’organismo di controllo verifica la conformità ai requisiti stabiliti nel disciplinare di produzione e la rintracciabilità del prodotto a DO e IG certificato e destinato alla certificazione e assicura la corrispondenza dei quantitativi certificati o destinati alla certificazione con le risultanze della contabilità ufficiale.

3. L’organismo di controllo, per ciascuna DO o IG controllata, deve assicurare l’evidenza documentale delle azioni e delle attività previste dal piano dei controlli approvato. Tale documentazione è messa a disposizione delle autorità competenti c deve essere trasmessa all’organismo di controllo subentrante, in caso di revoca dell’autorizzazione o nuova scelta effettuata dai soggetti legittimati.

4. Il campione di soggetti da sottoporre a verifica ispettiva annuale è determinato tramite sorteggio. L’estrazione del campione deve essere eseguita per ciascuna DO e IG e per ogni categoria della filiera vitivinicola, nelle percentuali minime e secondo i criteri e le modalità stabiliti nell’allegato 2 del decreto.

5. Le operazioni di sorteggio devono essere eseguite in tempo utile sia per la conclusione dei controlli entro l’anno solare di sorteggio e sia per assicurare lo svolgimento dei controlli nel periodo più funzionale al controllo stesso.

6. L’organismo di controllo trasmette all’ICQRF gli elenchi degli operatori assoggettati, suddivisi per categoria, alla specifica DO e IG indicando quelli oggetto di sorteggio per l’anno solare in corso.

7. Il Comitato di certificazione dell’organismo di controllo, in caso di non conformità rilevata nell’ambito del piano dei controlli di una specifica DO e IG, valuta l’impatto della non conformità anche rispetto ai requisiti dei disciplinari delle DO e a IG coesistenti sulla stessa unità vitata nonché rispetto alla possibilità di eventuali riclassificazioni e declassamenti ad altra DO o IG.

8. Ai fini della certificazione delle produzioni di vino atto a divenire DO si applicano le disposizioni di cui all’art. 65 della legge e le relative norme attuative. In caso di giudizio di idoneità, l’organismo di controllo rilascia la certificazione per la relativa partita.

9. Gli imbottigliatori di vini DOCG e DOC richiedono i contrassegni all’organismo di controllo autorizzato o al Consorzio di tutela riconosciuto, se delegato a tal fine dal organismo di controllo autorizzato.

10. L’organismo di controllo autorizzato, previa verifica della sussistenza dei requisiti quantitativi e qualitativi del prodotto nel registro telematico, consegna i contrassegni richiesti o autorizza alla consegna il Consorzio di tutela riconosciuto, se delegato.

11. Gli organi di controllo ufficiali tengono conto, ai fini della programmazione delle attività di controllo, delle verifiche eseguite dagli organismi di controllo e dei relativi esiti, attraverso la consultazione del R.U.C.I.

Art. 9. Acquisizione delle informazioni ai fini del controllo e certificazione

1. L’acquisizione delle informazioni da parte degli organismi di controllo avviene attraverso i servizi informatici disponibili nell’ambito del SIAN e, per i soggetti esonerati ai sensi dell’art. 58, comma 2, della legge, attraverso la dichiarazione di produzione, la dichiarazione di giacenza, la documentazione di accompagnamento e commerciale e da altra documentazione giustificativa.

2. I soggetti esonerati di cui al precedente comma possono chiedere l’accesso ai servizi informatici disponibili nell’ambito del SIAN.

3. L’operatore aggiorna il registro telematico per il prodotto oggetto di richiesta di certificazione per consentire la verifica del carico e il rilascio della certificazione.

4. In caso di cessione o trasferimento di prodotto sfuso atto a divenire DO, di prodotto a DO o rivendicato a IG, compresa la commercializzazione di vino sfuso verso altri Stati membri o Paesi terzi, l’operatore aggiorna il registro telematico, relativamente al prodotto movimentato, entro il terzo giorno lavorativo successivo a quello della cessione o trasferimento.

5. Gli imbottigliatori, qualora non siano previsti termini più restrittivi dal decreto 20 marzo 2015, n. 293, aggiornano il registro telematico non oltre sette giorni lavorativi dalla data di conclusione delle operazioni di imbottigliamento dello specifico prodotto.

6. Gli obblighi di cui ai commi 3, 4 e 5 possono essere assolti dall’operatore con la trasmissione all’organismo di controllo, nei tempi ivi previsti, delle informazioni utili per la verifica del carico e dello scarico, del documento di accompagnamento del prodotto e della comunicazione di avvenuto imbottigliamento ovvero della comunicazione riepilogativa dei quantitativi di vini a DO e IG ceduti direttamente al consumatore finale con i riferimenti alla certificazione di idoneità, per i casi in cui è prevista. In tal caso, restano fermi gli obblighi aggiornamento del registro telematico nei termini di cui al decreto 20 marzo 2015, n. 293.

Art. 10. Oneri informativi a carico dell’organismo di controllo

1. L’organismo di controllo comunica all’operatore interessato la non conformità rilevata nel corso delle verifiche, entro cinque giorni dalla relativa deliberazione del Comitato di certificazione.

2. Le comunicazioni di non conformità sono redatte secondo il modello di cui all’allegato 4 del decreto e devono dettagliatamente indicare il trattamento, l’azione correttiva, i termini entro i quali è verificata e le modalità di risoluzione della stessa, la facoltà per l’operatore di presentare ricorso avverso la deliberazione del Comitato di certificazione, nonché il termine di presentazione, che non può essere fissato oltre il trentesimo giorno dalla notifica all’operatore della non conformità.

3. L’organismo di controllo comunica all’ufficio territoriale competente le non conformità gravi deliberate dal Comitato di certificazione, entro venti giorni lavorativi dalla verifica. In tali casi, l’organismo di controllo deve tempestivamente informare l’ufficio territoriale competente del ricorso eventualmente presentato dal soggetto interessato e, in seguito, del suo esito, ai sensi dell’art. 79 della legge.

4. L’ufficio territoriale informa sollecitamente l’organismo di controllo dei provvedimenti adottati in esito alle comunicazioni di cui al comma 3.

5. Le non conformità lievi, avverso le quali non è stato presentato ricorso ovvero in caso di rigetto del ricorso presentato, che non sono state risolte nelle modalità e nei tempi indicati dall’organismo di controllo, diventano gravi a seguito di deliberazione del Comitato di certificazione.

6. L’organismo di controllo comunica mensilmente all’ICQRF le non conformità lievi diventate definitive per assenza di ricorso o per rigetto del ricorso nonché i dati relativi alle verifiche a carico di operatori con esito positivo.

7. L’organismo di controllo comunica al soggetto interessato e alla Regione e Provincia Autonoma competente qualsiasi non conformità riconducibile al vigneto e al mancato aggiornamento dei dati contenuti nello schedario viticolo. Le Regioni e PP.AA., entro la data di rivendicazione delle produzioni ottenute sulle superfici oggetto delle non conformità, verificano l’aggiornamento e la validità del dato relativo alle superfici vitate operato dal soggetto interessato, tenuto conto anche delle informazioni contenute nelle comunicazioni di non conformità. Le comunicazioni di non conformità effettuate entro il 31 luglio di ogni anno hanno effetto per la compagna in corso, quelle effettuate dopo il 31 luglio di ogni anno hanno effetto per la campagna successiva, ai sensi dell’art. 8, comma 8, della legge.

8. Gli eventuali disallineamenti, che non costituiscono una violazione del disciplinare di produzione, sono comunicati alle Regioni e PP.AA., ai sensi dell’art. 8, comma 8, della legge, e all’interessato.

9. All’organismo di controllo è fornito l’accesso telematico ai servizi SIAN per la consultazione e l’acquisizione dello schedario viticolo, delle dichiarazioni di vendemmia e di produzione, delle dichiarazioni di giacenza dei vini, del registro telematico nonché per l’inserimento dei dati nella BdV.

10. L’organismo di controllo deve fornire al Consorzio di tutela, di cui all’art. 41, comma 1, della legge i dati relativi alla quantità di prodotto a DO e IG (uva rivendicata, vino rivendicato e vino imbottigliato) ottenuto nella campagna vendemmiate dai soci del Consorzio medesimo. I medesimi Consorzi devono richiedere tali dati comunicando annualmente l’elenco dci soci.

11. L’organismo di controllo deve fornire al Consorzio di tutela, di cui all’art. 41, comma 4, della legge i dati relativi alla quantità di prodotto DO e IG (uva rivendicata, vino rivendicato e vino effettivamente imbottigliato) ottenuto nella campagna vendemmiale precedente a carico di tutti i soggetti immessi nel sistema di controllo della DO e IG anche se non soci del Consorzio di tutela.

12. Gli obblighi informativi posti a carico degli organismi di controllo sono assolti attraverso il caricamento delle relative informazioni nella BdV.

13. L’organismo di controllo è tenuto a trasmettere all’ICQRF e alle Regioni e PP.AA. competenti, entro il 1° marzo di ciascun anno, una relazione sulle criticità riscontrate durante l’anno precedente, nello svolgimento delle attività di certificazione e controllo, corredata dai dati previsti nell’allegato 5.

14. Gli enti detentori e gestori dei dati sono obbligati a metterli a disposizione gratuitamente degli organismi di controllo.

Art. 11. Disposizioni finali

1. Il decreto è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sul sito istituzionale del Ministero.

2. Il decreto ministeriale 14 giugno 2012, n. 794, è abrogato.

3. Dopo il primo anno di applicazione del presente decreto, le disposizioni in esso contenute possono essere modificate con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, previa comunicazione alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.

4. Gli allegati al decreto possono essere modificati con decreto del capo dell’ICQRF, sentito il Comitato nazionale di Vigilanza MIPAAF – Regioni di cui al decreto ministeriale 16 febbraio 2012 citato in premessa.

 

ALLEGATI AL DECRETO  7552/2018


Circolare ICQRF 2168/2019 su piano controlli vini DOP-IGP


Piani controlli vini DOP - IGP


 

affitto agrario

IL CONTRATTO DI AFFITTO AGRARIO

(ovvero affitto fondi rustici)


AFFITTO AGRARIO: ASPETTI GENERALI DEL CONTRATTO

contratto affitto agrario (ovvero affitto fondi rustici)

In materia di affitto agrario (affitto fondi rustici), l’intervento dello Stato ha inciso notevolmente sul contratto, andando a sottrarre, all’autonomia delle parti, la disciplina del rapporto negoziale proprio in relazione all’interesse pubblico che la terra (adatta all’agricoltura) sia gestita in modo produttivo.


Certo è che la compressione dell’autonomia negoziale non può definirsi integrale ed inderogabile, potendo comunque le parti:

  • da un lato, decidere se ed a chi concedere in affitto;
  • dall’altro,  stipulare accordi in deroga alle norme cogenti (purché ovviamente assistiti dalle rispettive organizzazioni professionali – art.45 della legge 203/1982).

L’oggetto immediato del contratto di affitto agrario (ovvero affitto fondi rustici) è appunto il “fondo”.

Il fondo, deve quindi essere inteso quale bene che il locatore mette a disposizione dell’affittuario, al quale ultimo viene trasferito l’esercizio del potere di gestione della terra per un determinato periodo di tempo.

Il principale onere del locatore, in esito alla stipula di un contratto di affitto agrario (ovvero affitto fondi rustici) è appunto quello di immettere l’affittuario nel godimento della cosa produttiva (art.1617 c.c.).  Oltre a ciò il locatore ha l’obbligo di astenersi da ogni attività sul bene produttivo una volta fattane la consegna all’affittuario.

In caso di vendita del fondo, al suo affittuario (se coltivatore diretto) compete il diritto di prelazione agraria).

 

DURATA DEL CONTRATTO

La legislazione, in tema di affitto agrario (ovvero affitto fondi rustici), si pone quale obbiettivo (degno di tutela) lo stabile insediamento dell’affittuario sul fondo agricolo andando ad incidere nell’autonomia della parti nella determinazione della durata del contratto.

La legge 3 maggio 1982, n.203, ha portato a 15 anni la durata minima del contratto, sia a coltivatore (art.1) sia a conduttore (art.22), ferma restando la possibilità per le parti di prevedere accordi in deroga ex art.45 (disciplinando una durata contrattuale inferiore a quella di legge, purché ciò avvenga con l’assistenza delle organizzazione professionali di categoria).

 

COSTITUZIONE e RISOLUZIONE

La costituzione dell’affitto di beni produttivi richiede la forma scritta solo se il contratto è ultranovennale.

Caso diverso è quello relativo all’affitto agrario (ovvero affitto fondi rustici),  in cui la forma del contratto assume rilevanza a seconda che il conduttore sia “capitalista” oppure “coltivatore diretto”.

La Suprema Corte ha stabilito che soltanto l’affitto a coltivatore diretto non richiede né forma scritta per essere valido tra le parti, né trascrizione per essere opponibile a terzi, mentre l’affitto a conduttore richiede la scrittura ma solo ad probationem (ovvero ai soli fini della prova dell’esistenza del contratto stesso) e pretende la trascrizione ai fini dell’opponibilità.

Altro problema da risolvere nell’ambito della stipulazione di contratto in esame è quello della necessaria presenza di entrambe le contrapposte organizzazioni professionali agricole, al momento della stipula, affinché queste provvedano all’apposizione del “visto”.

Invero, la legge pretende che l’assistenza sindacale si concreti in una attività di consulenza, di indirizzo e di cooperazione protettiva, al fine di evitare la prevaricazione  di un contraente sull’altro o comunque pregiudizi verso la parte più debole.

L’assistenza delle organizzazione di categoria permette, inoltre alle parti di poter derogare  alle disposizioni contrattuali cogenti e comunque sulle disposizioni  che garantiscono nell’affittuario la posizione di imprenditore.

Ne consegue che potranno essere oggetto di disciplina pattizia la durata, il canone, il termine di disdetta e il potere di migliorare, ma non  potranno essere incisi i poteri di gestione imprenditoriale.

L’affitto dei beni produttivi si risolve per inadempimento  dell’affittuario in ordine ai suoi obblighi, contrattualmente assunti, ovverosia quelli di destinare, al servizio della cosa, i mezzi necessari per la sua gestione, di rispettare la destinazione economica del fondo nonché di corrispondere il canone pattuito. Al pari di ogni contratto, quindi, anche l’affitto agrario (ovvero affito fondi rustici)  si risolve per inadempimento dell’affittuario ma, in deroga alle disposizioni del codice civile, questo deve essere “grave”. E’ quindi necessaria la presenza di un grave inadempimento.

Quanto alla morosità, invece, affinché si concretizzi l’inadempimento occorre che questa sia di almeno una annualità e che il locatore contesti all’affittuario l’inadempimento diffidandolo ad adempiere entro il termine legale di tre mesi.

 

CESSIONE DEL CONTRATTO DI AFFITTO AGRARIO (ovvero affitto fondi rustici).

Come sopra già precisato, la legislazione speciale sui contratti agrari differenzia l’affitto agrario (ovvero affotto fondi rustici) dall’affitto di cose produttive.

L’interesse generale alla lavorazione della terra determina, appunto, una tutela differenziata nell’affitto di fondi rustici rispetto all’affitto di generici beni produttivi.

Più precisamente, mentre nell’affitto di generici beni produttivi continua a valere la regola del codice civile, per l’affitto agrario (ovvero affitto fondi rustici) di fondi rustici viene introdotto l’art.21 della l. n.203/1982 che vieta i contratti di subaffitto, di sublocazione e comunque di subconcessione di fondi rustici.

Tale disposizione normativa, tuttavia, non contempla la cessione del contratto del contratto di affitto che è quindi da considerarsi legittima. La ratio di tale riconoscimento di ammissibilità risiederebbe nella circostanza che, mentre il subaffitto darebbe origine a due contratti (il contratto di affitto e quello di subaffitto), la cessione manterrebbe in vita un unico contratto (quello originario tra locatore ed affittuario).

Pertanto, va riconosciuto che oggi la cessione del contratto agrario (ovvero affitto fondi rustici) non può ritenersi vietata, rimettendone la disciplina agli ordinari artt.1406 e 1594 c.c. che richiedono il consenso del ceduto, salvo nelle ipotesi dell’art.21 della l. n.203/1982 e dell’art.2558 c.c. in cui tale consenso non è necessario.

 

SUCCESSIONE MORTIS CAUSA NEL CONTRATTO DI AFFITTO AGRARIO (ovvero affitto fondi ristici) 

Anche con riguardo alla successione nel contratto di affitto agrario (ovvero affitto fondi ristici) la legislazione speciale agraria è intervenuta differenziando la posizione degli eredi dall’affittuario deceduto.

In forza dell’ultimo comma dell’art.49 della legge 203/1982, in caso di morte dell’affittuario, il contratto non si scioglie ma continua “qualora tra gli eredi vi sia persona che abbia esercitato e continui ad esercitare attività agricola  in qualità di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo professionale (IAP)”.

La giurisprudenza in materia, purtroppo, presenta alcuni significativi contrasti.


Modello contratto affitto agrario


 

Prelazione agraria

PRELAZIONE AGRARIA

La prelazione agraria esprime il diritto del coltivatore (che sia esso confinante del fondo o conduttore di questo) ad essere preferito al terzo, alle medesime condizioni, nell’acquisto del fondo rustico che il proprietario intende vendere.

Tale diritto è previsto rispettivamente dall’art.8 della L. 590/65 (prelazione agraria del conduttore coltivatore diretto) e dall’art.7 della L. 817/71 (prelazione agraria del proprietario confinante coltivatore diretto).

Pare opportuno precisare che il diritto di prelazione agraria insorge al momento della conclusione del preliminare (o del contratto) di compravendita tra il proprietario del fondo ed il terzo.

Prima di tale momento, infatti, il diritto esiste in capo al coltivatore solo potenzialmente.

Andiamo quindi ad analizzare più nel dettaglio le due fattispecie, ovvero la prelazione agraria del conduttore e quella del confinante.


PRELAZIONE AGRARIA DEL CONDUTTORE COLTIVATORE DIRETTO

 

In tema di prelazione agraria  del conduttore del fondo posto in vendita (art.8 L. n.590/65), il diritto in esame sorge solamente a determinate condizioni, ovvero purché:

  • il conduttore sia nel godimento del fondo in virtù di un regolare contratto di affitto, di mezzadria di colonia parziaria o a compartecipazione non stagionale;
  • il conduttore sia qualificabile come “coltivatore diretto”:  “sono considerati coltivatori diretti coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi all’allevamento e al governo del bestiame sempreché la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore a 1/3 di quella occorrente per la normale necessità del fondo e per l’allevamento ed il governo del bestiame” (art. 31 della legge 590/65);
  • abbia una capacità lavorativa (propria o della sua famiglia) pari ad almeno un terzo di quella occorrente per far fronte alle esigenze colturali del fondo che si intende acquistare in prelazione e sempre che il fondo oggetto di prelazione, in aggiunta ad altri eventualmente posseduti non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa famigliare del coltivatore;
  • conduca in coltivazione il fondo da almeno un biennio;
  • nel biennio precedente il trasferimento del fondo soggetto alla prelazione non abbia alienato fondi rustici (fatta salva l’ipotesi in cui l’eventuale trasferimento sia avvenuto a scopo di ricomposizione fondiaria a favore degli enti di sviluppo o della Cassa per la formazione della proprietà contadina).

PRELAZIONE AGRARIA DEL CONFINANTE COLTIVATORE DIRETTO

 

Diversa, ma con presupposti sostanzialmente simili (per non dire omogenei), è l’ipotesi di prelazione agraria del confinante del fondo offerto in vendita, prevista dall’art. 7 della L. n.817/71.

Il diritto di prelazione agraria, quindi, spetta anche al confinante a patto che siano rispettate determinate condizioni:

  • che il confinante sia “coltivatore diretto” e che detta qualifica inerisca alla conduzione diretta del terreno confinante con quello offerto in vendita;
  • che il confinante coltivi il fondo di sua proprietà da almeno un biennio (e non anche che sia proprietario del fondo stesso da un biennio);
  • che il fondo oggetto della prelazione, in aggiunta a quello (o quelli) posseduti in proprietà dal confinante coltivatore diretto non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia;
  • che non abbia venduto fondi rustici nel biennio antecedente all’esercizio del diritto in commento.

Oltre a detti requisiti fondamentali, perché sorga in capo al confinante il diritto di prelazione agraria, è necessario che il terreno in proprietà ed il fondo offerto in vendita siano tra loro confinanti e che sul fondo offerto in vendita non vi siano insediamenti di affittuari, mezzadri, coloni, compartecipanti o enfiteuti coltivatori diretti.

Invero, l’art.7 (L. n.817/71) esclude l’insorgere del diritto di prelazione a favore del confinante per il solo fatto che sul fondo offerto in vendita siano insediati affittuari, coloni, ecc..


 

L’ESERCIZIO DELLA PRELAZIONE AGRARIA  E IL  DIRITTO DI RISCATTO

 

L’art.8 della Legge n.590/65, nel suo quarto comma, prevede a carico del proprietario del fondo posto in vendita l’obbligo di comunicazione, al titolare del diritto di prelazione, della sua intenzione di vendere il fondo.

Tale notifica, che deve assumere la forma scritta, deve contenere tutti gli elementi utili affinché il titolare del diritto di prelazione (che sia esso conduttore o confinante) possa esercitare il predetto diritto conoscendo anticipatamente e chiaramente le condizioni di vendita.

Più precisamente il proprietario (promissario venditore) dovrà indicare nella comunicazione di notifica (c.d. denuntiatio) il nome dell’acquirente a cui egli intenderebbe vendere il bene, il prezzo di vendita e le altre norme pattuite, compresa la clausola che fa salvo l’eventuale esercizio della prelazione da parte dell’avente diritto, facendo presente che quest’ultimo ha trenta giorni per decidere se esercitare il proprio diritto di prelazione  e che decorso inutilmente detto diritto sarà da considerarsi rinunciato.

Nell’ipotesi, quindi, in cui il titolare del diritto intenda far valere la prelazione, ne darà comunicazione al proprietario ed il prezzo di vendita dovrà essere da questi corrisposto entro tre mesi (termine che decorre dal trentesimo giorno dalla notifica della proposta di alienazione).

La violazione della prelazione agraria determina, in favore del soggetto titolare, il cosiddetto “diritto di riscatto” ovverosia il diritto di recuperare il bene nei confronti dell’acquirente o di ogni altro successivo avente causa.

Ciò si verifica ogni qualvolta il proprietario lo abbia venduto senza provvedere alla preventiva comunicazione ovvero abbia indicato nella medesima un prezzo superiore rispetto a quello risultante dal contratto di vendita. In tali casi il prelazionista potrà far valere il proprio diritto entro un anno dalla trascrizione del contratto di compravendita.

L’azione di riscatto potrà eseguirsi tanto in via stragiudiziale (mediante dichiarazione scritta a mezzo di lettera raccomandata) quanto in via giudiziale (mediante atto di citazione) entrambe, come detto, da rivolgere all’acquirente.


Di seguito proponiamo alcune formule (fac simile) da utilizzare in caso di sussistenza del diritto di prelazione agraria:

Modello per riscatto prelazione agraria

Modello per rinuncia prelazione agraria del conduttore

Modello per rinuncia prelazione agraria del proprietario confinante